Una pericolosa truffa delle etichette
“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”. Costituzione della Repubblica italiana – articolo 17
Il diritto penale è un delicato sistema che aggredisce la libertà della persona, imponendosene pertanto un uso sobrio e meditato. Per questo, intervenire con decreto legge per prevedere nuove fattispecie non è mai una buona idea.
Eppure, nelle sue prime dichiarazioni, il Ministro della Giustizia aveva assicurato che la depenalizzazione fosse uno dei criteri ispiratori dell’azione del nuovo Governo. Ebbene, uno dei primi interventi sul diritto penale registra, invece, proprio la creazione di un nuovo reato. Non vorremmo che la depenalizzazione dichiarata riguardasse solo i reati dei colletti bianchi, mentre i problemi generati dalla precarietà sociale e della povertà dei ceti più marginali fossero risolti a colpi di nuove fattispecie penali o aumentando le pene per i reati già previsti, magari con corridoi processuali preferenziali per giungere a celeri sentenze passate in giudicato, a fronte di gravi reati impastoiati nelle secche delle Corti di Appello, in attesa che l’improcedibilità possa coprire ogni vergogna.
È bene chiarire subito una cosa: la nuova fattispecie non si applica solo ai Rave Party (ove mai queste feste fossero un problema davvero così indifferibile ed urgente, nell’agenda del Governo), ma entra in diretta collisione con l’art. 17 della Costituzione, affidando la selezione tra l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito (quello di riunione e manifestazione pubblica) e la consumazione di un gravissimo reato (punito con pene esemplari che vanno da tre a sei anni, oltre la multa) a giudizi prognostici (“… può derivare un pericolo…”), collegati non già ad un evento ben definito, ma a valutazioni soggettive (“… per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica…”).
D’ora in poi, se in una pubblica piazza si riunirà un gruppo di cinquanta giovani, per festeggiare un lieto evento, facendo un po’ di schiamazzi, questi potranno incontrare un solerte funzionario di Polizia Giudiziaria che, ritenendo quel raduno pericoloso per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica, decida di intervenire: autorizzando i suoi uomini ad utilizzare mezzi e strumenti violenti, per liberare la piazza, e procedendo all’arresto in flagranza degli organizzatori. Non immaginiamo cosa succederà, nel caso in cui la manifestazione fosse organizzata per protestare contro scelte governative…
Il nuovo articolo 434 bis del codice penale è una norma pericolosa, che chiamerà la magistratura ad una sapiente verifica della sua applicabilità al caso concreto, insieme all’utilizzo dello strumento della verifica costituzionale, ove i margini di equivocità della norma fossero così estremi da entrare in drammatica collisione con i nostri diritti e valori fondamentali.
Peraltro, l’introduzione della medesima fattispecie, nel catalogo giustificante l’applicazione delle misure di prevenzione, è in netta controtendenza con l’applicazione di queste misure a gravi reati di profitto, secondo quella che è stata la geniale intuizione di Pio La Torre (che le estese alle mafie) e la concreta applicazione giurisprudenziale che ne ha fatto un grimaldello nella lotta alla criminalità organizzata. Questa norma, invece, immagina ancora le misure di prevenzione come strumenti di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica, secondo schemi di politica giudiziaria, fondati sulla cultura dello scarto e della criminalizzazione della marginalità sociale.
Se questo è il biglietto da visita del nuovo esecutivo in materia penale, ci aspetta una lunga stagione di resistenza costituzionale.
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