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Senza ergastolo le mafie sono più forti

Gian Carlo Caselli il . Criminalità, Diritti, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Politica

Con un’ordinanza pronunziata il 15 aprile 2021 la Consulta ha “aperto” ai mafiosi non pentiti l’ergastolo ostativo per quanto riguarda il beneficio della liberazione condizionale. Ma gli effetti della pronunzia di incostituzionalità sono stati differiti affinché il Parlamento potesse intervenire.

Il termine fissato (un anno, poi prorogato di cinque mesi) è ormai prossimo alla scadenza. Nella passata legislatura la Camera dei deputati aveva approvato un testo di riforma. Il Senato non aveva fatto in tempo a discuterlo. Ora il governo, vista l’urgenza, lo ripropone come decreto legge.

Il differimento della Consulta è stato motivato con il rischio “di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”. Equivale a riconoscere che bisogna fare molta attenzione a toccare una componente dell’architettura complessiva antimafia, se si vuole evitare che questa crolli tutt’intera. Perché – dice ancora la Consulta – la mafia ha una sua “specificità” rispetto alle altre condotte criminali associative; e la collaborazione di giustizia è un valore da preservare.

Da questi “paletti” è partita la nuova disciplina disegnata dalla Camera ora ripresa dal governo, escludendo che il pentimento sia conditio sine qua non per i benefici, ma nello stesso tempo esigendo la sussistenza di altre rigorose condizioni per evitare di consegnarsi alle strategie del mafioso, riducendo tutto a un atto di fede nei suoi confronti: un pericoloso salto nel buio che farebbe della decisione un azzardo.

Per valutare o meno la congruità della nuova disciplina (che ha comunque il merito di aver cercato delle soluzioni affrontando un terreno assai impervio) conviene ricordare preliminarmente alcuni punti a mio avviso decisivi, per farne discendere che le speciali e rigorose cautele da adottare nei confronti dei mafiosi non pentiti (il cosiddetto “doppio binario”) rispondono a criteri di ragionevolezza basati – appunto – sulla concreta specificità del problema mafia, che dovrebbe sbriciolare ogni banale contrapposizione fra giustizialisti, manettari o forcaioli.

Primo punto – L’ergastolo ostativo per i mafiosi non pentiti secondo l’ordinanza della Consulta è incostituzionale per violazione dell’art. 3 della Costituzione. Che, si dice, o è uguale per tutti (mafiosi compresi) o non è. Argomento suggestivo. Però attenzione. La Costituzione (art. 49) stabilisce che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma a questo principio costituzionale è la stessa Carta (art. XII disposizioni transitorie e finali) che deroga, vietando “la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.

Ora io non sono un costituzionalista e ho tutto da imparare da chi invece lo è, ma mi sembra di poter argomentare che la Costituzione vuole che ai nemici della democrazia sia dedicata un’attenzione tutt’affatto particolare.

Qual è il rapporto dei mafiosi con la democrazia? Il mafioso è vissuto e vive per praticare un metodo di intimidazione, assoggettamento e omertà capace di dominare parti consistenti del territorio nazionale e momenti significativi della vita politico-economica del Paese. In questo modo il mafioso contribuisce in maniera concreta e decisiva a creare tutta una serie di ostacoli di ordine economico e sociale che limitano fortemente la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umana.

In altre parole, il mafioso è la negazione assoluta e al tempo stesso un nemico esiziale dell’articolo 3 su cui si fonda la Costituzione. Allora, si può dire che con la pratica sistematica dell’intimidazione e dell’assoggettamento (art. 416 bis) i mafiosi si mettono sotto le scarpe tutti i valori della Costituzione e si pongono fuori della sua area? Si può dire che per rientrarvi – senza pentirsi – devono offrire prove granitiche di ravvedimento? Si può dire che la Costituzione non è un bancomat?

Secondo punto – L’ordinanza della Consulta ritiene violato anche l’art. 27 della Costituzione (la pena deve tendere alla rieducazione del condannato).

È un principio sacrosanto di civiltà (non solo giuridica), basilare in un regime democratico. Ma che in concreto può funzionare solo per i condannati che danno prove concrete, riconoscibili e sicure di volersi reinserire o almeno fanno sperare che prima o poi ci proveranno davvero.

Non è proprio il ritratto dei mafiosi irriducibili che non si pentono (quelli cioè che hanno rifiutato e rifiutano ogni forma di ravvedimento operoso attraverso la collaborazione con la giustizia nel contrasto alla criminalità mafiosa), per cui il massimo del rigore nella predisposizione di robuste cautele nei loro confronti è semplicemente d’obbligo.

Il mafioso infatti giura fedeltà perpetua all’organizzazione e il suo status di mafioso è per sempre. Lo dicono l’esperienza e i più qualificati studi sulla mentalità mafiosa. Il mafioso non pentito continua a essere convinto di appartenere a una “razza” speciale, nella quale rientrano soltanto coloro che sono davvero uomini (non a caso autodefinitisi “d’onore”). Tutti gli altri, quelli del mondo esterno, non sono uomini. Sono individui da assoggettare. Non persone ma oggetti, esseri disumanizzati.

Tanto premesso, si può trarne ancora una volta la ragionevole conseguenza che i mafiosi (in assenza di pentimento) devono offrire prove sicure e concrete di rinunzia allo status di uomo d’onore per fruire dei benefici penitenziari?

Solo così si può sperare di evitare contraccolpi troppo rovinosi per l’antimafia. Che è poi – in buona sostanza – l’obiettivo esplicitato dalla stessa Consulta.

Fonte: La Stampa, 01/11/2022

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