Movimento per la Giustizia: la sua storia (terza e ultima parte)
Sommario della terza parte: 1. Il Movimento per la Giustizia e l’impegno civile del magistrato quale forma di partecipazione alla vita associativa. 2. Altri temi di discussioni e polemiche, la posizione del Movimento per la Giustizia. 2.1. Il sorteggio o il pre-sorteggio dei magistrati componenti del Csm. 2.2. Questione morale ed abolizione delle correnti. 2.3. Il potere dei dirigenti degli Uffici Giudiziari e, in particolare, dei Procuratori della Repubblica. 2.4. Il rapporto con l’Avvocatura. 2.5. Giustizia, informazione e comportamenti dei magistrati. 2.6. “Carrierismo”, automatismi e incarichi fuori ruolo. 3. Movimento per la Giustizia: possibili critiche ed autocritiche. 4. Conclusioni ed auspici: il rifiuto del compromesso sui principi.
1. Il Movimento per la Giustizia e l’impegno civile del magistrato quale forma di partecipazione alla vita associativa
Spesso si sente dire che i giovani magistrati non sono più, come un tempo, animati da spirito di sacrificio e di servizio e che, anche per questo, non partecipano alla vita associativa e non sono particolarmente interessati ai temi inerenti l’amministrazione della giustizia. Sarebbero condizionati da un eccesso di burocratizzazione del loro lavoro che spesso induce anche i migliori a rinchiudersi nel proprio ufficio (sempre che ne abbiano uno), prestando attenzione solo ai procedimenti loro assegnati, ai carichi medi di lavoro ed ai parametri per positive valutazioni della loro professionalità.
Ciò produrrebbe disaffezione anche rispetto alla necessità di una loro testimonianza fuori dai palazzi di giustizia su diritti e doveri dei cittadini.
Personalmente credo che le ragioni di una tale disaffezione risiedano innanzitutto nel tremendo periodo che la magistratura sta vivendo, a partire dall’esplodere del caso Palamara, e nella connessa disinformazione, spesso dolosamente finalizzata a ledere il principio di indipendenza della magistratura ed il senso stesso dell’associativismo, accusando indiscriminatamente tutti i giudici ed i pubblici ministeri di sistematiche violazioni dei loro doveri.
Orbene, preciso subito che credo fortemente nell’impegno civile del magistrato, ovviamente all’interno dei confini tracciati dalla Costituzione e la storia dell’Associazione Nazionale Magistrati e di alcune sue componenti (tra cui sicuramente il Movimento per la Giustizia) dimostra come tale impegno rafforzi la fiducia dei magistrati nel proprio ruolo e faccia crescere quella dei cittadini nella Giustizia.
Alcuni fatti servono: a partire dalla fine degli anni ’80, ad esempio, molti magistrati che si occupavano del contrasto del terrorismo interno, sostenuti dall’ANM si dedicarono anche al racconto pubblico della verità. Quei magistrati, cioè, proprio nella temperie degli anni di piombo, sentirono il dovere di uscire dai loro palazzi per discutere di legalità in scuole e università, in circoli di quartiere e nelle fabbriche, in sedi di associazioni culturali e ovunque fosse possibile, allo scopo di diffondere la conoscenza della perversa ideologia terroristica e così contrastare con fermezza il verbo di chi teorizzava la neutralità («né con lo Stato, né con le Brigate Rosse»).
Negli anni seguenti, un identico doveroso impegno è stato messo in campo contro la logica mafiosa, la corruzione, nonché a difesa dei principi costituzionali e del principio di solidarietà. Ed è così ancora oggi. Tra la fine del 2002 e la primavera del 2006 sono state numerose le iniziative cui ho preso parte come dirigente e/o a nome del Movimento per la Giustizia.
Il 14 settembre del 2002, ad es., ancora nel limbo postconsiliare e in attesa di tornare alla Procura di Milano, partecipai alla indimenticabile manifestazione di Roma, dinanzi alla basilica di San Giovanni in Laterano. Centinaia di migliaia di persone erano arrivate da ogni parte d’Italia sia per manifestare contro quelle che ormai venivano definite, anche da accademici, le «leggi vergogna», sia – soprattutto – per esternare le loro preoccupazioni per le sorti della democrazia in Italia. C’erano anche numerosi magistrati e questo scatenò le reazioni di molti politici della maggioranza: nonostante io e Juanito Patrone, all’epoca segretario di Magistratura democratica, al cui fianco partecipai alla manifestazione, avessimo tentato di spiegare a qualche importante quotidiano le ragioni della nostra presenza e la sua piena compatibilità con l’esercizio imparziale della nostra funzione, si sprecarono le affermazioni di chi riteneva quella partecipazione la prova della degenerazione della magistratura italiana.
Tra il 2004 e la primavera del 2006, i dirigenti del Movimento parteciparono ad iniziative tese a contrastare la pessima riforma costituzionale messa in cantiere e poi approvata dalla maggioranza di centrodestra che governava il paese in quegli anni. Furono moltissimi i colleghi che si “schierarono”, oltre a varie associazioni e confederazioni sindacali, all’Anpi ed a chiunque altro fosse sensibile al tema.
Il Movimento per la Giustizia e Magistratura democratica aderirono anche formalmente al Comitato per la difesa della Costituzione di cui fu nominato presidente Oscar Luigi Scalfaro. A qualche collega e a consistenti spezzoni della Associazione Nazionale Magistrati pareva improprio, se non addirittura inaccettabile, che i magistrati potessero impegnarsi – e impegnandosi, esporsi – nella campagna per spingere i cittadini a votare «No» nel referendum confermativo di quella riforma approvata che si sarebbe tenuto nel giugno del 2006. Tentammo di spiegare come, invece, quell’impegno appariva doveroso, continuando comunque a dialogare con i cittadini (soprattutto i più giovani) e ad intervenire nelle scuole, nelle università, nei centri sociali e nei quartieri, anche attraverso strumenti informatici e moderne tecnologie. E fino al giugno del 2006 fu tutto un susseguirsi frenetico di manifestazioni, convegni, dibattiti e interventi organizzati sempre per lo stesso fine : il «No» vinse con il 61,3%, riforma bocciata!
Fu per le stesse ragioni che a gennaio del 2005, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, tutti i magistrati italiani vi parteciparono stringendo in mano, ben visibile, una copia della Costituzione quale forma di protesta contro le riforme messe in cantiere dal governo. Ancora non sapevamo che allo stesso modo e per le stesse ragioni ci saremmo comportati a gennaio del 2010 in occasione della stessa cerimonia e che, anzi, indossando la toga, avremmo abbandonato le Aula Magne dei nostri palazzi al momento del discorso del rappresentante del ministero della Giustizia.
Nonostante le accuse di politicizzazione che ci piovevano addosso, molti magistrati del Movimento per la Giustizia e di MD si impegnarono con successo, sempre a sostegno del “NO”, anche nella campagna referendaria del 2016 contro la pessima riforma costituzionale definita “renziana” e messa in campo da uno schieramento politico di orientamento apparentemente opposto rispetto al 2006.
Potrei continuare ad elencare varie altre importanti occasioni di impegno civile del Movimento per la Giustizia, ma mi limito a citare quelle che hanno riguardato il tema dell’immigrazione, tuttora oggetto di dispute politiche e sociali dai toni aspri e spesso offensivi. E’ noto che, nel 2008 e 2009 da un lato e nel 2018 e 2029 dall’altro, i governi pro tempore vararono rispettivamente “pacchetti sicurezza” e “decreti sicurezza”, colmi di inaccettabili previsioni lesive di valori costituzionali.
Orbene, anche in quel caso a dieci anni di distanza l’uno dall’altro, cioè nel 2009 Movimento per la Giustizia e Magistratura Democratica e nel 2019 Area Democratica per la Giustizia organizzarono due splendidi convegni a Lampedusa, luogo di tragedie e sofferenze, ma anche simbolo dell’accoglienza. Entrambi avevano lo stesso titolo: “La frontiere del diritto ed il diritto della Frontiera”, ma al titolo del secondo era aggiunto la frase “Dieci dopo ancora insieme a Lampedusa”
Vi parteciparono – da noi invitati – avvocati, giornalisti, magistrati, alti ufficiali della Guardia Costiera nonché il Vescovo di Agrigento ed il sindaco che aprirono quegli incontri dedicati alla solidarietà. Intervennero anche ex presidenti della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Costituzionale, il responsabile dell’Alto Commissariato dell’ONU-UNCHR, il Vice Presidente della Commissione Libertà Civili del Parlamento Europeo ed un componente del Tribunale permanente dei popoli.
Sullo stesso tema, il 20 e 21 febbraio 2015, Area, Movimento per la Giustizia e Magistratura Democratica, organizzarono a Catania un altro splendido convegno (“L’immigrazione che verrà. Dal respingimento a Mare Nostrum, dall’Italia all’Europa”), cui avevano partecipato eminenti studiosi ed esperti e che fu chiuso da Anna Canepa e Nicola Di Grazia, rispettivamente segretari di MD e del Movimento.
Spero che ciò che ho sin qui raccontato possa servire a rispondere a tutti coloro che accusano i magistrati impegnati fuori dai palazzi di giustizia di parlare e scrivere al di là di quanto sarebbe loro esclusivamente concesso, cioè solo con sentenze ed atti giudiziari. E ciò farebbero – si dice – per ragioni legate alle personali convinzioni politiche, finendo con il compromettere l’autorevolezza e l’immagine di terzietà della magistratura. Di fronte a tali accuse vorrei chiedere a chi le formula di evitare ingiustificate generalizzazioni: la Costituzione non prevede solo principi e diritti astratti, ma impone anche doveri per i cittadini che vi si riconoscono, come l’impegno per la difesa dei diritti fondamentali.
È questo il modello di magistrato che auspico per il futuro delle correnti dell’ANM, a partire ovviamente dal Movimento per la Giustizia, un futuro caratterizzato cioè da un impegno civile perfettamente compatibile con la professione e con la vita associativa, ed anzi capace di “purificare” l’Associazione stessa.
Del resto, già ad anni precedenti la fondazione nel 1909 dell’Associazione generale tra i magistrati italiani, risalgono le resistenze del ceto politico rispetto a questo tipo di impegno dei magistrati: precisamente nell’agosto del 1907, il guardasigilli Vittorio Emanuele Orlando aveva diramato una circolare ai capi delle Corti nella quale rilevava con rammarico la diffusione tra i magistrati del «costume di pubblicamente interloquire intorno a questioni attinenti l’esercizio dell’ufficio loro, sia sotto forma di interviste, sia con lettere o con articoli», e concludeva minacciando sanzioni in caso di abusi. Lo stesso ministro, in una intervista al «Corriere d’Italia» del 23 agosto 1909, a proposito della ormai intervenuta fondazione dell’Agmi, esprimeva «dubbi gravissimi sulla possibilità che l’iniziativa produca frutti utili e degni [1]».
La rottura della separatezza della casta, l’apertura alla politica, la messa in crisi del principio gerarchico e della stessa dipendenza della magistratura rispetto all’esecutivo erano appunto la stessa ragione d’essere della Associazione. Del resto, proprio nella seduta di fondazione dell’Agmi, Giovanni Sola, appena assunta la presidenza, esordì osservando: «La magistratura italiana, già da tempo, sente il bisogno di uscire dal suo isolamento di fronte allo sviluppo economico e sociale del paese e ai complessi problemi che tuttora gravano insoluti sugli ordinamenti della giustizia». Sono parole e concetti che riecheggeranno negli anni successivi e che si devono considerare attuali ancora oggi.
Sono orgoglioso di appartenere a un’associazione che ha questa storia e che non a caso raccoglie il 94% dei magistrati italiani. Dunque, pur dando per scontato che anche al nostro interno si manifestano talvolta condotte incompatibili con il codice deontologico che ci siamo dati (tra cui contiguità politiche, insufficiente operosità e scarsa sensibilità al pubblico interesse), non comprendo come oggi sia possibile per molti magistrati dimenticare le nostre radici, reclamare per l’Anm una prevalente attenzione agli aspetti economico-sindacali e snobbare indifferenti i valori alti che ci legano, in nome di riforme o progetti di riforme che hanno il sapore del populismo.
Il Movimento per la Giustizia non lo ha mai fatto.
2. Altri temi di discussioni e polemiche, la posizione del Movimento per la Giustizia
Affronto di seguito alcuni dei temi di maggior rilievo del dibattito pubblico riguardante la Giustizia. Ovviamente, lo sono quelli riguardanti la separazione delle carriere e la giustizia civile, ma, vista l’impossibilità di trattarli sinteticamente in questo già lungo documento, basta ricordare :
– sulla separazione delle carriere, tema che tanto affascina alcuni settori della politica e l’Unione delle Camere Penali, che gli argomenti che vi si oppongono sono numerosi e vincenti, riguardando principi costituzionali, l’assetto prevalente a livello internazionale, la raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sul “Ruolo del Pubblico Ministero nell’ordinamento penale”. Non vale la pena, pertanto, rispondere ad affermazioni di segno opposto, anche se provenienti da settori minoritari di altre correnti e da ex magistrati, in quanto infondate, incolte e talvolta offensive (come quella secondo cui i giudici, per effetto della già limitata possibilità di interscambio delle funzioni, sarebbero portati ad accogliere le tesi dei p.m.);
– sulla giustizia civile, che, insieme ad MD, il Movimento ha costituito il “Gruppo sul civile”. Si tratta di un esempio di collaborazione tra le due correnti voluta da Carlo Verardi, che ne vantò l’importanza in un suo intervento a fine duemila al congresso di MD, l’ultimo prima della sua prematura scomparsa avvenuta il 15 settembre del 2001. Il gruppo gradualmente è stato assorbito nell’attività degli Osservatori per la giustizia civile cui molti magistrati del Movimento partecipano con entusiasmo e di cui Gianfranco Gilardi è animatore dopo la scomparsa di Verardi.
Altri temi appresso trattati continuano a suscitare aspre polemiche e parlarne consente di meglio precisare storia e posizioni del Movimento per la Giustizia. A tal proposito, se alcuni dei dirigenti o degli appartenenti al gruppo non dovessero condividere le mie affermazioni, mi scuso con loro: io parlo della storia che ho vissuto e delle scelte del Movimento cui, con molti altri colleghi, ho contribuito. Poi, è ben possibile che tutto cambi, ma io non me lo auguro, specie rispetto a quanto segue.
2.1. Il sorteggio o il pre-sorteggio dei magistrati componenti del Csm
La riforma di cui più frequentemente si discute è quella del Csm. All’inizio dell’estate del 2009, i quotidiani avevano pubblicato una notizia capace di dar corpo ai peggiori fantasmi che potessero aleggiare sulla magistratura italiana: il ministro della Giustizia Alfano stava infatti studiando l’ennesima possibile modifica del sistema di designazione dei componenti togati del Csm. Si voleva introdurne la nomina per sorteggio, allo scopo di distruggere il peso delle correnti: una cinquantina di nomi di candidati sarebbero stati estratti «dall’urna» (immagino grazie alla manina di una dea bendata) e solo tra questi i magistrati avrebbero potuto esercitare il loro diritto di eleggere i membri togati del Csm. Un diritto previsto dalla Costituzione (art. 104, comma 3) che, secondo gli strateghi di questo disegno, sarebbe stato preservato grazie al voto finale da esprimersi rispetto alle poche decine di nomi estratti dall’urna. Ma la Costituzione prevede elezioni vere e libere, senza alcuna possibilità di eluderne o limitarne la portata. I magistrati, infatti, hanno il diritto di interloquire sul funzionamento della giustizia, sulla sua organizzazione, sulla difesa della propria indipendenza: è meglio nominare un dirigente più anziano o uno più dinamico e capace (vecchio tema di discussione)? È meglio privilegiare la specializzazione o la pluralità delle esperienze professionali? È giusto organizzare corsi di aggiornamento professionale aperti alle esperienze esterne alla magistratura? O è meglio evitarlo? In che senso interpretare la possibilità di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale ecc.? E – passando alle valutazioni dei disegni di legge – è accettabile che in nome della sicurezza si sacrifichino i diritti fondamentali delle persone?
E tuttora non vedo perché dovrebbe essere vietato o criticabile che anche i magistrati riconoscano le proprie affinità con taluni colleghi e ai colleghi affini preferiscano far riferimento per elaborazioni culturali o per designarli – attraverso il voto – a compiti di rappresentanza nell’Associazione o a funzioni istituzionali in seno al Csm. È normale, infatti, che le correnti, in vista delle elezioni dei dirigenti dell’Associazione magistrati o dei componenti togati del Csm designino i propri candidati ed elaborino programmi sottoponendoli al giudizio dei magistrati elettori. È logico, dunque, che al momento di eleggere i componenti del Csm il magistrato elettore che intenda esprimere un voto consapevole voglia conoscere le opinioni e i programmi dei candidati. Ed è altrettanto logico che costoro, per presentarsi agli elettori, si aggreghino per omogeneità di vedute e vogliano rendersi riconoscibili con un programma, una sigla. Sono le regole fondamentali della democrazia. E la democrazia rappresentativa non riguarda solo il Parlamento e le elezioni politiche, riguarda anche l’elezione dei comitati di quartiere. Ecco perché all’interno dell’Associazione magistrati si sono formate le tanto vituperate correnti: luoghi di aggregazioni ideali, delle quali va contrastata non la ragion d’essere, ma solo la deriva corporativa.
Il sorteggio, insomma, è una ipotesi di riforma offensiva ed umiliante per i magistrati, con il Csm ridotto al rango di una bocciofila di quartiere e i magistrati al livello di persone che non sanno giudicare, orientarsi, scegliere, partecipare alla vita democratica e che sono costretti ad accettare che le alte funzioni consiliari siano esercitate da colleghi selezionati in base al caso. Naturalmente, il sorteggio – secondo chi ne è sostenitore – dovrebbe riguardare solo i componenti togati del Csm e non quelli di nomina politico-parlamentare! Ancora una volta si conferma, in tal modo, un convincimento diffuso in politica: i magistrati sono persone da punire, anche privandoli del diritto di voto.
Ricordo con orgoglio, pertanto, la posizione assunta dal Movimento per la Giustizia, fermamente contraria ad ogni tipo di sorteggio per selezionare i componenti del CSM, una fermezza mantenuta anche negli ultimi anni quando, riforma ordinamentale Cartabia alle porte, una parte della magistratura (tra cui anche pm e giudici noti che qui non vale la pena di nominare) ha continuato incredibilmente a sostenere, ed ancora sostiene, la necessità del sorteggio per vincere le degenerazioni correntizie .
La soluzione dei problemi emersi in questi anni sta nel pretendere che i magistrati, a partire dai più giovani, esercitino il diritto di voto in modo consapevole, premiando gli sforzi di chi si adopera – nel Csm, nell’Associazione e nel suo lavoro quotidiano – nell’interesse dei cittadini e della giustizia, anziché del gruppo di appartenenza.
Si deve però chiedere a politici, a studiosi, alla stampa ed a chi osserva la realtà che ci circonda di evitare ingiustificate generalizzazioni e strumentalizzazioni delle criticità nel tempo emerse.
2.2. Questione morale ed abolizione delle correnti
Altra proposta populista che periodicamente torna di attualità è quella di abolire le correnti dei magistrati, non si comprende se con legge o con atto interno dell’ANM. Prescindendo dalle già ricordate ragioni storiche e culturali della nascita e dello sviluppo delle correnti, fondate su diverse visioni del ruolo del CSM e della stessa idea di organizzazione e gestione della giustizia, ci si deve chiedere se chi formula tale ipotesi conosca la Costituzione ed il principio di libertà di associazione previsto nell’art. 18.
Tra i magistrati circolano spesso sconcerto e rabbia, essendo tutti consapevoli che, ad es., le note conversazioni e gli incontri di cui si è parlato negli ultimi tempi costituiscono quanto meno le specchio di relazioni personali a dir poco improprie e di interessi di singoli, di correnti e di esponenti di partiti che si intrecciano al di fuori degli ambiti istituzionali.
Ma deve essere chiaro che non esistono bacchette magiche per rigenerare le correnti e l’impegno associativo così come la “questione morale” non cesserà mai di esistere, così come sarà sempre impossibile eliminare una quota di discrezionalità nelle scelte consiliari e mi spiace che anche all’interno del Movimento per la Giustizia-Articolo 3 e di Area Democratica per la Giustizia non si manifesti compattezza su questi temi. Le correnti, allora, tornino ad essere luoghi di discussione ideale e culturale come erano e come possono esserlo ancora, a partire da un impegno civile che, ovviamente collegato a questioni giuridiche, le spinga a schierarsi innanzitutto a tutela dei diritti fondamentali delle persone ed a difesa dei principi costituzionali su cui si regge ogni democrazia. Non si tratta di un’affermazione retorica e scontata: devono essere cancellati i frutti marci dell’associazionismo, vivendolo virtuosamente nel quotidiano. Per le correnti deve valere – e non solo in occasione delle scadenze elettorali – più la coerenza dell’agire in relazione ai principi cui si ispirano ed alla propria identità culturale, piuttosto che la ricerca del consenso o la politica dei “passi felpati” e degli accordi ad ogni costo. Questa è almeno l’idea delle correnti in cui hanno sempre creduto coloro che hanno contribuito a fondare ed a far crescere il Movimento per la Giustizia.
Il pericolo, insomma, è che le conseguenze di quanto è sotto i nostri occhi diano nuovamente fiato a chi vuol umiliare la magistratura riducendola al rango di un ordine sottoposto agli altri due poteri, teoria costituzionale “innovativa” rispetto ai rudimenti della educazione civica, ma in epoca berlusconiana cara persino a due ministri della Giustizia.
L’irrinunciabile pre-requisito di ogni riforma – che da sé non potrà mai essere la panacea di tutti i mali – riguarda comunque i magistrati elettori per i quali, ai fini di un voto libero e motivato va invocata, così come per i cittadini nelle elezioni politiche, una più approfondita conoscenza dei programmi e dei profili dei candidati, verificandone successivamente – se eletti – la fedeltà e la coerenza rispetto ai principi dichiarati . Lo ripeterò fino alla noia.
2.3. Il potere dei dirigenti degli Uffici Giudiziari e, in particolare, dei Procuratori della Repubblica
Esiste indiscutibilmente un “potere” specifico dei dirigenti degli Uffici Giudiziari, cioè Procuratori della Repubblica, Presidenti di Tribunali, Corti di Appello e Corte di Cassazione. Orbene, anche rispetto all’esercizio di questo tipo di potere si sono sviluppate discussioni e polemiche tra chi è convinto che, soprattutto per i Procuratori della Repubblica, si tratti di un potere sostanzialmente gerarchico e chi ritiene – a mio avviso correttamente – che si tratti invece di un potere organizzativo che richiede una costante interlocuzione con i magistrati componenti dell’Ufficio.
Qui mi riferirò all’esercizio del potere dirigenziale all’interno delle Procure, sia perché è in tali uffici che si è consumata l’intera mia esperienza professionale, sia perché per la dirigenza degli uffici giudicanti è davvero insignificante la posizione di chi sposa l’idea di un Presidente-Capo di Tribunali e Corti.
Personalmente non ho mai accettato, neppure quando ho diretto la Procura di Torino, la definizione di “Procuratore Capo della Repubblica”, al punto da farla rimuovere dall’accesso al mio ufficio.
Non ho dubbi sul fatto che il Movimento per la Giustizia abbia sempre sostenuto tale convinzione perché, indipendentemente dalle dimensioni dell’ufficio, un Procuratore della Repubblica non può ispirarsi ad una concezione gerarchica dell’esercizio delle sue funzioni: egli deve operare in piena armonia con tutti i componenti dell’ufficio stesso, non solo con i Procuratori Aggiunti, di cui va valorizzato appieno il ruolo co-organizzativo, ma anche con i Sostituti, rispettandone autonomia, professionalità e dignità. A tal fine, principale strumento è ovviamente quello delle Assemblee periodiche e frequenti.
E l’obbligo di esercitare l’azione penale previsto nell’articolo 112 della Costituzione deve intendersi come obbligo del Pubblico Ministero come ufficio! Con tale principio devono armonizzarsi l’interpretazione e l’applicazione del testo dell’art. 2 del D. Lgs. 20 febbraio 2006 n. 106 (come modificato dall’art. 1 L. 24.10.2006 n. 269) secondo cui “Il procuratore della Repubblica, quale titolare esclusivo dell’azione penale, la esercita personalmente o mediante assegnazione a uno o più magistrati dell’ufficio”, esercitando anche i suoi doveri in tema di selezione delle priorità nel rispetto della legge.
Ciò significa che la gerarchia di tipo organizzativo da praticarsi deve essere soprattutto capace di esprimere un potere di indirizzo circa l’adozione, da parte degli aggiunti e dei sostituti, di criteri omogenei ai fini delle determinazioni inerenti il promovimento dell’azione penale e circa l’utilizzo delle risorse disponibili: un problema reale, presente in ogni Procura, che va affrontato “facendo squadra” .
Di conseguenza, il “corretto, puntuale ed uniforme” esercizio dell’azione penale, che deve essere la prima preoccupazione di un Procuratore, rimanda ad un cammino che tutti i componenti dell’ufficio devono insieme progettare e costruire, facendosi poi carico della sua manutenzione, cioè dell’aggiornamento e della ulteriore messa a punto delle scelte, anche per effetto del diluvio di leggi, convenzioni e sentenze che ci piovono addosso intensamente, persino da terre lontane! Ed il Procuratore, in questo, riveste un decisivo ruolo di spinta.
Insomma, i “procuratori-mandarini” sono esistiti in passato, ma rischiano di rivivere in futuro se dovesse prevalere una visione gerarchica dei poteri dei procuratori, non estranea a vari magistrati che rivestono tale ruolo.
Non è un caso che Area Democratica per la Giustizia sia impegnata costantemente sul tema dell’organizzazione degli uffici in nome della loro trasparenza ed efficienza, pur se si tratta di un impegno non sempre gradito ad alcuni dirigenti.
2.4. Il rapporto con l’Avvocatura
Importante è il tema dell’attenzione che i magistrati devono riservare ai rapporti ed al confronto con l’Avvocatura, co-protagonista della giustizia, al fine di poter individuare e superare, anche per quella via, criticità organizzative degli Uffici Giudiziari, a partire dal deficit di personale amministrativo.
Sono pertanto auspicabili incontri tra dirigenti di tali uffici ed i rappresentanti dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati e delle Camere Penali che possono favorire, ad es., alcune scelte organizzative come quelle concernenti l’assetto dei gruppi specializzati dei Pubblici Ministeri e delle Sezioni di Tribunale, l’elaborazione dei criteri di priorità nella trattazione degli affari penali, le modalità di svolgimento delle udienze, l’accesso informatico a taluni atti e l’acquisizione di copie digitalizzate di atti, l’inoltro reciproco informatizzato di istanza ed atti.
In questa cornice, trovo condivisibile che nella cd. Riforma Cartabia, che ovviamente non è possibile qui prendere in considerazione nella sua interezza, si preveda il coinvolgimento di avvocati e professori in alcune delle competenze dei Consigli giudiziari, tra cui le valutazioni di professionalità, ove comunque il voto degli avvocati deve essere unanime e conforme alla valutazioni del Consiglio dell’Ordine forense competente. Del resto le decisioni sull’avanzamento in carriera dei magistrati spettano al Consiglio Superiore della Magistratura, che da sempre decide con la partecipazione dei membri laici.
Sarebbe certo auspicabile, a parere di chi scrive, sulla base del principio di reciprocità, l’intervento e il possibile parere della componente togata del Consiglio Giudiziario in occasione di delibere, come quelle organizzative, di competenza dei Consigli dell’Ordine forense, ma non è condivisibile elevare muri – come alcune correnti e vari magistrati hanno fatto – contro questo aspetto della riforma, ipotizzando atteggiamenti vendicativi (o quasi) di avvocati, conseguenti a precedenti “scontri” processuali con i magistrati da valutare. Trovo quest’ argomento offensivo nei confronti della classe forense, quasi che la dialettica processuale tra le parti, che può essere spesso accesa, condizionasse il dovuto leale rapporto tra Avvocatura e Magistratura.
Il Movimento per la Giustizia, al di là di isolate e criticabili eccezioni, non ha assunto fortunatamente questa posizione, pur non rinunciando ad un confronto con il Ministro della Giustizia – come del resto ha fatto l’ANM – in ordine a criticità rilevabili nella riforma.
2.5. Giustizia, informazione e comportamenti dei magistrati
È questo un argomento di discussione rispetto al quale il Movimento per la Giustizia può rivendicare una linea coerente, che ha portato i suoi componenti, indipendentemente dagli incarichi direttivi eventualmente rivestiti, a rifuggire da insopportabili eccessi di retorica e di autoreferenzialità.
Tali eccessi sono individuabili negli atteggiamenti, nelle conferenze stampa e nelle parole di alcuni magistrati, pur se lodevolmente impegnati in indagini difficili e pericolose e per questo meritevoli della gratitudine di tutti. Non sono apprezzabili, infatti, quanti si propongono (o accettano che altri li propongano) come eroi solitari e isolati, unici custodi e ricercatori della verità, sicché chiunque osi esprimere critica e dissenso rispetto al loro operato viene solo per questo collocato nello schieramento dei nemici del bene e della verità.
Ad avviso del Movimento, si deve evitare di incorrere, sia pure in buona fede, in simili atteggiamenti, espressione di una errata concezione del potere e dei doveri che la legge attribuisce ai magistrati. Ciò rischia, peraltro, di indurre in errore la pubblica opinione, facendole credere che la giustizia sia terreno riservato ad una eroica élite di magistrati ed investigatori: il nostro, invece, è un lavoro normale come tanti altri e la Giustizia è un “bene comune” che può affermarsi solo con l’impegno quotidiano di una collettività sensibile, qualunque sia il lavoro ed il sistema di vita di quanti la compongono.
Si spiega dunque come il D. lgs. 8 novembre 2021, n. 188, conosciuto come “legge sulla presunzione di innocenza” di (parziale) recepimento della direttiva UE 2016/343, abbia inteso, con minime criticità e senza introdurre affatto alcun bavaglio all’informazione, contrastare prassi inaccettabili, come conferenze stampa teatrali, commenti che anticipano le decisioni quasi che i provvedimenti restrittivi equivalgano a vere e proprie sentenze.
Il dovere di informazione va esercitato nei limiti della legge, rispettando la privacy, le regole deontologiche, e ovviamente la presunzione di innocenza, facendo piazza pulita di quella furia comunicativa che porta alcuni magistrati ad esaltare le proprie inchieste o quelle del proprio ufficio.
2.6. “Carrierismo”, automatismi e incarichi fuori ruolo
Tralasciandone altre, chiudo l’elenco delle problematiche di rilievo che dividono spesso anche l’ANM, citandone ancora tre che hanno visto il Movimento per la Giustizia discuterne apertamente, pervenendo a scelte apprezzabili, anche se, purtroppo, non sempre del tutto condivise al suo interno.
Si è già detto nel par. “2.2” quanto assurda possa essere l’ipotesi di abolizione delle correnti dell’ANM, esistenti o future, descritte quali aggregazioni di potere senza ideali, che agiscono per favorire i rispettivi iscritti nelle nomine e nelle progressioni in carriera, condizionate da amicizie, localismi geografici e permeabilità a pressioni politiche. Si invoca innanzitutto, per porvi rimedio, la trasparenza piena delle motivazioni di ogni scelta consiliare e su questo non si può non essere d’accordo, pur se la pubblicità delle sedute delle Commissioni consiliari non può certe bastare a vincere le deviazioni che si vogliono contrastare e non è certo idonea a far emergere possibili influenze esterne.
Ecco allora che molti magistrati e spezzoni associativi, condizionati dal dominante populismo (sostantivo che giudico il più appropriato per definire il nuovo e pessimo modo di discutere e sostenere le proprie opinioni nelle società moderne), contrastano l’aspirazione ad assumere incarichi direttivi o semidirettivi in un ufficio requirente o giudicante (definendola riprovevole “carrierismo”), auspicano automatismi di ogni tipo nelle nomine ad incarichi direttivi e semidirettivi in modo da cancellare la discrezionalità delle scelte e penalizzano i magistrati che hanno svolto – o sono disponibili a svolgere – attività fuori ruolo, quasi che ciò comportasse un marchio eterno di inaffidabilità.
In realtà, queste posizioni sembrano ispirarsi alla logica della rassegnazione ed insieme della risposta rabbiosa: Claudio Castelli ha recentemente parlato, in modo condivisibile, della “demonizzazione dei magistrati fuori ruolo accusati, delle più varie nefandezze” o delle accuse che provengono da certi settori della politica secondo cui essi sarebbero anche “il braccio armato della magistratura nei Ministeri, che in tal modo imporrebbe ad un Parlamento, evidentemente inconsapevole, opzioni gradite alla magistratura” [2]. Si deve allora reagire con intelligenza sia a certe offensive posizioni, che alle derive presenti effettivamente nei comportamenti di taluni magistrati collocati fuori ruolo.
Nulla autorizza a dimenticare, infatti, la cultura istituzionale di magistrati che hanno svolto importanti incarichi fuori ruolo, inclusi quelli politici, rientrando con onore ed apprezzamento diffuso nell’esercizio delle precedenti funzioni ordinarie di magistrato. Per limitarmi a quelli “movimentisti”, voglio qui ricordare i nomi di G. Falcone, V. Zagrebelsky, G. Lattanzi, E. Lupo, V. D’Ambrosio, D. Carcano, G. Melillo, ma tanti altri potrebbero essere citati, anche appartenenti ad altre correnti. E’ così che “si fa giustizia di demagogiche quanto diffuse, all’esterno e all’interno della stessa magistratura, crociate contro i magistrati fuori ruolo, che in molte situazioni assicurano una competenza professionale non altrimenti reperibile” [3].
Inoltre, non credo affatto che, in nome di un presunto rigore morale, sia corretto penalizzare l’aspirazione a ricoprire funzioni direttive da parte dei magistrati, senza neppure distinguerne la natura.
È al CSM che tocca bocciare le ambizioni di carriera fondate sul poco o sul niente valorizzando esperienze e professionalità positive, anche se riguardanti incarichi fuori ruolo ministeriali, o di natura istituzionale o di livello internazionale, in ordine ai quali è pur sempre possibile valutare il grado di indipendenza dimostrato da chi li ha rivestiti.
Compito nient’affatto semplice, tanto che ogni CSM tende ad emettere nuove circolari per il conferimento di incarichi direttivi e semidirettivi, allo scopo di rendere le nomine più semplici (mentre spesso avviene il contrario) e di eliminare ogni possibile discrezionalità, proposito – quest’ultimo – assolutamente surreale visto che per tali nomine non si potrà mai procedere premendo uno o più tasti per ottenere un valore matematicamente incontestabile e una conseguente graduatoria di meritevoli.
La condanna che si vuol comminare a chi ha svolto o intende svolgere incarichi fuori ruolo ed a chi aspira ad esercitare ruoli direttivi o semidirettivi, non può in alcun modo dar luogo a misure preventive o a “cure” fondate su automatismi o su generalizzati e non mirati divieti.
Ed il Movimento per la Giustizia, per quanto noto a chi scrive, si è sempre battuto per tutto questo, senza rinunciare a corretto confronto con chi sostiene opinioni diverse, senza rinchiudersi in certezze prive di dubbi e senza evitare le necessarie autocritiche
3. Movimento per la Giustizia: le possibili critiche ed autocritiche
Mi avvio alla fine e mi sembra necessario domandarmi se, fin qui, sia stato troppo sbilanciato nel sottolineare i tanti aspetti positivi della storia del Movimento per la Giustizia, tacendo su possibili criticità.
Non intendo, infatti, apparire un mero “laudator temporis acti”: non mi sento un “conservatore” guidato dal mero rimpianto del passato, quanto – piuttosto – un critico per antitesi di certi aspetti del presente.
Sulla chat e sulla mailing list del Movimento circolano in proposito affermazioni importanti (anche quando non si condividono), così come su Giustizia Insieme sono stati pubblicati articoli (due per tutti: quelli di Giovanni Tamburino e Vito D’Ambrosio nel numero 0/2008) che spingono a riflettere: V. D’Ambrosio affermava, rientrato in magistratura dopo dieci anni, “di avere trovato un Movimento cambiato e non di poco…con mutamenti che non erano semplici effetti degli anni passati…un percorso che è stato un susseguirsi di stop and go, freno ed acceleratore che ha confuso la nostra immagine”. Parlava, anche dell’atteggiamento di fronte alle polemiche politiche riaccese contro la Magistratura ed alle minacce alla sua posizione istituzionale.
E Giovanni Tamburino citava coloro che, tra i magistrati, avevano “nel frattempo scelto strade diverse per ragioni che comunque sono state utili per riflettere sull’idoneità attuale del Movimento a dare risposte efficaci per una figura di magistrato adeguato alla domanda di giustizia secondo i valori della Costituzione Repubblicana, sempre più impellente, e per un associazionismo giudiziario all’altezza delle sfide che vengono sia dall’interno della stessa magistratura, che dalla società e dalla politica, attento al servizio e non al corporativismo in ogni sua forma”.
D’Ambrosio e Tamburino, comunque, credevano nel Movimento e nella forza della sua laicità e libertà nell’approccio ai temi della giustizia. È quello in cui anche io oggi credo, pur se non ci si può limitare ad “etichettare festosamente le nostre scelte di vent’anni fa” [4]. Le parole dei due illustri colleghi ed amici potrebbero essere citate ancora oggi a 34 anni dalla fondazione del Gruppo.
Le vicende generazionali e la modernità influiscono certamente anche sull’associazionismo e per i giovani magistrati contano il clima sociale e culturale negli anni della formazione: ma, considerando che forse è giunto il momento per un nuovo 1988, può ben dirsi che la difesa del passato diventa talvolta un ritorno al futuro.
Ecco perché deve chiedersi all’ANM ed al Movimento di evitare il ripetersi di scelte che talvolta si sono manifestate e che non sono condivisibili: non si deve, cioè, prestare attenzione solo agli aspetti impiegatizi e corporativi della funzione del magistrato.
Il Movimento per la Giustizia, in particolare, deve interrompere e ribaltare un percorso di fatto che sembra intrapreso e che sembra poter prevedere alla fine “lo scioglimento di fatto del gruppo” quasi che il proprio compito associativo sia stato raggiunto o “appaltato ad Area Democratica per la Giustizia” [5], che – come si è detto – solo in futuro potrà diventare una corrente se tutte le originarie componenti fondatrici decideranno di autosciogliervisi o se taluna di esse decidesse in modo trasparente di “sfilarsi”.
Ma fino a quel momento, occorre preservare la identità del Movimento, esprimendo in autonomia le proprie posizioni ed altrettanto consentendo di fare agli iscritti, pur dissenzienti rispetto alle scelte dei dirigenti. La “doppia tessera” non è un falso, ma una realtà possibile e sin qui praticata, e la cultura progressista consente momenti diversi di impegno, crescita e coinvolgimento delle nuove generazioni di magistrati.
Non a caso la definizione del gruppo rimanda al comune impegno delle due correnti fondatrici: “Area” (termine che indica un terreno ampio e senza netti confini in cui operare), “democratica” (parola finale della denominazione di MD), “per la Giustizia” (parole finali della denominazione del Movimento).
Tutti insieme, dunque, per un percorso comune, per un rinnovato impegno civile, nonché per individuare (o rinforzare: ndr) “nuove idee forti della cultura della giurisdizione servizio, professionale e responsabile” che ha sempre caratterizzato il gruppo, “da proporre ai magistrati italiani ed alla magistratura associata, confidando che per esse possa realizzarsi una condivisione di obiettivi più tempestiva di quanto accaduto in passato”, quali quelli su cui “il Movimento si sta oggi impegnando, in particolare: gestione partecipata degli uffici giudiziari, corresponsabilizzazione dell’avvocatura anche nei temi ordinamentali; ricerca dii un metodo di confronto permanente, caratterizzato da libertà, trasparenza e spirito costruttivo, sia nella vita interna del gruppo che nell’azione associativa con le altre correnti..; promozione di un’area di azione politico-associativa che vada oltre le specifiche appartenenze e si incontri e realizzi su valori condivisi, obiettivi specifici, azioni coerenti, senza remore o riserve o eccezioni che trovano la reale giustificazione solo nella regola dell’appartenenza” [6].
In questo quadro la “questione morale” non può e non deve mai perdere il ruolo di “stella polare” dell’agire del gruppo.
E, aggiungo, perché non scendere in campo con chiarezza, forza e continuità, con iniziative simili a quelle messe in campo già vent’anni fa contro “leggi vergogna” e progetti di riforma punitivi nei confronti della Magistratura (si rimanda al par. 4)? La situazione, oggi, non sembra affatto migliorata, anzi !
Forza Movimento!
4. Conclusioni ed auspici: il rifiuto del compromesso sui principi
Ovviamente la giusta decisione nel settore penale e civile, al termine di una corretta e rapida trattazione di indagini e procedimenti, costituisce la stella polare del lavoro dei magistrati, ma altre luci devono illuminarlo ed una di queste è la storia e la ragione d’essere dell’Associazione Nazionale dei Magistrati, nella quale – mi auguro – devono essere soprattutto i giovani giudici e pubblici ministeri ad impegnarsi per ridarle piena credibilità.
Proprio ai tanti giovani colleghi che progressivamente perdono fiducia in chi li rappresenta ed ai quali ho qui già raccomandato di esercitare il loro diritto di voto in modo consapevole, mi permetto di raccomandare di tenersi lontani da ogni forma di populismo. Ma chiedo loro anche di conoscere e ricordare la storia della nostra Associazione, che è una storia bella e ricca e che non deve essere infangata da comportamenti interni vergognosi o da accuse ingiustamente generalizzanti ed interessate.
A tal proposito, vorrei ricordare che a Napoli, nel quartiere San Lorenzo, vi sono lapidi in marmo che affollano i muri della chiesa di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta. La piazzetta dove la chiesa si trova è tagliata, manco a farlo apposta, da via dei Tribunali. I testi stupendi delle lapidi sono scritti in latino. Suscitano tutti un’eco profonda, ma due, in particolare, mi hanno sempre colpito e sempre rileggo quando passo in quella zona. Il primo dice: Excellentium virorum est improborum negligere contumeliam a quibus etiam laudari turpe [È degli uomini migliori non curarsi degli insulti degli improbi, giacché persino essere lodati da costoro è motivo di vergogna]. Il secondo è ancor più significativo: Audendo agendoque Respublica crescit non iis consiliis quae timidi cauta appellant [La cosa pubblica cresce con coraggio e con l’azione, non con le decisioni che i pavidi chiamano caute] [7].
Rileggo ancora: «La cosa pubblica cresce con coraggio e con l’azione, non con le decisioni che i pavidi chiamano caute». Il pensiero va subito a quanti, ovunque collocati, nelle istituzioni o nei partiti, ma anche nell’Associazione Nazionale Magistrati, conoscono solo la prudenza come criterio-guida della propria azione politica. La prudenza, sia ben chiaro, è virtù per chiunque, ma quando assume i caratteri del compromesso sui principi diventa vizio da evitare, quasi sempre un peccato che è difficile perdonare.
* Terza parte della Relazione tenuta al corso “Storia della magistratura e dell’Associazionismo” per la SSM a Scandicci 3/5 ottobre 2022 nella Quarta sessione: “Le Correnti dell’ANM dai programmi ai segni della crisi: una prospettiva storica”.
Fonte: Giustizia Insieme
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Armando Spataro è stato uno dei fondatori del Movimento per la Giustizia nel 1988. Questo intervento contiene riflessioni ed ampi brani in parte già pubblicati in un suo libro (Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e Mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa, Laterza, 2010), nonché in interviste ed articoli vari, tra cui quelli pubblicati su Giustizia Insieme, Questione Giustizia, I diritti dell’uomo, Politica del Diritto e in relazioni predisposte per Corsi di aggiornamento della SSM. Vengono anche riportati, con l’assenso degli autori, brani tratti da due interventi di Giovanni Tamburino e Vito D’Ambrosio, pubblicati sulla rivista “Giustizia Insieme” 0/2008, in occasione del ventennale della fondazione del Movimento per la Giustizia. Anche ogni più limitata citazione di interventi ad altri attribuibili, comunque, è qui riportata con l’assenso dei rispettivi autori. Va precisato, infine, che – ai fini della redazione del presente documento – sono risultati utili i suggerimenti di altri vari “storici” appartenenti al Movimento per la Giustizia – Art. 3.
Durante il suo intervento a Scandicci (SSM), l’autore – secondo lo schema previsto anche per gli altri tre relatori (Mario Cicala per Magistratura Indipendente; Wladimiro De Nunzio per Unità per la Costituzione e Vittorio Borraccetti per Magistratura Democratica) – è stato intervistato da Antonella Magaraggia, co-fondatrice e già Presidente del Movimento per la Giustizia.
Note
[1] Come è noto, nell’aprile 1904, un gruppo di 116 magistrati in servizio nella Corte d’Appello di Trani sottoscrisse un proclama per rivendicare la dignità della funzione e sollecitare la riforma dell’ordinamento giudiziario. Quel documento, conosciuto come il «Proclama di Trani», è considerato il primo passo sulla strada della successiva formale fondazione dell’Associazione magistrati nel 1909. Il testo di questo documento può essere letto nel già citato libro Cento anni di Associazione magistrati, a cura di Edmondo Bruti Liberati e Luca Palamara, Ipsoa, Milano 2009. La storia dell’Anm è anche dettagliatamente narrata nel sito dell’Associazione (www. associazionemagistrati.it).
[2] “Contro la demonizzazione dei magistrati fuori ruolo”, in Questione Giustizia, 9.9.2022. Claudio Castelli, in tale importante articolo, affronta tutti gli aspetti oggetto della “demonizzazione”, ricordando l’interesse dell’amministrazione di appartenenza allo svolgimento di tali incarichi e precisando alla fine che, dall’ultimo censimento (30 aprile 2021) effettuato dal CSM sui magistrati ordinari fuori ruolo, tolti i ruoli elettivi (16 componenti del CSM e 4 parlamentari), ne risultano 42 impegnati presso organi costituzionali (CSM, Corte Costituzionale e Presidenza della Repubblica, tra cui due Giudici costituzionali) e 161 in altri incarichi di cui ben 28 con incarichi internazionali (spesso direttamente giurisdizionali), 80 presso il Ministero della Giustizia ed i restanti – 131 – presso altri Ministeri ed organi.
[3] Csm e ordinamento giudiziario. Quali riforme? (Edmondo Bruti Liberati, in Politica del Diritto, n. 4/2021)
[4] Vito D’Ambrosio, articolo citato del 2008.
[5] Le riflessioni in corsivo sono di Luisa Savoia, qui utilizzate con il suo consenso.
[6] Le parti in corsivo sono tratte dal citato articolo di G. Tamburino del 2008.
[7] La prima frase è una traduzione di Plutarco di volgari offese che gli abitanti di Chio arrecarono ai magistrati spartani. La seconda è di Livio che parla della guerra di Roma con Cartagine.
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