Il fenomeno delle “baby gang” o “bande di strada”: giovani al bivio tra disagio e criminalità
Non passa giorno che sui giornali nazionali, locali o agenzie di stampa si riportino notizie di crimini e di violenze da parte di giovani al punto che si parla di “baby gang” o di “bande di strada”.
In realtà è da qualche anno che molti giovani e giovanissimi hanno fatto della violenza uno stile di vita. Si parla per questo di fragilità dei giovani urbanizzati, del loro spaesamento, di carenza di modelli di riferimento buoni, di vuoto di valori e di facilità di essere fagocitati da modelli violenti.
Non è più soltanto un fenomeno che riguarda giovani migranti latinoamericani confluiti in vere bande di strada a causa della esclusione e discriminazione nel paese di accoglienza ma anche della situazione di abbandono nell’ambito familiare. Ambiente, quest’ultimo, in cui vivono i giovani caratterizzato da condizioni di vita precarie, insicurezza rispetto al soggiorno, assenza dei genitori costretti a lunghi orari di servizio, a situazioni abitative condivise con altre famiglie (anche sconosciute). L’adesione ad una ”organizzazione di strada” può, così, rappresentare una via di fuga da situazioni familiari complicate e da carenze affettive.
Già sedici anni fa, nel novembre 2006, fa il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato aveva redatto uno studio (riservato) sulle “bande giovanili sudamericane” nel nostro paese definite, allora, aggregati criminali a “carattere primitivo”, meritevoli di attenzione ma ancora “fenomeno non in grado di alterare in maniera significativa l’ordine e la sicurezza pubblica”.
Oggi, tuttavia, la situazione è mutata di molto al punto che proprio nei giorni scorsi il centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica, in collaborazione con il Dipartimento della Pubblica Sicurezza e con quello per la Giustizia minorile, ha pubblicato lo studio “Le gang giovanili in Italia” per fornire una classificazione ed una mappatura della loro presenza nelle diverse regioni.
Il quadro che ne esce è a dir poco allarmante se si riflette che tali “gang sono attive nella maggior parte delle regioni italiane” anche se con una piccola prevalenza in quelle del Centro-Nord rispetto al Sud e sono composte in prevalenza di maschi di età compresa tra i 15 e i 17 anni.
L’obiettivo dichiarato dai vertici della Polizia di Stato è “quello di intercettare i fenomeni di disagio sul nascere e intervenire per evitare una escalation della violenza”, compito non facile se si riflette che in questi ultimi anni si sono moltiplicate le gang giovanili che è stato possibile raggruppare in quattro tipi principali, tutte con caratteristiche differenti e una diversa distribuzione sul territorio.
Così, accanto a quelle più diffuse “prive di una struttura definita” alle quali si attribuiscono azioni violente occasionali (tra queste la Z4 e RipamontiM5 di Milano, la gang di Sant’Ottavio a Torino, la Cremona dissing, la Daisan 216 e la Sixteen baby gang di Modena), troviamo un secondo gruppo, presente soprattutto nel Sud del paese, che hanno legami con gruppi criminali italiani e le cui azioni sono finalizzate alla voglia di “accrescere il proprio status criminale con l’auspicio di entrare a far parte dei clan mafiosi” (a Napoli, la gang in contatto con i clan Sibillo e Buonerba).
C’è, poi un terzo gruppo di bande che si rifanno a gang straniere (a Milano MS13, la KO gang, il Barrio Banlieu, San Siro, a Sassari Black Axe, Maphite, Vikings) composte per lo più da stranieri di prima o seconda generazione.
Ci sono, infine, le gang composte in prevalenza da italiani dediti in particolare a furti e rapine in esercizi commerciali, spaccio di stupefacenti, estorsioni e atti vandalici (a Bolzano la baby gang Vintola, a Terni la Squadra di Cicciare, a Catania la baby gang di Paternò) .
Uno scenario nel quale sono diventati sempre più frequenti gli scontri tra i diversi gruppi con episodi di violenza e di teppismo che spesso sono rivolti ad altri minori.
Tra le concause di questo fenomeno delinquenziale il rapporto sopraindicato elenca il senso d’onnipotenza tipico della giovane età, la vita che si sviluppa soprattutto sui social, le pesanti restrizioni determinate da lockdown (in particolare nel 2020) e dalla pandemia, l’abbandono scolastico, la presenza di problematiche all’interno delle famiglie.
C’è tutto un mondo minorile che a casa ha più televisori e smartphone che libri e questo incide fortemente sulla strada che quei giovani prenderanno nel futuro.
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