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Alberto Nobili lascia la toga, 42 anni da pm “il leggendario”

Redazione il . Criminalità, Giustizia, Istituzioni, Lombardia, Mafie

Dai primi maxi-processi ai mafiosi alla confessione di Battisti

Negli ambienti giudiziari milanesi per molti è “il leggendario”.

In tanti ricordano non solo quando era il pubblico ministero di punta dell’antimafia milanese e girava con una scorta armata fino ai denti perché bersaglio di minacce e attentati, ma anche le sue indagini sui sequestri di persona e quelle più recenti sul terrorismo islamico e nostrano, sui gruppi di estremisti di destra e di sinistra, fino all’impegno per arginare i No Vax che l’anno scorso per mesi, ogni sabato, sono scesi in piazza paralizzando Milano costringendo carabinieri e poliziotti a garantire la sicurezza.

Alberto Nobili domani compie 70 anni, età che non dimostra, ma che per chi indossa la toga significa che è arrivato il momento di andare in pensione. Di origini romano-marchigiane e milanese d’adozione, il “il leggendario” è entrato in magistratura nel luglio del 1979 e dal settembre dell’anno successivo è sempre stato in servizio al quarto piano del Palazzo di Giustizia.

Ha cominciato con indagini sul narcotraffico, ha istruito il caso dello scandalo del vino al metanolo e prima di passare alla Direzione Distrettuale Antimafia di Milano, dove ha lavorato per tanti anni a partire dal ’92, quando è stata costituita, si è occupato anche di Renato Vallanzasca.

Ha coordinato le prime grandi inchieste sulla criminalità organizzata, in particolare la ‘ndrangheta, ha istruito gli storici maxi processi Nord-Sud e Wall Street rischiando anche la vita in quanto nei suoi confronti fu progettato un attentato, fortunatamente sventato con l’arresto del commando. Dalla fine degli anni ’80 ha indagato su parecchi sequestri, da quello dell’industriale Franco Trezzi, fino a quelli di Alessandra Sgarella e Gianmario Roveraro.

Nel 2007 è stato nominato procuratore aggiunto e come coordinatore del pool criminalitàe omicidi si è occupato, tra l’altro, del caso di Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia sciolta nell’acido dall’ex compagno, e dell’omicidio di Giovanni Veronesi, gioielliere ammazzato nel suo negozio a Brera. E pure della coppia ‘diabolica’ che aggrediva coetanei con l’acido.

Dopo 10 anni, in base alle norme, è tornato pm con la delega di gestire l’Antiterrorismo e Cesare Battisti, riportato in Italia dopo quasi 40 anni di latitanza, proprio davanti a lui ha confessato i 4 omicidi. Ha coordinato l’operazione che nel 2019 ha permesso il ritorno in Italia di un bambino di 11 anni portato in Siria dalla madre che si era arruolata nell’Isis.

In corsa per diventare procuratore, non avendo alle spalle alcuna corrente non è riuscito a ricoprire uno dei ruoli più prestigiosi della giustizia italiana. Stimato dalla maggior parte dei suoi colleghi per la sua disponibilità e generosità, di lui sono sempre state apprezzate le doti di onestà intellettuale e la capacità di mediatore. Abilità che lo ha portato a trattare e risolvere casi che avrebbero potuto avere un epilogo tragico.

Difficile dimenticare quando nel ’97 si offrì come ostaggio nella vicenda di Domenico Gargano, che per 28 ore, con pistola e bomba a mano, rimase asserragliato in una banca alla periferia di Milano, tenendo in ostaggio i dipendenti, e che lui convinse ad abbandonare i suoi propositi e a consegnarsi. Due anni fa, poi, in piena pandemia salì su un gru e riuscì a sedare la rivolta dei detenuti di San Vittore, che dal tetto del carcere chiedevano di uscire per paura del Covid.

Va in pensione senza feste e celebrazioni e lo fa andando a trovare uno ad uno “per un semplice saluto” amici e colleghi.

Francesca Brunati e Igor Greganti (ANSA)

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