S. Caterina Da Siena. Giovanna e il collegio dell’Antimafia al confine multiplo di Pavia
Il quadro di Santa Caterina appeso alla parete deve avere secoli. I colori morbidi, scuri e succhiati dal tempo, sembrano un monito contro il chiasso del mondo, un invito al raccoglimento serale nella città famosa per i suoi collegi.
Davanti alla scrivania sta lei, la rettrice. Sui primi “anta”, un rossetto che sembra una sfida al quadro. E un dinamismo che contagia e al tempo stesso tranquillizza. Intorno sciamano gruppi di allieve dell’università di Pavia, ospiti allegre di questo collegio in cui da anni si concentra un’energia straordinaria. Iniziative culturali e programmi didattici che mettono un po’ di zenzero nel piatto non proprio alla paprika scodellato ogni giorno dalla società pavese.
Giovanna Torre viene dalla Campania. E da quella terra ha portato nel sud lombardo del famoso confine multiplo (Piemonte, Liguria ed Emilia) l’impeto di generazioni che si sono ribellate nei decenni ai poteri che sparano. Il collegio appare agli occhi del visitatore come un incubatore di studi e culture sulla legalità.
Curiosando negli archivi vengono fuori dalle serate e dai convegni nomi impensabili: Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino, i giudici del “mondo di mezzo” romano, Franco La Torre, o Enzo Ciconte, studioso di ‘ndrangheta tra i più apprezzati in assoluto, che qui tiene un corso di storia delle mafie italiane, riconosciuto ufficialmente dall’ateneo. E avvocati, magistrati, ricercatori effervescenti, giovani dell’Osservatorio antimafia.
E una collana di libri eleganti che trascrivono per il pubblico lontano le discussioni che avvengono nell’aula magna quasi sempre piena.
Ora la rettrice ha in mente di coinvolgere tutta la provincia in un progetto di educazione alla legalità che le è valso un finanziamento del ministero. Un caleidoscopio di azioni e di eventi, video, mappe e viaggi nei beni confiscati, ma anche la caccia al tesoro che porterà i vincitori a comporre avventurosamente la parola “legalità” nei cortili universitari.
E premi di laurea in legislazione antimafia in ricordo del grande professor Vittorio Grevi, processual-penalista dalla schiena diritta. Il quale per continuare ad averla scelse di non esercitare mai la professione, non volendo farne condizionare nemmeno inconsciamente la propria dottrina.
Fa i calcoli, la rettrice ora vestita da ragazza, sui luoghi della provincia dove deve andare a “educare”. Riesamina come un vulcano quelle che vengono chiamate con gergo strambo assai “cliniche legali”, ma che sono dei laboratori di diritto.
Quest’anno, per il quarantesimo della legge Rognoni-La Torre, ce ne sarà una edizione speciale intitolata “Legislazione antimafia e contrasto ai patrimoni illeciti”, affidata a Michele Prestipino. Ripassa mentalmente l’elenco dei vari laboratori. La si guarda e ci si domanda quale spirito indomito possa animarla. Che cosa le dia sempre un’idea in più di un minuto prima.
Finché la curiosità si fa largo. Il posto da cui viene, Salerno e dintorni. Il cognome, Torre. L’impegno antimafia. Viene spontaneo: ma è per caso parente del sindaco di Pagani ucciso tanto tempo fa?
Già, per chi non lo sapesse, un sindaco -Marcello era il nome- che cercò di fermare i camorristi lanciati alla conquista dei fondi per il terremoto dell’Irpinia. Ucciso nemmeno venticinque giorni dopo il sisma, colpirne uno per educarne cento, e anche di più. La pedagogia funzionò.
Sì, sono la nipote, spiega, gli occhi che brillano. Non ho mai dimenticato i funerali, c’era anche Virginio Rognoni, poi amico assiduo del “Santa Caterina”, allora ministro dell’Interno. Quando l’ha saputo mi ha preso la mano e me l’ha stretta.
Ora il visitatore capisce. Ecco che le storie alla fine si ritrovano. E ha un suono ancora più impegnativo la frase della rettrice: dobbiamo coinvolgere Pavia.
Un progetto che sembra venire da lontano. Educarne cento, o centomila, perché nessuno venga colpito.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 10/10/2022
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Virginio Rognoni. Nostalgia di un mondo in cui i migliori lo sono stati per davvero
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