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Rosario Livatino oggi avrebbe compiuto settant’anni

Fernando Asaro * il . Cultura, Giustizia, Mafie, Memoria, Società

Quando la Chiesa beatifica una vita intende consegnare alla memoria comune i percorsi umani e spirituali di persone che diventano Santi allo scopo di suscitare l’imitazione dei valori vissuti e delle azioni da loro compiute.

La beatificazione del magistrato Rosario Livatino è un modello che la Chiesa addita al mondo dei viventi, credenti e non; se ciò determina per la magistratura italiana un motivo di gaudio e stimolo nel quotidiano operare, impone altresì l’assunzione di una precisa responsabilità nel saper trarre ispirazione dal magistrato Livatino.

Il riconoscimento del martirio del Servo di Dio ripercorre i tratti salienti della sua vita professionale e dei suoi provvedimenti, da cui attingere insegnamenti di Diritto ed allo stesso tempo, Rosario Livatino diviene un riferimento di etica professionale che può guidare non solo la magistratura italiana ma tutti coloro – avvocatura compresa – che sono i costruttori del valore Giustizia.

La beatificazione del magistrato stride con gli scandali, i processi, le degenerazioni e gli abusi di chi ha indossato o indossa la toga al solo scopo di creare gruppi di potere dediti alla spartizione di ogni forma di esercizio della giurisdizione, premiando la fedeltà degli immancabili lacchè al padrone di turno; stride con la modestia etica a cui si assiste e che determina una crescente perdita di credibilità – cara a Livatino – della magistratura imponendo certamente una seria e costruttiva autocritica, ma anche un rispettoso recupero e riscatto dei principi costituzionali del nobile servizio del magistrato.

Ed in tale tumultuoso contesto va respinta al contempo, ogni forma di strumentalizzazione, cavalcata da varie componenti della società, con l’unico scopo di ridimensionare l’autonomia e l’indipendenza da ogni forma di potere della magistratura così da controllarne e dirigerne le scelte.

Rosario Livatino si è reso credibile perché ha svolto scrupolosamente il suo servizio in favore dello Stato.

Egli diviene modello di etica professionale perché ha indossato la toga per presentarsi, preparato e puntuale, in udienza; per celebrare i processi senza rinvii pretestuosi o scansando la fatica del decidere; per redigere sentenze motivando, senza condizionamenti o vanità, la condanna o l’assoluzione nel rispetto dei termini processuali; per svolgere le indagini in modo completo nel rispetto della legge, con tempestività, privo di influenze, esitazioni o personalismi; per esercitare l’azione giudiziaria svelando sacche di impunità e facendo emergere reti di protezione o clientele locali; per abbattere “l’arretrato”; per essere presente in ufficio al mattino e al pomeriggio, ben distante dalla ricerca del lavoro “agile” o peggio, “agilissimo”; per essere magistrato autonomo e indipendente senza tatticismi o titubanze, senza contare il numero di udienze o processi o turni del collega della porta accanto per confrontarlo con il proprio ruolo.

Il magistrato Livatino non ha inopportunamente chattato (o comunicato coi mezzi di quei tempi); non ha frequentato salotti, circoli per tramare o per relazionarsi indebitamente con potentati estranei alla magistratura allo scopo di cercare vacui consensi.

Rosario Livatino è stato magistrato e non ha semplicemente “fatto” il magistrato.

“…L’indipendenza del giudice, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrifizio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività”.

Lo scorso anno una sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana ha stabilito la legittimità del vincolo amministrativo posto alla “Casa di Famiglia del Giudice Rosario Livatino” in quanto bene di straordinario valore storico e culturale; in motivazione si legge “In quell’appartamento si è formato un ragazzo che con adamantina riservatezza ha interpretato i valori di rettitudine ed indipendenza che devono caratterizzare il lavoro del magistrato…nell’impegno etico e morale del giovane magistrato che, con la sua “normalità”, ha indicato ai giovani, non solo siciliani, la via del riscatto e della liberazione dal predominio mafioso”.

Il modello Rosario Livatino è fondamentale per ripristinare la credibilità della magistratura e tutelare il capitale reputazionale, patrimonio dell’essere magistrato, davanti a comportamenti che – prima ancora di integrare profili penali o disciplinari – intaccano la fiducia che i cittadini devono avere nei costruttori dell’amministrazione della Giustizia.

“È importante che egli (il magistrato) offra di se stesso l’immagine non di una persona austera o severa o compresa del suo ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di una persona seria, sì, di persona equilibrata, sì, di persona responsabile pure; potrebbe aggiungersi, di persona comprensiva ed umana, capace di condannare, ma anche di capire”.

Il suo vissuto ci invita a rifuggire dal magistrato-burocrate appiattito al formale rispetto delle ore lavorative, non un magistrato isolato nella sua torre eburnea ma neanche un magistrato che gareggia all’interno di una scenografica arena accogliendo o incoraggiando tifoserie, dimenticando di “essere” un servitore dello Stato.

I valori vissuti da Rosario Livatino sono fruibili da tutti coloro – non solo dai magistrati – che  condividono la responsabilità di compiere il valore Giustizia ed è auspicabile, nel recupero dell’etica professionale, trovare la presenza convinta e consapevole dell’Avvocatura, voce autorevole e composta dei diritti violati e cardine tra le domande di giustizia e lo Stato; insieme, per non disperdere – ciascuno per la propria parte – i principi dei rispettivi codici deontologici nell’esercizio quotidiano della Giustizia che, ascoltando Livatino, richiede “persone serie, persone equilibrate, persone responsabili ma anche persone comprensive ed umane, capaci di capire”.

* Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gela

Fonte: Giustizia Insieme

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