Amedeo Matacena, quando da parlamentare mi battei per il trattato di estradizione dagli Emirati
Mentre il mondo si ferma per i funerali solenni della regina Elisabetta, noi più modestamente dedichiamo un pensiero rispettoso alla morte di Amedeo Matacena, improvvisamente stroncato da un infarto (così abbiamo appreso dalle agenzie venerdì scorso), all’età di 59 anni, mentre stava a Dubai.
Ho cominciato ad occuparmi della vicenda di Amedeo Matacena nel 2014, da componente della commissione parlamentare antimafia, avendo appreso che a seguito della condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, questi aveva trovato riparo negli Emirati Arabi, sottraendosi così alla giustizia italiana.
Niente di personale, ovviamente, ma una occasione per mettere alla prova dei fatti il motto che campeggia nei tribunali italiani a conforto di ogni cittadino: la legge è uguale per tutti. No, la legge in Italia non è uguale per tutti, lo sappiamo, ma in alcune situazioni la discriminazione è talmente plastica da risultare insopportabile.
Nel caso di Matacena, ex deputato di Forza Italia e protagonista della più ruggente delle stagioni di quel partito in Calabria, la procura della Repubblica di Reggio Calabria ipotizzò l’intervento di personalità altolocate, tra le quali l’ex ministro dell’Interno, Scajola, e di pezzi di apparato diplomatico e di intelligence, ma ciò che mi colpì maggiormente fu scoprire che gli Emirati Arabi Uniti non avessero un trattato di cooperazione giudiziaria e di estradizione con l’Italia.
Una specie di “tana liberi tutti!”, nonostante gli Emirati avessero ed abbiano ottimi rapporti con l’Italia in ogni altro campo sensibile, dal commercio di beni di lusso, all’import di armi (sono tra i principali importatori di armamenti italiani), alla collaborazione tra atenei. Tutto tranne la legalità! Partii, lancia in resta, per provocare una reazione da parte delle autorità italiane, contribuendo così ad innescare un meccanismo che grazie al ministro della Giustizia del tempo, Andrea Orlando, trovò la sua finalizzazione: da qualche anno, finalmente (!) esiste ed è operativo il trattato mancante. Ma di Matacena in Italia nemmeno l’ombra.
Avevo più volte segnalato che la prolungata “impossibilità” di dare esecuzione alla pena, avrebbe reso Matacena impunibile a norma dell’art. 172 cp. Mi ero rassegnato ormai a vederlo tornare in Italia da uno libero nel 2023 (a dieci anni dalla condanna definitiva per concorso esterno, mai eseguita a causa della latitanza negli Emirati), reintegrato dei beni che gli erano stati sequestrati e sollevato anche da un successivo mandato di arresto, nel frattempo revocato per mancanza di attualità. La notizia della sua morte mi ha sinceramente raggelato. Avevo ogni tanto, fantasticato su quanto sarebbe potuto risultare “ingombrante” per certi ambienti italiani, il ritorno di Matacena dopo dieci lunghi anni di forzato “esilio”.
Immediatamente, forse irrazionalmente, ho subito ripensato ad altre due morti altrettanto improvvise, in qualche modo intrecciate con la storia di Matacena, quella di Giovanni Aiello anche lui stroncato da un infarto nell’estate del 2017 mentre sistemava la sua barca in riva al mare di Calabria e quella di Omar Pace, tenente colonnello della Guardia di Finanza, morto suicida nel 2016. Non avrei voluto scrivere questo pezzo: per il rispetto che si deve ad una persona che ormai non può più replicare ed anche perché queste vicende, che sullo sfondo hanno i rapporti tra mafia e politica negli anni 90, sembra che interessino sempre meno. Purtroppo.
Mi ha fatto cambiare idea la nota rilasciata dal figlio primogenito di Matacena all’Ansa e ripresa da Il Mattino. Tra l’altro si legge: “Chiedo chiarezza sul destino di mio padre… Intendo affermare la mia personale iniziativa per il rientro in Italia della sua salma integra… A tal proposito, intendo ribadire l’assoluta priorità di tale iniziativa rispetto a tutti coloro che, a vario titolo, stanno intervenendo in questi giorni circa il destino della salma di mio padre.”
Perché fare una agenzia del genere? Di cosa è preoccupato Amedeo junior? Di essere nelle condizioni di verificare in Italia le precise ragioni del decesso del padre? Per questo la salma dovrebbe essere restituita “integra” cioè non cremata (ricordo che ebbi questa preoccupazione quando appresi della morte di Aiello). Cosa significa il riferimento a “tutti coloro che a vario titolo stanno intervenendo”? Non lo so, ma non posso che associarmi alla richiesta di chiarezza su cosa sia successo e su cosa stia succedendo e peccato se questa richiesta interesserà soltanto i familiari e qualche magistrato cocciuto e capace.
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello
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