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“Gli ultimi 40 secondi di Willy Monteiro Duarte, strappato alla vita dalla violenza cieca”

Federica Angeli il . Criminalità, Diritti, Giovani, Giustizia, Società

Per gentile concessione dell’autrice, pubblichiamo un abstract dal nuovo libro di Federica Angeli intitolato 40 secondi. Willy Monteiro Duarte, la luce del coraggio e il buio della violenza”, uscito pochi giorni fa per Baldini+Castoldi e che ricostruisce la storia e l’omicidio del ragazzo capoverdiano, ucciso il 6 settembre 2020 a Colleferro.

Lo scorso 4 luglio per l’assassinio di Willy, al termine del processo di primo grado i fratelli Marco e Gabrielli Bianchi sono stati condannati all’ergastolo, Mario Pincarelli a 21 anni e Francesco Belleggia a 23 anni.

Per la stesura del libro, le ricostruzioni dei testi e dei dialoghi, sono state consultate e usate integralmente le carte processuali e giudiziarie del «caso Willy», senza apportare alcuna modifica al linguaggio usato da ognuno dei protagonisti, nel rispetto della verità su come si sono svolti i fatti.


«Oh fra’, se sentimo appena esco da lavoro.»

«Bella zi, a dopo.»

Sabato 5 settembre 2020 per Willy Monteiro Duarte, un ragazzo di ventun anni, è stato di una straordinaria normalità e incantevole banalità. Apre gli occhi con comodo, quando il sole è già alto, al centro del cielo, si stiracchia nel letto e con un gesto automatico afferra il cellulare. Una scorsa veloce ai WhatsApp e poi un tuffo nel frigorifero senza staccar gli occhi dallo schermo.

Ride rumorosamente davanti a un meme che gli ha mandato un amico e poi, inondando la stanza a tutto volume, carica Sinnò me moro del rapper romano Noyz Narcos. Il suo preferito.

Canta avviandosi al bagno: fa pipì, si lava i denti, si sciacqua la faccia. Si avvicina allo specchio, si spreme un punto nero e fa una smorfi a brutta e buffa. Si fa la linguaccia e torna a buttarsi sul letto. Si trastulla così tra cucina, doccia, specchio e comincia nel tardo pomeriggio a rispondere ai messaggi degli amici per organizzare la serata.

In casa è solo, i genitori sono fuori e la sorella è partita il giorno prima, è andata a casa della migliore amica a Roma, col treno, da Paliano.

“Il tuo nero ti saluta (faccette che ridono) ce beccamo stasera.”

Willy scherzava sulla sua carnagione, si prendeva in giro da solo, era fatto così. E non si offendeva se qualcuno per strada gli dava del «negro di m…», ci rideva su, a differenza degli amici che si giravano e lo difendevano insultando a loro volta chi gli aveva rivolto quelle parole.

Lui no, si limitava a dire: «Ma ’sti cazzi» e si faceva una grossa risata, senza la zavorra del coinvolgimento emotivo.

Del resto, quando si inizia ad avere paura delle ingiustizie spesso si finisce col mancare i propri obiettivi confondendo cause ed effetti. Willy no. Aveva ben chiaro cosa voleva dalla vita: diventare un cuoco. Ci era pure riuscito e questo lo aveva appagato al punto da avere sempre un sorriso sul volto che faceva sentire in pace col mondo anche chi stava intorno a lui.

Le sue origini capoverdiane lo avevano portato a vivere a Paliano, un paesino a 60 chilometri da Roma, dove è presente una delle più grandi concentrazioni della comunità capoverdiana, dopo quella nella capitale. I suoi genitori, manovale il papà e colf la mamma, sono affiatatissimi con i loro concittadini e casa di Willy era sempre un viavai di amici, cugini, parenti, conoscenti. La zia e i cugini abitano proprio nella sua stessa villetta, presa in affitto anni e anni fa, tanto che la proprietaria ormai è amica intima di famiglia.

Cresciuto in un clima festoso e allegro, Willy ricambiava la cordialità con quel sorriso speciale capace di ottenere da tutti qualunque cosa.

Alle medie aveva frequentato una scuola a Colleferro. A Paliano giocava a pallone ed è lì, a otto anni, su quel campo sgangherato che ha conosciuto tutti quelli che sarebbero poi diventati gli amici inseparabili della sua comitiva dall’adolescenza in poi. Alle superiori aveva scelto l’Alberghiero di Fiuggi, perché da sempre il suo sogno era fare il cuoco.

Mentre andava ancora a scuola, lavorava il fine settimana in un ristorante a Paliano, fin quando non ha chiuso. Da lì è andato a fare una esperienza di tre mesi in Calabria e poi ha trovato lavoro ad Artena, all’hotel Degli Amici, dove da un anno e sette mesi era stato assunto con un contratto di apprendistato.

Alle diciassette precise di quel sabato di un 2020 devastato dal Covid con la sua Grande Punto grigia è partito da casa per andare lì, a tagliare, preparare e precuocere gli ingredienti per la cena. Era il più piccolo dello staff, era l’amico, il figlio di tutti, un ragazzo «fenomenale» – così lo ha definito Nazareno d’Amici, il direttore dell’hotel Degli Amici – che pensava a fare il suo lavoro nel miglior modo possibile.

Willy non badava all’orario, se c’era da dare una mano era sempre pronto ad aiutare tutti. Non si è mai ribellato agli ordini dello chef, mai qualcuno ha avuto da ridire su di lui. Gli volevano tutti bene.

Sempre puntuale e instancabile sul lavoro, aveva ricevuto una promozione da un mese a sous-chef, sottocuoco, il numero due di una cucina. «A gennaio 2021 ti darò l’aumento in soldi», gli aveva detto il titolare dell’hotel che per lui aveva un debole, incantato, come tutti, dal suo sorriso, dalla sua educazione e dal suo garbo.

A Willy non importava nulla dei soldi, il fatto di essere stato nominato sous-chef a ventun anni lo inorgogliva tanto. Il suo stipendio serviva anche per aiutare a casa: per esempio, quando accompagnava la mamma Lucia a fare la spesa, alla cassa era lui a pagare.

«Oh zì, stai manzo quando parli con me che sono sous-chef… ma resto umile», scherzava con gli amici. Il coronamento di un sogno avvenuto a soli due anni dalla fine dell’Alberghiero e dopo una gavetta relativamente breve. Amava stare lì, insieme ai suoi colleghi coi quali era molto affiatato e per lui la gioia del sabato cominciava alle 17.30, al gong di inizio turno di lavoro, fino a entrare nel vivo, nei ritmi forsennati di quando preparava piatti, assecondava le comande dei clienti, senza mai scoraggiarsi né lamentarsi.

Il padre di Willy, Armando, di lui dirà: «Mio figlio era bravissimo a scuola, quando poi ha iniziato a lavorare si era aperto un conto corrente e metteva da parte i soldi. Amava stare con gli amici, appena staccava, e giocava a pallone». Un ventenne modello, senza grilli per la testa che aiutava la famiglia e al tempo stesso risparmiava.

Ma torniamo al 5 settembre 2020… Maledizione al tempo imperfetto che si impossessa del presente! C’è ancora tempo per il passato, restiamo al presente.

Alle 17.28 Willy scende dalla sua macchina sistemata tra le strisce bianche del parcheggio interno all’albergo.

«Non lo so che ora faccio, te mando un messaggio quando finisco.»

«Ok daje.»

Un ultimo sguardo al cellulare posato nel suo armadietto e alle 17.30 in punto, vestito col grembiule e coltelli in mano, è ad affettare verdure.

Poco prima della mezzanotte finisce il turno. Manda un messaggio ai suoi amici per avvisarli che da lì a mezz’ora sarebbe passato a prenderli, dopo aver riaccompagnato Milly, l’altra cuoca dell’hotel, una signora anziana che andava al lavoro a piedi e che lui, per una forma di rispetto, la notte, a fine turno si offriva spesso di portare a casa.

Poi una doccia veloce e via con la serata.


Abstract: Federica Angeli, “40 SECONDI. Willy Monteiro Duarte, la luce del coraggio e il buio della violenza”, Baldini+Castoldi, Milano 2022

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