Dal libro “L’arrivo di Saturno” al podcast “Omissis – Graziella De Palo, una storia italiana”
In occasione dell’uscita del podcast di RaiRadio3 “Omissis – Graziella De Palo, una storia italiana”, tratto dal libro “L’arrivo di Saturno” di Loredana Lipperini, abbiamo chiesto all’autrice cosa significa trasformare la pagina scritta in un formato così differente, in particolar modo per un libro e per una vicenda come quella trattata.
Potete ascoltare il podcast su RaiPlay Sound.
L’arrivo di Saturno esce nel 2017, ma nasce almeno trentacinque anni prima, nel 1982, quando era divenuto chiaro che Graziella De Palo non sarebbe tornata dopo quel 2 settembre 1980 in cui, secondo le testimonianze, salì insieme a Italo Toni su un’automobile che li avrebbe inghiottiti nel nulla.
Per qualche mese, era stato possibile sperare che da un momento all’altro avrebbe telefonato, o, chissà, avrebbe suonato alla porta, magari sorridendo, magari dicendo: “Siete sempre i soliti, sempre a pensare al peggio. Non mi è successo niente, sono qui.”
Da allora, senza neanche dirmelo, ho cominciato a radunare materiali. Materiali privati, per cominciare. Le lettere che Graziella e io ci scambiavamo, una al giorno, da quando avevamo 14 anni: non ce le inviavamo, ma le infilavamo nella tasca o nella borsa l’una dell’altra, dicendoci “ti ho scritto”, e le leggevamo la sera, al momento di andare a dormire, rubando tempo al sonno perché poi, ovviamente, avremmo subito cominciato a scrivere una risposta. Poi le lettere sono sparite. Sparite non so dove, lo giuro. Sapevo di averle messe in una scatola di cartone e improvvisamente quella scatola non c’era più, forse persa nel trasloco, forse per una magia cattiva o per una distrazione.
Ho provato molte volte a ricostruirle mentalmente ma ricordo solo l’ultima, anzi l’ultima frase dell’ultima, quando era ormai il 1978 ed eravamo distanti, dopo una lite di quelle che segnano, e che si può ricucire soltanto ricordando l’antico legame, che era saldissimo e, ci sembrava, inestirpabile. Quell’ultima frase diceva, sostanzialmente: “Agisci, anche a vuoto, ma agisci.” Agisci. Non ho agito per molto tempo.
Arriviamo al 2000, i vent’anni dalla scomparsa. Mavi, la terza amica, l’elemento pacificatore del trio, era venuta a trovarmi. Le avevo offerto una birra, avevo aperto un taccuino che avevo chiamato il taccuino di Graziella e avevo ascoltato tutto quello che stava emergendo. Qualcosa di terribile.
Il depistaggio dei servizi segreti per coprire il lodo Moro (e il traffico d’armi), il segreto di stato, la P2, la pista palestinese. Tutto quanto di oscuro esisteva nel nostro paese era riuscito a convergere nella vita di una ragazza. “Dovresti scriverne,” aveva detto Mavi. “Sì, lo farò,” avevo risposto. Il giorno dopo mi ero confidata con una collega, alla radio. E la collega aveva sbarrato gli occhi e aveva detto: “Sei matta? Hai due figli piccoli. Sono morti tutti quelli che hanno avuto a che fare con questa storia. I due agenti dei servizi. Quella tizia, la giornalista massona, che diceva di sapere cosa era successo a Graziella. Ilaria Alpi. Sei matta? Lascia perdere e pensa ai figli.”
Ricordo di essere tornata a casa – ero sola, i figli erano al mare – di aver pensato a lungo e appunto di aver preso il pacchetto delle lettere di Graziella e di averlo nascosto nella scatola. L’avevo nascosto così bene che non l’ho più trovato. Neanche durante il trasloco del 2014. Eppure, quel trasloco, e la ricerca delle lettere perdute, ha portato al romanzo. Perché c’era pur qualcosa che potevo fare, e i figli erano cresciuti, e nessuno ricordava, ed era arrivato il momento.
Ma forse non bastava ancora.
Perché all’inizio di quest’anno il direttore di Radio3, Andrea Montanari, mi convoca e mi chiede di scrivere un podcast su Graziella. Nessuno mi aveva mai chiesto di lei, al di fuori del romanzo e di chi, come Bompiani, lo ha accolto e accompagnato. Così ho detto sì. Certo, il mezzo è diverso.
Nell’Arrivo di Saturno avevo giocato su una doppia narrazione: quella di Dora e Graziella, le amiche, e quella di Han Van Meegeren, il falsario che incontra un uomo in nero che sarà il suo Fato. Pensavo, e ne sono ancora convinta, che l’unico modo per raccontare una storia così pazzesca in un romanzo fosse quello di rafforzare l’impossibile.
Ma un podcast è diverso. Devi raccontare i fatti, e provare a raccontare cosa significhi essere amiche, e amiche inseparabili, negli anni settanta, e spiegare che Graziella non era un’incosciente, ma che fin da quando l’ho conosciuta aveva un senso della giustizia affilato e implacabile. Era implacabile anche con se stessa.
Così, Omissis – Graziella De Palo, una storia italiana, il podcast di Radio3 disponibile dal 2 settembre su Raiplaysound e sul sito di Radio3, racconta in cinque puntate proprio questo: una giovanissima donna e i misteri d’Italia. In un anno, il 1980, che fu fitto di avvenimenti drammatici. Un anno in cui morirono giornalisti e giudici, tremarono e crollarono le case in Irpinia, tremò e si sgretolò la stazione di Bologna, e un aereo svanì nel mare di Ustica, e quattro colpi di pistola uccisero John Lennon. E in tutte queste storie se ne smarrisce una che attirò a sé quanto di oscuro c’era in Italia: la storia di una ragazza di 24 anni.
Racconta la storia di due amiche che militano, ventenni, nel Partito radicale e diventano giornaliste. Una si occuperà di cultura, l’altra di traffico d’armi. La scomparsa di Graziella a Beirut, e quella del collega ed ex compagno Italo Toni, diviene il nodo, tuttora non sciolto, di un groviglio di interessi, depistaggi, trame dove tutto è collegato.
Per oltre quarant’anni, la sua famiglia, una quieta famiglia borghese, si è trasformata in agenzia investigativa, ogni volta trovando di fronte un muro di silenzio. Il podcast racconta questa storia, con l’ausilio di testimonianze (fra gli altri, Andrea Purgatori, Edoardo Albinati, Amedeo Ricucci, Valter Vecellio, Antonella Beccaria, Massimo Lugli), interventi di prima mano tratti dagli archivi e il contributo di tre grandi attori come Valentina Carnelutti, Maria Paiato e Massimo Popolizio.
Questa volta, forse, ho agito: per quel che servirà.
Fonte: Bompiani
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