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Le tante forme di violenza sulle donne sono il segno di una società malata

Pierluigi Ermini il . Criminalità, Diritti, Politica, SIcurezza, Società

Femminicidi, tentati omicidi, stupri, atti di sessismo e di violenza … non si arresta nel nostro paese questa triste guerra in corso tra visioni diverse tra maschile e femminile, senza che si cerchi di arginare un fenomeno grave che rischia di minare la nostra società.

Alla ricerca di una vera e più piena libertà da parte delle donne, si oppone una visione patriarcale che fa del possesso la sua arma più forte.

Il possedere è ciò che ancora oggi sembra determinante per stabilire chi conta di più e chi conta meno. Si possiedono beni, denari, potere e si devono possedere anche le persone, soprattutto in una visione culturale che è prima di tutto caratteristica del maschile …

Una visione economicistica della vita e del nostro stare in questo pianeta che entra di prepotenza anche nel mondo dei cosiddetti “affetti” e “amori”.

In tema di sicurezza, uscendo dalla bugiarda e ignorante visione di chi vuole ricondurre solo ai migranti o ai cosiddetti “clandestini” questo argomento, direi che uno dei temi centrali (che coinvolge molti uomini, sia italiani che stranieri) è proprio la violenza che viene sprigionata contro le donne.

È qui principalmente che si deve intervenire, riconoscendo che, anche se con sfumature e approcci diversi, neanche l’uomo occidentale riesce a uscire da una logica di potere che vede il maschio cercare di possedere, non solo sessualmente, la donna.

Un problema che non è solo legato all’identità di genere, ma è un modo diverso di vedere anche molti altri aspetti della vita.

È il tema della “cura” contrapposto alla logica del “possesso” che porta a due visioni diverse che configgono.

È un tema che riguarda diritti civili e sociali irrisolti, dove anzi si stanno ancor più producendo disuguaglianze che inaspriscono il rapporto uomo/donna.

Penso al mondo del lavoro, alla diversità di stipendi in caso di una stessa professione, alle minori opportunità date a una donna di poter fare carriera, solo per fare degli esempi. Penso alla gestione delle famiglie, dei figli, degli anziani.

Se da un lato occorre che le forze dell’ordine e la società in generale sia più attenta alle richieste di aiuto da parte delle donne quando denunciano atti intimidatori o di stalking, dall’altra è necessario un cammino culturale che ci permetta di passare nel tempo dal dominio sociale del possedere (che porta alle manifestazioni di violenza nella società) a una cultura del valore delle diversità, che apre le porte alla dimensione della cura.

La cultura della cura spinge a considerare le ragioni dell’altro e si apre al noi, la cultura del possesso è quella dell’io che conta più di tutto e l’altro serve solo se ciò torna a mio favore.

Non sono parole o pura teoria, ma una vera e propria espressione anche di scelte politiche, sull’idea di che paese e società intendiamo costruire.

Un esempio concreto sono i diritti civili: la cultura della cura è quella che vede nel perseguimento dei diritti civili la vera arma per rendere più aperta e sicura la nostra società.

Non è un caso che in un momento di grande aumento delle disuguaglianze sociali, come quello che stiamo vivendo, le forme di violenza si ampliano, come sta avvenendo ormai da troppi anni anche verso le donne che cercano di farsi spazio in questa società patriarcale.

Il nostro paese non riesce ad arginare i femminicidi e in generale la violenza sulle donne e ciò è indicativo del tipo di cultura che prevale da noi, che parte dal nostro modo di vedere e gestire la politica, per continuare negli ambienti di lavoro, fino ad arrivare dentro le nostre case.

Contiamo per ciò che possediamo e ciò che perdiamo ci sminuisce in questa società; anche l’amore di una donna o l’affetto di un figlio.

Quando ciò ci accade questo dolore non diventa motivo per guardarsi dentro, capire anche gli errori personali e ripartire da lì, ma il pretesto per dare spazio alla violenza che ci porta a pensare che se non sei più mia, non potrai essere più di nessuno.

Il problema è principalmente dentro di noi e per non vederlo, preferiamo esternarlo.

La società del possesso guarda sempre fuori di sé, quella della cura si interroga anche dentro.

La politica non può pensare di risolvere questo modo di concepire la società, solo con un inasprimento di pene e condanne, oppure pensare che il problema della sicurezza si risolva con la lotta all’immigrazione, tra blocchi navali e divieto di accesso ai porti.

Deve soprattutto creare le condizioni per combattere le disuguaglianze sociali, deve operare per mettere uomini e donne il più possibile in condizioni di parità, deve dare spazio a una cultura della cura, l’unica in grado di contrastare quella del possesso che porta alla violenza.

È il compito principale di chi vuole governare sapendo che non esistono risposte facili e immediate a problemi complessi e difficili.

La visione della vita al “femminile” è essenziale per creare una società basata sulla tolleranza, sul rispetto e sulla valorizzazione della diversità, l’unica forma di convivenza possibile in una società che si considera democratica.

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