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Si parla più di Calenda che di mafia

Nando dalla Chiesa * il . Informazione, Istituzioni, Mafie, Politica

Guai italiani. La politica che nasconde le nostre piaghe criminali

Ma che cosa ha fatto Carlo Calenda in vita sua? Senz’altro cose pregevoli, che io non so per mia sola colpa, mia massima colpa.

Come nulla o poco so di altri politici che campeggiano sui titoli dei giornali da settimane intere. D’altronde ogni tanto scopro di non conoscere scienziati insigni, scrittori che vincono premi, gente di spettacolo con milioni di follower. Dunque ci sta. E faccio ammenda, anche perché – a essere sincero – il video di Calenda dopo la caduta del governo Draghi mi era piaciuto per l’insolita chiarezza del linguaggio.

Resta però una sensazione di smarrimento nel vedere un paese, o meglio la sua opinione pubblica, magneticamente e ossessivamente attratto da istrioniche baruffe tra personaggi di cui fai fatica a trovare tracce nella storia (anche minore) dell’impegno pubblico. Come se ancora una volta saltassero le proporzioni. E scoprissimo di abitare un paese senza geometrie mentali.

In questi giorni di Ferragosto (ohibò, capita…) mi sono trovato a ragionarne con amici di collaudata militanza civile. Uno dei quali una sera ha lanciato l’ironica provocazione: “ma vi immaginate se in Italia si parlasse di mafia quanto si parla di Calenda?”. La battuta (inattesa) ha lasciato il segno. Nessuna risata crassa. Ma un guardarsi tra il sornione e l’immalinconito.

Già, gli assetti di potere sono importanti, dunque anche i risultati elettorali. Ma proprio per questo è purtroppo importante, maledettamente importante, il rapporto tra mafia e politica, tra mafia e Stato. Eppure, ci siamo detti quella sera, su questo versante c’è il silenzio assoluto.

Grande spazio ai trentennali delle stragi del ’92, nulla su quel che minaccia di accadere da qui in avanti. Forse è da fissati parlare di queste cose in agosto? Qualcuno può anche pensarlo. Ma, come celiò senza troppo barare Pif, “la mafia uccide solo d’estate”. Già.

D’estate stragi e delitti che hanno fatto la storia, da Boris Giuliano a Rocco Chinnici, dal prefetto dalla Chiesa ai commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, senza tralasciare nulla, anche l’ultimo giorno va bene, come con Rosario Livatino. D’estate si disegnano trame che fanno esplodere i kalashnikov alla ripresa. O che fanno cadere i governi sgraditi. Loro, i boss e i complici, mica si ritengono dei fissati.

E noi perché dovremmo dedicarci anima e corpo a parlare di sondaggi che, salve le frattaglie, non annunciano sorprese?

Qualcuno, invece, può andarsi a studiare regione per regione come si stanno muovendo i partiti con i candidati notoriamente compiacenti o “a loro insaputa” vicini agli ambienti di mafia?

È possibile produrre dei monitoraggi precisi, disegnare quei network di interessi che talvolta ai giornali riescono tanto bene?

Che cosa si sta muovendo sotto la campagna elettorale per la Regione Sicilia?

Chi si candiderà tra un mese in Calabria?

E quali sono le implicazioni, in termini di doveri istituzionali, dei recenti pronunciamenti giudiziari sulla “trattativa”?

La coordinatrice della Direzione distrettuale antimafia di Milano Alessandra Dolci, uno dei più attenti e capaci magistrati di cui disponiamo su questo fronte, ha lanciato l’allarme sulla necessità di arginare l’offensiva dei clan sulle prossime Olimpiadi invernali Milano-Cortina. Non l’ha fatto un anno fa, ma esattamente in questi giorni, in estate, vicino a Ferragosto, pensa te. E ha sollecitato con garbo ma fermezza proprio il soggetto pubblico, cioè la politica.

Si parla d’altronde ogni giorno del Pnrr, e degli investimenti che verranno. Ma a chi e come andranno, che è poi la prova suprema da superare davanti all’Europa? Non è questo un tema centrale? E la maxitruffa dei crediti di imposta legati al celebre bonus?

Insomma: ve l’immaginate se in Italia si parlasse di mafia quanto di Calenda (che ovviamente non porta colpe)? Sarebbe un’altra Italia. Semplicemente questo.

* Il Fatto Quotidiano, 15/08/2022

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