Quando un’inchiesta sembra stregata
Manca poco alla consegna del lavoro e nell’ultimo periodo ci siamo resi conto che a volte bisogna fermarsi, dare un’occhiata a quello che si è raccolto, fare un bel respiro ed essere ottimisti. Siamo soddisfatti di come l’inchiesta stia andando ma tendiamo a volere sempre di più, perché vogliamo che il messaggio sia il più forte, chiaro e immediato possibile. Questa pagina di diario la scriviamo di ritorno da un viaggio stregato, che ci ha fatto credere più volte di essere maledetti, soprattutto se pensiamo che l’obiettivo era parlare con uno dei “cattivi” della nostra storia.
Abbiamo iniziato questo viaggio qualche giorno prima di partire, almeno dal punto di vista psicologico. Ci siamo caricati a vicenda e lo ha fatto anche il nostro tutor, Sacha, che ha la capacità straordinaria di rimetterci sulla retta via se ci sentiamo sbandati. Mancavano poche ore alla partenza, quando è arrivato il primo intoppo: Simone aveva preso in pieno una macchina con la moto. Nulla di grave, ma ha dovuto rinunciare alla trasferta per fare un controllo in ospedale e riposarsi dopo la brutta botta.
A quel punto dovevamo trovare un’alternativa, perché Simone, oltre a essere un prezioso componente del team, era anche l’autista designato per il viaggio. In questo lo sostituisce Alessandro, che parte con Marika verso nord. Dall’A1 il tramonto colora il cielo di rosso, compaiono nuvole a forma di animali, dietro ci sono alcuni lampi ma tutto sembra contribuire a creare un contesto romantico, propizio, di buon auspicio. Dopo la sosta, inizia la pioggia. Fulmini e saette: sembra uno di quegli acquazzoni estivi destinati a durare una manciata di minuti. E invece no. Non si sa bene come, ma restiamo intrappolati sotto la peggior grandine delle nostre vite. Disperati andiamo avanti alla ricerca di un cavalcavia, un ponte, un’area di servizio, quando il nostro vetro si spacca. Crediamo che anche la carrozzeria sia andata, ma per fortuna è indenne.
Restiamo scioccati. “Forse sarà stato lui, il nostro cattivo, con le sue maledizioni”, pensiamo, mentre ci dirigiamo a destinazione, dove arriviamo solo alle due di notte. Il giorno dopo ci armiamo di buona fede e partiamo muniti di spy cam per incastrare il villano, che però è sparito. Quando arriviamo a fine giornata siamo comunque soddisfatti, perché la nostra camera nascosta ha registrato delle immagini interessanti. Ma all’improvviso Marika dice: “Qui ci sono solo tre file!”. La nostra cattiva sorte ha voluto che fossero proprio i file che non servivano alla causa. Il materiale è andato perduto, forse per un nostro errore, forse per la provvidenza. Non ci restava che salvare il salvabile.
Siamo tornati a Roma dopo l’incendio al parco di Centocelle. Prima di tornarcene ognuno a casa propria, abbiamo fatto visita a Simone, che vive non lontano da lì. L’aria era irrespirabile ma eravamo contenti di vedere che lui stesse bene, solo un po’ acciaccato. Ci siamo seduti, abbiamo riso delle nostre disgrazie e abbiamo ipotizzato un inizio dell’inchiesta. Quando abbiamo trovato la frase perfetta abbiamo pensato: “Bellissimo”. Ci siamo guardati e abbiamo capito che forse i nostri sacrifici, tutto lo stress di questi ultimi mesi, sono valsi la pena.
Se – come dice il nostro tutor – “tendenzialmente il girato è come il porco, non si butta via niente”, allora forse possiamo sorridere. E non è ancora finita. Un’inchiesta è complessa, piena di imprevisti e illusioni, materiale che pensi di avere e non hai. Convinzioni su cui hai radicato la struttura del lavoro che non ritrovi nella realtà dei fatti. E la nostra premura è proprio riuscire a rendere questa complessità.
* Finalisti della 11a edizione del Premio Roberto Morrione
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