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Senza raccomandazione. La maturità della figlia di Guarnotta, eroe del pool

Nando dalla Chiesa il . Cultura, Diritti, Giovani, Società

Doppia conferma: l’inferno e il paradiso stanno nei dettagli; molte verità sconosciute, anche minime, vengono fuori a tavola, magari dopo tanto tempo. State dunque a sentire.

La sera del trentennale della strage di via D’Amelio, mi ritrovo a parlare di Paolo Borsellino e della sua importanza nella storia d’Italia in una cena tra amici. Osservazioni sull’Italia di oggi, sulla magistratura attuale, sullo stato della lotta alla mafia. Tutto abbastanza naturale, vista la data e la partecipazione appena conclusa alle manifestazioni milanesi.

Poi d’improvviso arriva la pepita della serata. Il dettaglio, appunto, che riguarda il pool antimafia di Palermo dei tempi del maxiprocesso. Un riferimento indiretto, ma illuminante.

C’è tra noi un professore di storia e filosofia oggi in pensione che racconta, chissà da quali recessi della memoria gli è venuta in mente, una storia particolare. Di quando venne mandato da Milano a fare gli esami di maturità a Palermo.

Era il 1986, proprio l’anno di avvio del maxiprocesso. Racconta della sua commissione, quasi tutta di non siciliani, che scopre Palermo e la Sicilia dal proprio specialissimo punto di osservazione. Ossia le raccomandazioni che piovono a sostegno dei maturandi. Tante, tantissime, da non credere.

Ricorda ai presenti che allora non esistevano i telefonini e che dunque ciascuno di loro era infinitamente meno raggiungibile di quanto lo sarebbe adesso. Ricorda anche lo stupore collettivo nel verificare, parlando tra colleghi nelle varie pause dei lavori, che le raccomandazioni giungevano a tappeto su tutti, che non si concentravano su un singolo commissario che, magari perché siciliano, fosse più esposto alla rete delle conoscenze locali. Che era una cosa scientifica, insomma.

E si domandavano con curiosità, ma anche con qualche apprensione, come qualunque avvocato o politico o collega, più una varia umanità, potesse sapere i loro nomi e soprattutto i loro recapiti, anche presso quale famiglia o presso quale pensione dormissero. Come fosse possibile che in una terra dove nessuno parla si sapessero, degli sconosciuti, più cose di quelle che si sanno in Veneto o in Lombardia. Ma non si erano spaventati. Anzi, avevano iniziato a fare un gioco tutto loro.

Ogni giorno si mettevano in cerchio a un tavolo e facevano il calcolo delle raccomandazioni che ciascuno di loro aveva ricevuto. Di qua l’elenco dei maturandi, di là le crocette corrispondenti alla somma delle “segnalazioni” pervenute. E ogni giorno l’elenco si arricchiva, con un ironico “olé” quando qualche candidato ne superava un altro. La media, racconta il professore, era tra le nove e le tredici o più raccomandazioni a testa.

E se è vero che la forza della mafia sta fuori dalla mafia, è indubbio che un tale contesto fosse l’ideale per l’infinita rete di favori che ha fatto la fortuna di Cosa Nostra. Il tutto mentre un pugno di giudici sfidava con la propria vita gli effetti di quella cultura “innocente”.

Quand’ecco, a proposito di giudici, che i commissari si rendono conto, giorno dopo giorno, che c’è un solo candidato per il quale non sono arrivate e proprio non arrivano raccomandazioni. Una vera mosca bianca con la casella tenacemente vuota.

È una ragazza, si chiama Guarnotta. Per questo il professore, vedendola senza protettori, disse scherzando “questa la difendo io”. Ma non ce ne fu bisogno. La studentessa era bravissima. Prese i sessanta sessantesimi che costituivano allora il punteggio massimo. “Seppi solo dopo che era la figlia del giudice Guarnotta”, aggiunge. Proprio così.

Era la figlia di Leonardo Guarnotta, uno dei quattro valorosi giudici che lavoravano nel pool diretto da Antonino Caponnetto. Che la propria lotta contro la cultura della sua Sicilia la faceva anche così: non chiedendo raccomandazioni a nessuno per sua figlia. Sarò romantico, ma l’ho trovata bellissima.

* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 25/07/2022

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