Fnsi, cambiano i vertici: è l’ora che i giornalisti (tutti insieme) tornino a lottare
Spesso i ricordi non servono a nulla. Lo dimostra il disastro fatto in Parlamento da piccoli uomini e donne che erano stati eletti per governare, ma nulla avevano studiato e capito della storia politica italiana.
Vale anche per il sindacato dei giornalisti? Lo sapremo fra qualche mese quando la Federazione della stampa celebrerà (brutto verbo) il suo ventinovesimo congresso nazionale, a Riccione.
Me lo domando perché i miei sono i ricordi di uno che fu eletto presidente proprio in un congresso: luglio 1992, trenta anni fa. Sono andato a scartabellare per ritrovare il giorno esatto: era il 4, sempre sull’Adriatico, a Pugnochiuso (le località turistiche vengono scelte per convegni e simposi, fuori stagione, per spendere meno). Non mi piacciono quelli che scrivono in prima persona e me ne scuso, ma c’è una ragione per tornare indietro con la memoria.
Meccanismi elettorali
Cherchéz la femme. Da qualche settimana si dice che arriverà una donna a guidare la Fnsi. Il nome non lo facciamo perché in conclave, si sa, uno entra Papa ma esce spesso cardinale.
Accadde proprio a Pugnochiuso, dove i delegati arrivarono con una candidatura, quella di Sandra Bonsanti, eccellente cronista politica di Repubblica (che saluto e abbraccio) che invece sul più bello si ritirò dalla tenzone. E venne eletto il sottoscritto, presidente di un sindacato che avrebbe poi insediato alla Segreteria il lombardo e battagliero Giorgio Santerini, che da qualche anno non c’è più. Papa maschio, insomma. Ma la Federazione già era stata guidata da Miriam Mafai e da Giuliana Del Bufalo.
Naturalmente, a differenza del passato oggi sono moltissime le colleghe attive nei ranghi delle associazioni regionali e della Federazione. I meccanismi elettorali sono simili e le trattative fra gruppi e delegazioni possono portare a risultati neppure immaginabili durante la fase precongressuale, ma auguri alla candidata naturalmente.
Redazioni attive
I tempi, le cose e le persone però sono molto diversi. Il giornalismo era un altro, le discussioni e i confronti più duri, l’unità del sindacato un obbiettivo ancora complicato.
Solo tre anni fa, al 28 esimo congresso di Levico Terme la maggioranza, che già governava il palazzo romano di corso Vittorio, ha vinto in modo netto: Raffaele Lorusso è stato scelto da 243 delegati su 308.
Trent’anni fa non c’era Internet, i quotidiani vendevano quasi sei milioni di copie, talvolta si poteva ancora firmare un contratto, le redazioni si facevano sentire, la Federazione degli editori costituiva un interlocutore rude ma concreto. Non rose e fiori, comunque, ma un’Italia di fuoco. Pochi settimane prima del congresso di Pugnochiuso era stato ucciso Giovanni Falcone, pochi giorno dopo saltò in aria Borsellino. Al Quirinale Scalfaro subentrò a Cossiga. Le inchieste di Tangentopoli devastarono le aule giudiziarie e i partiti politici cominciarono a sparire sotto i colpi e gli avvisi di garanzia del pool di Mani Pulite.
Contro la libertà di informazione venne sferrato un colpo mortale proprio da forze politiche che cercarono di approvare una legge che avrebbe impedito la pubblicazione di notizie durante la fase delle indagini preliminari. Altro che decreto Cartabia! Erano disegni di legge già presentati e unificati alla commissione Giustizia della Camera. Il colpo non andò a segno.
Fnsi e Ordine riuscirono a sventarlo approvando una Carta di Doveri – scritta da Sandra Bonsanti e Angelo Agostini – con cui i giornalisti si impegnavano ad una più attenta protezione dei diritti individuali (presunzione di innocenza). Il Parlamento si fermò. Anni di battaglie difficili, qualcuna vinta.
Social e notizie
A Riccione la Fnsi cosa avrà difronte? Il lavoro che non c’è, i pezzi pagati 5 euro, i cronisti aggrediti e sotto scorta, le perquisizioni ordinate dai Pm, le querele temerarie, la voglia di imbavagliarci che spunta perfino dalle istituzioni, le verità nascoste su Ilaria Alpi, su Regeni, sui delitti e i misteri che occorrerà ancora “illuminare”, come esorta ogni giorno Giuseppe Giulietti.
Poi il ciarpame che sgorga dai social, ma anche le notizie vere date dai tanti operatori della Rete che il nostro angusto sistema fa finta di non vedere.
E il contratto naturalmente, sì il contratto perchè quello resta lo scopo principale di qualsiasi sindacato.
Prima di eleggere i dirigenti, nuovi poiché Lorusso e Giulietti hanno già fatto i due mandati previsti dallo statuto, i delegati dovranno però capire e misurare lo stato di salute del nostro giornalismo, guardarci bene dentro, perché la vita e l’efficacia della Federazione dipenderanno dalla forza che la categoria saprà esprimere. I generali, uomini o donne, anche bravi, se mancano gli eserciti, servono a poco.
La prova più recente: la perdita dell’Istituto di Previdenza, uno dei pilastri della autonomia dei giornalisti italiani. La più grande sconfitta subita dalla categoria. Provocata dalla scarsa preveggenza degli amministratori? Anche. Ma in primo luogo dalla incapacità e dalla mancata voglia di lottare. Cioè di scendere in campo a difendere un “tesoro” che i giornalisti si erano costruiti e preservati, soldi nostri scomparsi un anno dopo l’altro sotto la montagna di debiti causati da editori incapaci e dal disinteresse di Ministeri che avrebbero dovuto assumere su di sé gli oneri di crisi aziendali spesso fasulle.
Dovevamo andarci a strillare, sotto quei palazzi, ma le truppe non si sono schierate. Il massacro lo abbiamo pagato di tasca nostra e si è concluso con la scomparsa dell’Inpgi (il miracolo è stato fatto solo per i giornalisti autonomi). Battaglia persa, anzi non combattuta. Al congresso di febbraio i delegati dovranno ricordarsene.
In 115 anni di storia, alla categoria nessuno ha mai regalato nulla. “Lottare” è un verbo da tirare fuori dal vocabolario se si vuole migliorare, o almeno difendere ciò che è nostro e che altri, prima di noi, hanno saputo conquistare.
Fonte: Professione Reporter
Trackback dal tuo sito.