La storia dell’albero Falcone-Borsellino di Milano
In via Benedetto Marcello, nei giardini che portano il nome dei magistrati, di fronte al liceo Volta, l’albero Falcone-Borsellino ricorda le vittime delle stragi di Capaci e via d’Amelio. I loro nomi memoria collettiva: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Dietro al cippo vi è una magnolia dedicata a tutti loro. È questa la storia di impegno, di cittadinanza attiva di insegnanti e studenti, di cittadini e abitanti del quartiere che voglio raccontare.
Ogni anno il 23 maggio e poi il 19 luglio si svolgono delle cerimonie per ricordare quei tragici fatti e le loro vittime. Il momento di incontro di questi anniversari coinvolge ormai tutta l’attenzione della cittadinanza milanese. L’esistenza di questo luogo è diventata un momento della narrazione della città e di orgoglio, anche da parte delle diverse istituzioni. Magistratura, prefettura, rappresentanze di polizia, dei carabinieri e dell’amministrazione della città dagli anni della giunta del sindaco Giuliano Pisapia sono sempre state presenti e attive. Nel corso di un processo lungo e faticoso, questi anniversari sono diventati uno dei momenti in cui Milano riafferma la propria volontà di sbarrare la strada alla presenza delle organizzazioni criminali. Rinnova la sua decisione di ostacolare i sistemi di corruzione e i tentativi di colonizzazione da parte delle mafie e della ‘ndrangheta.
L’impegno di presidi e insegnanti
Questi appuntamenti non sono quindi soltanto ricorrenze ma momenti di memoria viva che vengono preparati da percorsi e progetti di ricerca, di studio e di lavoro collettivo da parte di insegnanti e studenti di diverse e numerose scuole di Milano. Hanno come riferimento il Coordinamento delle scuole milanesi per la legalità e la cittadinanza attiva, fondato dai licei Virgilio, Severi, dal Marignoni-Polo, dal Leonardo da Vinci e dal Volta. Questa struttura organizzata di insegnanti prendeva le mosse dalla precedente esperienza del Coordinamento insegnanti e presidi contro la mafia che aveva operato fin dal 1983 nelle scuole di Milano e provincia.
Attraverso le iniziative nelle scuole e nelle università molti insegnanti avevano, infatti, partecipato a Milano in tutto il corso degli anni ‘80 a quella rivoluzione e ribellione di insegnanti e di studenti, di donne, di familiari e vedove di vittime della mafia, che si è sviluppata dopo la strage di Carini. Era culminata nella primavera di Palermo di Leoluca Orlando e nella costruzione del pool antimafia ad opera del giudice Rocco Chinnici e Antonino Caponnetto.
Quel pool, inizialmente formato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello era approdato al miracolo del maxiprocesso con la messa sotto accusa di un’intera organizzazione gerarchicamente strutturata, dei massimi capi, dei potenti latifondisti imprenditori edili, esattori, banchieri e in alcuni casi dei politici, collusi, responsabili del sacco di Palermo.
I tempi del maxiprocesso
Il maxiprocesso aveva messo in discussione quella sovranità mafiosa sulla società siciliana che, fino ad allora aveva permesso una impunità assoluta agli assassini e ai loro complici. Un contributo notevole era venuto dalla pubblicazione del libro “Delitto imperfetto” Di Nando dalla Chiesa che aveva reso visibile a tutti quella sovranità mafiosa.
Attraverso uno stretto rapporto con “Società civile” le scuole, gli studenti e gli insegnanti avevano creato un ponte ideale con la Palermo che si ribellava, avevamo seguito le difficoltà e i successi del maxiprocesso di Palermo. Nel corso di incontri oceanici al Palatrussardi di Milano e con sgomento avevamo combattuto una battaglia culturale contro la delegittimazione, l’isolamento, le accuse pretestuose che quei giudici furono costretti a subire fino al trasferimento di Giovanni Falcone a Roma e alla definitiva sentenza della Cassazione del gennaio 1992. Questa sancì la validità dell’ipotesi di accusa, affermata dalla sentenza di primo grado.
Milano aveva assunto in prima persona la questione della mafia come problema nazionale e le sue avanguardie culturali rivendicavano vicinanza e prossimità con quel tentativo, partito dalla Sicilia, di trasformare il nostro Stato, di attrezzarlo contro le mafie e in sostanza di invertire il corso della nostra storia gravemente condizionata dal peso di Cosa Nostra.
La reazione alle stragi
La vendetta di Cosa Nostra e le stragi del 1992 ci lasciarono feriti e annientati, sembrava che non ci fosse più niente da fare e da dire. Nelle scuole ci interrogavamo “se tutto era finito” come in un momento di estremo dolore aveva sussurrato il giudice Caponnetto?
Nel maggio del 1993 ci domandammo a lungo su come potevamo vivere quegli anniversari dolorosi, qualsiasi iniziativa ci sembrava, all’inizio, insufficiente e volatile. Intanto a Palermo era nato il “Comitato dei lenzuoli” che chiamava i cittadini a schierarsi a partire dai loro balconi. Lo Stato aveva cominciato a reagire con la nomina del giudice Caselli, la cui attività avrebbe portato a grandi processi, 750 ergastoli. Colpita anche quella zona grigia, che costituisce sempre l’humus delle organizzazioni criminali.
Come nasce l’idea dell’albero Falcone-Borsellino
L’idea dell’albero venne da un pensiero di un bambino di una scuola di Palermo che scrisse “Falcone è un albero, un albero con radici profonde e rami e foglie che si estendono in tutte le direzioni”.
Decidemmo di porre dei cartelli in legno e cartone con i nomi delle vittime e piantare l’albero il 23 maggio, alle ore 17.58, in un’aiuola di fronte al liceo Volta, una scuola che aveva fatto parte del coordinamento insegnanti e presidi contro le mafie. Consultai Il preside di quella scuola, Ferdinando Giordano e comunicammo al Comune che avremmo preso quell’iniziativa. Eravamo in quindici, insegnanti, un maestro, qualche esponente di Lega Ambiente e dei giovani del movimento politico la Rete, di cui io facevo parte.
Per parecchio tempo l’albero fu ignorato dal Consiglio di zona e dal Comune. Seccava, a causa della pipì dei cani randagi, ma i cartelli resistevano. Venivano rifiniti e rafforzati da studenti e cittadini. Ogni anno l’appuntamento si rinnovava con maggiore partecipazione e ogni anno qualche giorno prima dl 23 maggio lo ripiantavamo.
L’albero era stato per noi il segno tangibile del prendere parte, di schierarsi. Era il simbolo di un modo di insegnare, fare cultura, di aprire la scuola e la città di Milano verso un orizzonte di giustizia e di onestà. Era un modo di intendere la propria funzione di educatori nel rapporto tra generazioni e il mondo della scuola comprese e si rese sensibile. Il liceo Volta anche nei periodi più difficili ci ha offerto supporto tecnico e logistico. Molti magistrati cominciarono a partecipare e intervenire, ricordo che due ufficiali di polizia venivano da altre regioni a suonare e cantare ogni anno.
L’indifferenza istituzionale all’albero dei primi anni
Il coordinamento iniziò a collaborare con l’associazione “Libera contro le mafie”, ma l’amministrazione comunale ci ignorò per cinque anni, finché il professor Dalla Chiesa, allora consigliere comunale, non mise per iscritto la gravità di questa indifferenza istituzionale. Nel 1999 fu costruito un cippo di pietra e la magnolia fu protetto da un’aiuola, cominciando a crescere sempre più rigogliosa.
Il 2009 è l’anno in cui il Comune di Milano decise di nominare i giardini “Falcone-Borsellino”, quando ormai la partecipazione delle persone era cresciuta in numero e intensità emotiva e ci rendemmo conto che avevamo fatto divenire storia le nostre passioni, dolori e speranze.
Con il trascorrere del tempo ho visto diverse generazioni di ragazzi appassionarsi alla storia degli uomini e delle donne vittime di quelle stragi. Quando il ministero scelse nel 2015 di fare di Milano una delle piazze nazionali della campagna “Palermo chiama Italia” ho sentito ragazzi del Virgilio, del Volta, del Severi, del Caravaggio, intervistati dalle televisioni, raccontare come esempio di cittadinanza attiva la battaglia per far sopravvivere quella pianta. Era il simbolo di una speranza mai sopita. In quegli anni si formarono i CPL, organismi della direzione scolastica regionale delle scuole che desideravano portare avanti programmi sull’educazione alla legalità. Il CPL Milano fece proprio il progetto del Coordinamento delle scuole milanesi di far diventare studio curriculare la storia della mafia.
In ricordo di un’amica
Lì in quell’aiuola alla sinistra dell’albero, con l’aiuto del presidente del consiglio comunale Lamberto Bertolè, abbiamo messo anche una targa che ricorda Emilia Cestelli. È stata un’amica, una donna che ci ha sempre aiutato in questa impresa, anche quando nessuno ci prendeva in seria considerazione.
* Scuola di formazione Antonino Caponnetto, associazione aderente a Libera, animatore del Coordinamento delle scuole per la legalità e la cittadinanza attiva
Fonte: Fisco di prossimità
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