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Paolo, ucciso 30 anni fa per l’infinito coraggio

Gian Carlo Caselli il . Giustizia, Mafie, Memoria, Politica, Sicilia

Nel XXX anniversario di via d’Amelio – dove morirono Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi – del grande magistrato si ricorderanno soprattutto l’eccellenza professionale e lo straordinario coraggio. Coraggio dimostrato anche dicendo sempre pane al pane tutte le volte che c’era una verità da difendere. Anche contro corrente.

Grande coraggio Borsellino aveva dimostrato dopo la sconcertante decisione del CSM (11.1.88) di nominare a capo dell’ufficio che aveva realizzato il capolavoro del maxi processo non il campione dell’antimafia, Falcone, ma un magistrato che di mafia sapeva poco o nulla, ma aveva il vantaggio di esser molto più anziano; e tutti sanno che la mafia teme la gerontocrazia più di ogni cosa….

Con due interviste (Repubblica e Unità del 20.7.88) Borsellino lanciò un j’accuse molto pesante: “Fino a qualche mese fa tutto quello che riguardava Cosa Nostra passava sulla scrivania [ di Falcone] e su quella di altri tre o quattro giudici istruttori (…). Solo così si è potuto creare il maxi-processo, solo così si è potuto capire Cosa Nostra ed entrare nei suoi misteri. Adesso si tende a dividere la stessa inchiesta in tanti tronconi e, così, si perde inevitabilmente la visione del fenomeno. Come vent’anni fa (…). Le indagini si disperdono in mille canali e intanto Cosa Nostra si è riorganizzata, come prima, più di prima (…). Ho la spiacevole sensazione che qualcuno voglia tornare indietro”.

Accuse così non possono non produrre reazioni. Ma a farne le spese questa volta non sono i responsabili delle storture denunziate da Borsellino. Nel mirino finisce …Borsellino. Contro di lui il Csm apre un impraticabile procedimento para-disciplinare col pretesto che le sue denunzie… non hanno seguito le vie istituzionali.

Dopo la morte di Falcone Borsellino sentì il dovere di essere ancora più duro. Commemorando alla Biblioteca comunale di Palermo (25.6.92) l’amico ucciso, disse che Falcone, preso in giro da “qualche Giuda”, aveva “cominciato a morire” proprio nel gennaio 1998 con l’umiliazione inflittagli dal CSM “con motivazioni risibili”; “se non forse l’anno prima, con quell’articolo di Leonardo Sciascia”. Vale a dire l’ articolo che attaccava Borsellino per la nomina a procuratore di Marsala e che fu poi strumentalizzato per “affondare” Falcone.

È noto poi che dopo la morte di Falcone il Governo varò un decreto-legge che introduceva efficacissime norme antimafia (il c.d.“doppio binario”). Contro il decreto si sollevò un’ondata di ostilità (carceri in rivolta e penalisti in agitazione) e il decreto sembrava condannato a non essere convertito in legge.

Borsellino reagì (Corriere della sera-23.6.92) sostenendo che il decreto-legge andava nella direzione giusta: “Il nuovo codice [varato nel 1989, ndr], apprezzabile nelle aule universitarie , non consente di processare i mafiosi. Chiediamo abbondantissimi sconti di pena come riconoscimento della utilità della collaborazione […]. Noi diciamo che la redenzione di un mafioso va dimostrata in un solo modo, collaborando”.

Borsellino non sapeva che soltanto dopo la sua morte il decreto sarebbe stato convertito in legge in fretta e furia, invece di essere abbandonato.

Come non poteva sapere che trent’anni dopo la stessa ondata di ostilità si sarebbe riprodotta, questa volta con l’innesco nientemeno che della Consulta, sull’ergastolo ostativo.

Tornando all’articolo di Sciascia sulla nomina di Borsellino a Marsala, in sostanza lo si accusava di essere un carrierista che usava l’antimafia per sgomitare scavalcando colleghi che non avevano avuto la “fortuna” di occuparsi di mafia. Una “fortuna” che a Marsala significava avere a che fare con un “santuario” delle cosche mafiose, con la presenza inquietante di banche e istituti finanziari più numerosi che ovunque altrove: una situazione che poteva affrontare non il primo venuto, ma solo un esperto disposto ad impegnarsi allo spasimo.

Com’era Borsellino, che ironizzando diceva : “Pregherò – sono cattolico – perché la giornata abbia un orario molto più prolungato delle povere ventiquattro ore che siamo abituati ad osservare” (Com. parl. antimafia 11.12.1986 – citato da G. Bianconi nel libro “ Un pessimo affare”).

Sciascia su Borsellino aveva commesso un marchiano errore, ma paradossalmente – senza saperlo né volerlo – aveva visto giusto.

Nel senso che Borsellino è stato capace di restare fino all’ultimo fedele ai suoi doveri e di garantire fino al sacrificio della propria vita il diritto di tutti di vivere in una comunità senza mafia. Mai arretrando, neppure di fronte alla certezza che dopo Falcone identica sorte poteva toccare a lui.

Proprio un autentico, nobilissimo “professionista dell’antimafia”!

Fonte: Il Fatto Quotidiano 

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