Angelo Guglielmi, l’intelligenza della tv intelligente
Sulla scomparsa di Angelo Guglielmi si sono lette tante lodi, ivi comprese quelle farisaiche di quanti l’avevano già relegato ai libri di storia.
Intendiamoci. Giudizi e valutazioni di grande riguardo verso una simile personalità sono atti dovuti. Non si illuminerebbe – però – una figura ricca e complessa, se non se ne sottolineasse un essenziale tratto istintivo del carattere: il suo essere lontano dai preconcetti e dal generico buonsenso del culturalmente corretto.
Nella sua lunga esperienza risaltano, piuttosto, le rotture e le ragionate azioni sovversive. Del resto, fin dall’importante esperienza del Gruppo ’63 la cifra estetica ed espressiva preferita era la scala metrica del dissenso. Un dissenso inteso come rifiuto della banalità o della retorica, come premessa e leva di un nuovo senso comune.
La citatissima tv-verità era un luogo di conflitti, non di mero appagamento. Guglielmi siede a buon diritto nella ristretta élite di coloro che non raccolgono – mercificandoli- usi, gratificazioni o desideri, bensì li determinano attraverso una sapiente miscela di proposte di più facile consumo e momenti di pura trasgressione.
Telefono giallo, Mi manda Lubrano, Quelli che il calcio, Chi l’ha visto, Un giorno in pretura, Milano-Italia, Va pensiero e Samarcanda e le prime trasmissioni pensate dalle donne come La tv delle ragazze e Avanzi viaggiavano lungo la fertile mediana che sta sui confini tra alto e basso, fino alla geniale critica della televisione attraverso la televisione di Blob.
Insomma, la direzione della terza rete della Rai (con un solerte vice come Stefano Balassone e con il Tg3 di Sandro Curzi complice della sorvegliata trasgressione) dal 1987 al 1994 sarà sempre ricordata in quanto prototipo della televisione intelligente, anche se Guglielmi rifuggiva da simili anguste definizioni.
La televisione è un flusso, usava dire, dentro cui si devono ibridare stili e linguaggi conosciuti con sperimentazioni inedite. Se il servizio pubblico ha retto e regge (con parecchi acciacchi) è perché un canale simile fu inventato e visse felice per un po’, fino a che l’avvento del consiglio di amministrazione dei cosiddetti professori, che poco conoscevano il mezzo, immaginò di contrastare la piaga della lottizzazione reprimendo le zone in cui si respirava la maggiore libertà creativa.
Ma Michele Santoro (e non solo) dava fastidio e trasmissioni considerate belle ma birichine facevano paura all’insorgente miscela dei poteri, che trovò l’epifania con la vittoria proprio nel 1994 di Silvio Berlusconi.
Comunque, la rete fu come un romanzo di formazione e parecchi volti significativi che vediamo ancora oggi partirono da lì. L’elenco è lungo e si rischia di incorrere in qualche dimenticanza.
Ma Guglielmi continuò a scrivere di letteratura e di cinema, seguendo le orme iniziali di un immenso lavoro, che spaziò dalla pubblicazione di libri e saggi, all’impegno come critico sulle pagine de L’Espresso o di Tuttolibri de La Stampa. Divenne presidente e amministratore delegato dell’Istituto Luce tra il 1995 e il 2001, dove si cimentò nella produzione di opere cinematografiche non gradite – come format- nei palinsesti ideati in precedenza. L’amore sbocciò, visto che fu componente dell’Enciclopedia del cinema edito dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana.
La politica non fu mai altrove. Intanto, è bene ricordare che la citata terza rete fu pure un momento catartico per un popolo comunista attraversato da crisi profonde e travolto dalla svolta del 1989. Proprio perché sempre autonomo e indipendente, Guglielmi non nascondeva simpatie e preferenze. Quel canale, mai ortodosso, dava una ragione di evoluzione a culture ferme e anchilosate.
Il sottotesto di vari programmi era la prefigurazione della crisi della politica, sempre con la speranza e l’ambizione di cambiarla. La storia prese un corso lontano dalle speranze di un cambiamento governato e sappiamo come è andata. Tuttavia, l’intellettuale apparentemente snob e disinteressato alle volgarità del presente partecipava con passione all’agone pubblico.
Fu assessore alla cultura del Comune di Bologna dal 2004 al 2009, nella giunta guidata da Sergio Cofferati. E, meno noto, fu candidato a sindaco del Comune di Pomezia nel 2002, perdendo con onore in una contesa impossibile. Fu l’occasione per conoscere un Guglielmi differente dal personaggio da lui stesso costruito : umile, dialogico con le persone che chiedevano lumi sulla città, attento alle forze in campo.
Il ricordo commosso va alla cena elettorale organizzata in un hotel di Pomezia con Michele Santoro. All’inizio della serata proprio loro due invocarono moderazione e cautela per non impaurire i ceti borghesi e gli incerti. Finì con gli stessi due che intonarono O bella Ciao. Che tristezza, che nostalgia.
Fonte: Il manifesto/Articolo 21
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