Le letture dell’infanzia. Non è solo evasione perché quei libri servono per capire il futuro
Ma qualcuno ha mai letto “Andersen”? Immagino, a spanne, che la quasi totalità dei lettori di “Storie Italiane” non l’abbia mai letto e non sappia nemmeno che si tratti di una rivista.
Nessuna pubblicità indebita, sia chiaro. Piuttosto la voglia di richiamare la nostra attenzione su un mondo, quello dell’infanzia, lasciato regolarmente ai margini delle nostre preoccupazioni.
Perché è pur vero che l’Italia è ormai una piramide anagrafica a testa in giù, con le classi di età infantili ridotte a comparse. E che dunque le grandi priorità quotidiane appaiono altre. Però “Andersen”, che è appunto un “mensile di letteratura e illustrazione per il mondo dell’infanzia”, ci dà una prospettiva diversa e importante.
Non mi capita purtroppo di poterlo leggere regolarmente. Ma quando accade scopro nuovi, impensati orizzonti. È come se di fronte alle fiabe, ai disegni raffinati, alle filastrocche ricche di pedagogia, prendesse forma nella mia mente un’immagine “altra” dell’esistenza e della vita; leggera ma per nulla evanescente, in cui perfino il Covid e la guerra battono in ritirata.
Sfoglio, e mi sento proiettare in una sfera meravigliosa (e costruttiva) di innocenza. Sentite un po’ questo assaggio d’indice: “Librerie a zonzo/ Farollo e Falpalà, Firenze”; “Il paese delle fiabe, vincitori e menzioni”; “Ambarabà Ricicloclò 2022”; “Il Sognalibro”. E poi le raffiche di premi vinti da istituti di tutta Italia su progetti rivolti alle scuole primarie. Disegni, temi, recensioni di libri di fantasia o legati alle grandi questioni sociali, titoli che ridisegnano l’universo e il perimetro stesso delle scienze.
Ricordo come divorai mesi fa un articolo su “che cosa leggono i bambini che non sanno leggere”, vero e proprio tesoro di suggestioni e informazioni. È come “aggiustare”, riallineare la mente.
Perché si realizza di colpo quanto sia grande, in fondo, il mondo che ruota intorno alla produzione editoriale per l’infanzia. Insegnanti, pedagogisti, letterati, poeti, disegnatori, illustratrici, redattrici, traduttori, organizzatori di eventi, editori, librai, bibliotecarie. Perfino magistrate come Elisabetta Morosini o Valeria Cigliola, da anni impegnate a insegnare le Costituzioni (anche quella degli alberi) ai più piccini. Filiere lunghe, filiere larghe, che studiano, inventano e progettano. Senza fermarsi mai a un traguardo.
Rifletti su come questo grande sforzo collettivo non susciti attenzione da parte nostra, a come sia destinato a occupare una nicchia residuale del mondo culturale. Eppure…Eppure sappiamo che le strutture di personalità (la base della società) si formano fra i tre e i quattro anni. Eppure sappiamo che dalla qualità delle fondamenta dipende la capacità di ogni edificio di resistere agli scossoni della natura.
Non ci vuol molto per capire allora che dedicarsi alla letteratura per l’infanzia non significa praticare l’evasione, fuggire dalle tragedie e dai problemi quotidiani. Significa piuttosto porsi il problema di come nascono e si formano i futuri cittadini, quali parole sentono, con che sentimenti vengono allevati, che cosa (appunto) leggono quando non sanno leggere, quali immagini del mondo modellano crescendo con i loro coetanei.
Qualche giorno fa un mio nipotino mi ha portato in dono una sorpresa meravigliosa: la raccolta dei disegni da lui realizzati durante il suo primo anno nella scuola primaria. Un autentico patrimonio di sapere e di immaginazione. Sentendo i miei commenti entusiasti su un suo disegno ha detto “Questo l’ho fatto con il maestro Michele”.
Ecco, il maestro, le maestre, questi intellettuali diffusi che nessuno considera parlando di cultura. E che invece sono alla base di tutto. Perdiamo pure un po’ di gas e di petrolio ma non perdiamo le miniere d’oro da cui nasce la vera ricchezza di un popolo: da Gianni Rodari al “Maestro Michele”.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 27/06/2022
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