Cronaca ad ostacoli 1/ Abbiamo “bucato” su Zagaria. Ecco perché
Cosa sta succedendo alla cronaca e ai cronisti italiani tra bavagli, povertà, leggi reazionarie? Ce lo dicono tre protagonisti della battaglia per la libertà di espressione che stanno guardando il problema da molto vicino. Di seguito la prima intervista, a Rosaria Capacchione.
Succede che nell’udienza in cui il capo in carica del clan dei casalesi decide di parlare, a modo suo, non siano presenti giornalisti.
È il 6 maggio 2022: Michele Zagaria accetta di sottoporsi all’interrogatorio e, a proposito delle accuse sui messaggi cifrati alle sorelle dati in regime di detenzione al 41 bis, snocciola una serie di motivazioni strettamente familiari. L’escussione con un fuoco di fila di domande del pm durerà circa due ore e, alla fine, il boss dirà di voler smettere di essere ciò che è stato.
Il giorno dopo non ci sarà traccia su nessun giornale, tv, blog, sito in line. Perché una notizia di cronaca giudiziaria così importante è sfuggita a tutti? Perché al dibattimento con Michele Zagaria, collegato in aula dal carcere, quel giorno non c’erano cronisti e si dovrà aspettare una settimana circa per leggere i primi resoconti, arrivati insieme alla divulgazione delle trascrizioni d’aula?
Un ritardo del genere sulla cronaca, nel 2022, quando anche la guerra viene raccontata in tempo reale, sembra incredibile. Una beffa, un paradosso. Succede ad Aversa, nel cuore dell’impero dei casalesi, nella provincia con più giornalisti minacciati e sotto scorta. Eppure stavolta le intimidazioni e la paura non c’entrano nulla.
“I giornalisti non vanno più ai processi, questa è la verità. Purtroppo”, dice Rosaria Capacchione.
Chiedo alla giornalista di Caserta che di processi di camorra ne ha seguiti in quantità industriale e che probabilmente conosce meglio di tutti le dinamiche che hanno attraversato il clan dell’agro aversano se lei non creda che questo clamoroso “buco”, perlomeno temporale, su Zagaria sia figlio di una qualche difficoltà o inagibilità, oppure è un frutto di questo tempo.
“Il punto di caduta non è ‘solo’ il ritardo della notizia, ma il fatto che non c’è stata analisi. – dice Capacchione – Cioè: il lettore si aspetta di sapere perché Zagaria ha parlato quel giorno, cosa a detto, a chi si è rivolto. Io penso che noi giornalisti abbiamo delle responsabilità sempre quando ci sono lacune come questa”.
I giornalisti vengono remunerati poco e male. Un articolo su Michele Zagaria viene pagato quanto il resoconto di un consiglio comunale. Chi ce lo fa fare ad andare lì, a sentire lui che manda messaggi, con tanti lettori che nemmeno sono interessati?
“Intanto non c’è alcuna legge che ti impone di fare il giornalista. Se lo fai devi correre dietro alle notizie. Chi lo ha detto che la gente non è interessata? Siamo noi che dobbiamo raggiungere i lettori, magari con le nuove tecnologie, con un modo nuovo di raccontare. Molti fruitori della rete, dei social, non erano nemmeno nati quando succedevano le cose che oggi si discutono in Tribunale, quindi noi abbiamo il dovere di dire loro cosa è accaduto, con il linguaggio che è loro comprensibile. Detto questo, è vero che tanti colleghi giovani non hanno nemmeno il tempo di andare in Tribunale, perché debbono fare tanto altro, li incollano al desk e devono scrivere di tutto. Però, ripeto: può succedere che salti un’udienza perché pensi che non succederà nulla quel giorno, che sarà rinviata e poi invece accade di tutto. Ma poi hai il dovere di spiegare ai lettori l’accaduto, di fare un’analisi, di mettere insieme i pezzi”.
I giornalisti, come te, che hanno raccontato la camorra campana, hanno anche, poi, contribuito a cambiare quella terra, insomma è stato un giornalismo militante, nel senso sociale del termine. Non hai paura che ora, se non c’è più quel giornalismo, anche questo tipo di territori siano lasciati al loro destino?
“Io penso che la nostra categoria debba riconquistare credibilità. Io non sono propensa a seguire le lamentele sulla mancanza di informazioni delle fonti. Noi dobbiamo rivendicare il nostro ruolo. La notizia non si scrive quando il procuratore, il colonnello, il Prefetto mandano una nota. No, lo scriviamo quando decidiamo noi, quando ne abbiamo gli elementi, quindi questa storia della contrazione della cronaca perché ci sono restrizioni sulle fonti io non la condivido. Penso che contro di noi, contro i giornalisti di giudiziaria abbia pesato anche l’andamento di molti processi, finiti, prevedibilmente, assai peggio di come erano iniziati e noi, non sempre, non abbiamo saputo addrizzare la rotta, forse per paura di non danneggiare i rapporti con le fonti investigative. Ma alla fine tutto questo ha danneggiato noi. Non siamo i portavoce delle questure, siamo cronisti”.
Ti aspettavi che nel 2022 ci potessero volere sette giorni per riferire quanto accaduto in un processo importante? Sai, viene da pensare che non ne abbiamo scritto per paura, visto il calibro dell’imputato. Ma sappiamo che non è così, che c’è dell’altro in questa lacuna…
“Non me lo aspettavo e soprattutto avrei voluto leggere un’analisi a tutto tondo. Vorrei, da lettrice, che qualcuno mi spiegasse cosa sta avvenendo in quel clan che non è più ciò che è stato un tempo, vorrei comprendere le dinamiche, l’evoluzione. Però per fare questo serve tanto noioso lavoro di lettura degli atti e tanto tempo nelle aule”.
Fonte: Articolo 21
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