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Gli arresti di Palermo e l’assuefazione alla mafia: così si oltraggia la resistenza ‘dei giusti’

Gian Carlo Caselli il . Mafie, Memoria, Politica, Sicilia, Società

Una recente ricerca coordinata da Ilvo Diamanti per “Demos-Libera” ha rilevato un’accentuazione del sentimento di assuefazione, più che di rassegnazione, intorno a eventi e soggetti della criminalità mafiosa. Cresce la tendenza a considerarli normali. Quasi banali.

E la “banalità del male”, per riecheggiare le parole di Hanna Arendt, rischia di generare un clima di acquiescenza intorno alle mafie, quasi fossimo contaminati da un “mafia virus” (come lo ha definito Luigi Ciotti). Un quadro assai cupo, che induce a preoccuparsi seriamente dello stato di salute della nostra democrazia.

Ma la preoccupazione cresce se guardiamo a recenti accadimenti in Sicilia. Dove parlare di assuefazione, rassegnazione e acquiescenza alla mafia può addirittura essere riduttivo, a fronte di accadimenti che rivelano piuttosto un’amnesia dolosa o un’anestesia totale che rende insensibili ai richiami della memoria e dell’etica.

Mi riferisco alle incursioni di Salvatore Cuffaro e Marcello Dell’Utri (ambedue condannati, rispettivamente per favoreggiamento di persone legate a Cosa nostra e per concorso esterno nell’organizzazione) e al ruolo di punta che essi hanno avuto nelle elezioni comunali di Palermo; Dell’Utri – stando alle cronache – anche con incontri, nei giorni caldi, con i maggiorenti del centrodestra nel famoso Hotel delle Palme, uno scenario che richiama i film di Francis Coppola. Nel complesso, una specie di “liberi tutti”, quanto meno nella percezione di molti palermitani.

In questo quadro vanno obiettivamente inseriti gli arresti per il delitto di voto di scambio politico-mafioso che la magistratura palermitana ha appena disposto, dopo che un Trojan ha captato conversazioni definite (allo stato degli atti, s’intende) di un’eloquenza indiscutibile, tanto più se rapportate ad un contesto – captato anch’esso dall’indiscreto trojan – di “junco” che cala dopo che è passata la piena, un classico della “filosofia” mafiosa. E tutto ciò, senza vergogna, nel XXX anniversario della strage di Capaci.

Papa Francesco qualche giorno fa, parlando ai Vescovi dell’isola, ha detto che “si assiste in Sicilia a comportamenti e gesti improntati a grande virtù come a crudeli efferatezze”. Che al “tanto sangue versato per la mano di violenti” si contrappone “la resistenza mite ed eroica dei santi e dei giusti, servitori della Chiesa e dello Stato”.

Papa Francesco vola troppo alto per pensare che possa occuparsi delle meschinità di una campagna elettorale. Nondimeno si può ben sostenere che ogni forma di “nostalgia” (a dire davvero troppo poco) di mafia, oltraggia e sfregia la “resistenza” di cui parla Papa Francesco, insieme ai valori portanti della nostra Costituzione.

Il Fatto Quotidiano, il blog di Gian Carlo Caselli

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