La sorella del giudice assassinato racconta “Il cane di Falcone”
A 30 anni dalla strage di Capaci del 1992 esce un libro, tra realtà e finzione, tratto da una storia vera: quella di Uccio, il randagio ritratto ai piedi della statua di Falcone nel Tribunale di Palermo.
Sono passati 30 anni dalle stragi di mafia del 1992 e parlarne (e riparlarne) fa bene a tutti. Al ricordo delle vittime, ai loro familiari, ai giornalisti che le hanno descritte e fotografate, ai magistrati che seguirono i processi nelle aule dei tribunali, ai giovani che non hanno vissuto quegli anni terribili. In definitiva alle istituzioni e ai cittadini di un Paese che, sempre più spesso, sembrano essere senza memoria.
Una prospettiva diversa la fornisce ora un romanzo, appena pubblicato da Fazi Editore, che è anche una storia per ragazzi: si intitola “Il cane di Falcone” e ne è autore Dario Levantino. Descrive un uomo e un cane che parlano di bene e di male, di criminalità e giustizia a Palermo: sono Uccio, un randagio ‘veggente’ ultimo tra gli ultimi, e un giudice solitario, Giovanni Falcone.
Levantino ripercorre una delle pagine più buie della nostra storia con un racconto sull’eccidio del 23 maggio 1992 e sulla figura del magistrato palermitano, narrate attraverso gli occhi del cane. Con leggerezza e senza toni retorici, vengono affrontati temi difficili, facendo emergere il valore del coraggio e la forza delle idee che sopravvivono alla morte. Il libro si ispira a un animale realmente esistito, Uccio, che sembrava vegliare la statua del giudice accanto a quella di Paolo Borsellino, sdraiato nello spazio tra loro del corridoio del Palazzo di Giustizia di Palermo. È vissuto per 18 anni “il cane di Falcone” senza mai conoscerlo, portando il soprannome di “il guardiano”, a lui affibbiato dai magistrati del Tribunale. E pare anche che abbaiasse soltanto alle persone in apparenza losche.
“E’ un racconto su Palermo – spiega Maria Falcone, che firma la prefazione del volume – una città in cui l’amicizia, la viltà, il coraggio, il Bene e il Male non conoscono toni minori. Soltanto a Palermo Uccio può diventare confidente e amico di un eroe solo. In una città cupa, scossa dalle bombe e sporca del sangue di pochi valorosi, Uccio e Giovanni Falcone diventano inseparabili. Un rapporto vero tra due solitudini che si riconoscono e si scelgono, una vicenda tenera e disarmante, che ci mostra miserie e virtù e ci parla dell’amicizia”.
Il randagio “ha vissuto sulla propria carne la crudeltà e l’umiliazione – sottolinea la sorella del magistrato assassinato – e trema davanti ai soprusi e alla violenza, mentre l’uomo, nel ribellarsi alla prepotenza mafiosa, ha conosciuto invidie, tradimenti e ‘corvi’”. Levantino non vive più a Palermo, (insegna a Monza ndr), tuttavia, osserva Maria Falcone, ancora porta questa città “nel cuore e la racconta come solo un palermitano sa fare. Con l’amore e l’odio, con l’orgoglio e con la riprovazione del figlio che ha lasciato la sua casa senza mai andarsene davvero e con la conoscenza profonda di chi ha provato a capire e perdonare le contraddizioni della sua terra”.
Tra l’amore sfortunato del cane per Kelly e “la poetica e mostruosa Palermo”, compaiono nel frattempo il Maxiprocesso, i morti ammazzati, Tommaso Buscetta, il Palazzo dei veleni. Insomma “la vita di mio fratello e della sua città. La mafia raccontata in modo originale e non retorico, è sullo sfondo, presenza costante e dolorosa, mai però invincibile”, conclude Maria Falcone. Lo scrittore infatti ci insegna che “affrontare i propri mostri e sconfiggerli è molto più facile di ciò che temiamo”.
Fonte: Micromega/Libertà e Giustizia
*****
Trackback dal tuo sito.