Fare inchiesta e l’essenziale legame con le tracce
Le persone possono scomparire? Eliminare ogni traccia di sé online: mail, social, amici e decidere di passare il resto della vita senza farsi notare?
Si può, dopo aver subito un torto, e pur avendo ragione, decidere di non dire la verità per tutelare i propri cari? Lasciare invece che quello che ci è successo ci attraversi come un treno invisibile?
E addirittura, si può fuggire via, costringersi a credere che la battaglia della nostra vita semplicemente non ci appartenga più?
A marzo 2022 ho scoperto che non è possibile. Pragmaticamente bastano davvero poche informazioni per risalire alla vita di una persona: nome, cognome e professione. E nel caso manchino anche quelle, ci sono sempre le pagine bianche. Tuttavia può capitare che anche le informazioni basilari non si trovino. Allora per risalire a una persona tocca insistere, contattare i parenti ad esempio.
Ma soprattutto, ho scoperto una delle cose più interessanti del fare inchiesta: che la vita è come giocare a nascondino, e chi scompare, spesso aspetta solo il momento che qualcuno urli “tana libera tutti” e porti la verità a galla.
Immaginiamo per un secondo, però, che quel qualcuno arrivi in ritardo. Che non arrivi in tempo, perché il tempo è pur sempre un concetto relativo. A quel qualcuno (il giornalista) resta solo una cosa da fare: instaurare un dialogo con le tracce che ci sono state lasciate per raccontare la verità.
* Finalista della 11a edizione del Premio Roberto Morrione
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