Immigrazione clandestina via mare, i problemi maggiori arrivano con l’estate
Con l’arrivo della buona stagione, aumenterà, come ogni anno, significativamente il flusso di migranti che arrivano nel nostro paese via mare a bordo di gommoni e di sgangherate imbarcazioni, spesso scorsi da navi umanitarie.
Aumenteranno, così, i problemi da affrontare sul piano generale dell’assistenza (si pensi, per esempio, ad alcune migliaia di minori non accompagnati), della distribuzione regionale dei migranti, delle procedure connesse al riconoscimento della protezione internazionale, di quelle relative ai trattenimenti nei Cpr, sui riconoscimenti e sui rimpatri nei paesi di origine.
I dati di questi ultimi giorni relativi ai migranti sbarcati dall’inizio dell’anno al 26 maggio, 17.973, in prevalenza di nazionalità egiziana e bangladese, raffrontati agli analoghi periodi del 2021 (13.765) e del 2020 (4.767), indicano che il fenomeno si è ampliato anche se molto ridotto rispetto, per esempio, a cinque anni fa quando nello stesso arco di tempo si erano annotati ben 60.200 stranieri sbarcati, in prevalenza nigeriani e ancora bangladesi.
Tuttavia, nel 2017, nel periodo suindicato, contrariamente a quanto si registra oggi, 6.198 stranieri erano stati “ricollocati” in diversi paesi dell’Ue (606 persino in Svizzera) alleggerendo il sistema di accoglienza italiano, mentre per oltre 1.000 migranti le richieste italiane erano state approvate e si era in attesa del trasferimento (poi avvenuto).
Azzerati i ricollocamenti per quella mancanza di solidarietà evidenziatasi sempre più nel tempo da parte degli Stati membri, il tema dell’incremento dell’effettività dei rimpatri è diventato prioritario nel più ampio contesto di gestione sostenibile delle migrazioni (problema da affrontare seriamente non con le ridicole soluzioni prospettate del “blocco navale” di cui, di tanto in tanto, qualche sprovveduto politico parla).
Ma queste operazioni non sono così semplici come qualcuno può immaginare. Intanto, il possesso di un documento di identità consenta l’espatrio di uno straniero è la condizione imprescindibile per l’esecuzione di un provvedimento finalizzato all’allontanamento di uno straniero privo di titolo di soggiorno. Laddove tale presupposto manchi, l’ufficio di polizia deve attivarsi per ottenere la compiuta identificazione ed il rilascio del documento di viaggio (il c.d. “lasciapassare”) dall’autorità consolare del paese di provenienza dello straniero. Operazione non sempre facile.
La riammissione dei propri cittadini è un obbligo per gli Stati secondo il diritto internazionale consuetudinario e l’UE ha messo a disposizione degli Stati membri una serie di strumenti operativi normativi per agevolare le iniziative nazionali e definire le buone prassi in un settore così delicato. In questo ambito, gli “accordi di riammissione”, ovvero quelli stipulati tra UE e paesi terzi, forniscono un quadro strutturato di cooperazione nel settore in questione.
Poi ci sono le “buone prassi” concordate dalla UE con alcuni paesi terzi che non sono giuridicamente vincolanti ma che anche se lo fossero sarebbero, come succede anche con gli accordi di riammissione, sono spesso ignorati perché nella crisi generale, economica, sociale e di emergenza sanitaria che molti paesi stanno attraversando e di quella alimentare che si profila drammaticamente, ogni paese pensa ai problemi di casa propria.
L’incremento di migranti che vogliono raggiungere le nostre coste è salutato con grande soddisfazione dalle organizzazioni criminali di maggiore spessore che gestiscono l’introduzione illegale (realizzando dal traffico ingenti profitti) dislocate in Libia, Tunisia, Egitto, Turchia e che si avvalgono di manovalanza (scafisti e basisti) e di organizzazioni di basso livello che costituiscono l’ultimo gradino in termini di complessità interna.
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In forte aumento l’immigrazione irregolare nell’Unione Europea
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