La mafia calabrese (e non solo) è presente a Roma da anni
Grande stupore ha suscitato nell’opinione pubblica e in alcuni ambienti della politica la recente operazione “Propaggine” della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) che, nella Capitale ha portato all’arresto di 43 persone (oltre ad una trentina arrestate in Calabria) indiziate di associazione a delinquere di stampo mafioso e, a vario titolo, coinvolte in affari con la ‘ndrangheta per rilevare attività commerciali e della grande distribuzione per riciclare il denaro.
Sbalordimento incomprensibile perché è nota da anni “la presenza nella provincia di Roma (..) di proiezioni di organizzazioni calabresi, campane e siciliane” come annota anche la più recente relazione della DIA (537 pagine) presentata dal Ministro dell’Interno al Parlamento quest’anno e relativa alle attività di contrasto svolte dalle forze di polizia nel primo semestre del 2021.
Naturalmente queste relazioni andrebbero lette con molta attenzione e credo che pochi dei nostri rappresentanti in Parlamento lo facciano perché, come hanno sostenuto anche alcuni magistrati, impegnati nel contrasto alla criminalità organizzata, la lotta alle mafie non è la priorità della politica.
C’è anche un altro particolare e cioè che solo da alcuni anni a questa parte la DIA riserva un capitolo specifico alle “Proiezioni della criminalità organizzata sul territorio nazionale”, tema che non appare nelle “vecchie” relazioni e non perché era poco conosciuta l’espansione delle mafie in altre regioni (in una delle prime relazioni, quella del 1992, di sole 28 pagine, appena cinque righe vengono riservate alla mafia calabrese).
Che a Roma, poi, la situazione si sia aggravata al punto che la ‘ndrangheta ha deciso di aprire una “locale” per curare i suoi molteplici interessi, lo ha ricordato con parole chiare e nette lo stesso Procuratore Generale presso la Corte di Appello della Capitale in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2021 che parlando di investimenti di capitali mafiosi a Roma ha fatto riferimento “al ricorso alla fittizia intestazione di beni e attività da parte di esponenti mafiosi non presenti con continuità sul territorio romano in favore di soggetti “puliti”, spesso imprenditori/operatori commerciali, che invece vi operano stabilmente, ovvero, quello, altrettanto consolidato della compartecipazione sociale “a distanza”, attraverso la creazione di vere e proprie società di fatto, nella quale una parte della compagine, quella mafiosa, per non essere riconosciuta come tale, resta occulta e “lontana”.
Insomma, a Roma (ma anche a Latina) le indagini hanno fatto emergere “qualificate proiezioni di organizzazioni calabresi” e sarebbe stato davvero incomprensibile se ciò non si fosse realizzato nel tempo: la Capitale, grazie alla sua centralità e agli importanti collegamenti aerei e marittimi, è un mercato a forte consumo e nello stesso tempo un importante hub per lo smistamento degli stupefacenti che sono sempre il principale “affare” per la criminalità mafiosa tradizionale ed altri sodalizi (anche stranieri) presenti in città e nella regione.
Insomma, a Roma “c’è spazio per tutti” e di questo sono ben consapevoli le singole organizzazioni criminali che vi operano “in autonomia e all’occorrenza per la condivisione di un business contingente anche grazie a figure di raccordo in grado di colloquiare con diverse matrici criminali” come evidenziato nella operazione Propaggine appena conclusa.
*****
“Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto“: le mani della ‘ndrangheta sulla capitale
Trackback dal tuo sito.