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Dopo l’assemblea dell’Anm: una prospettiva lungimirante e collettiva

Stefano Musolino * il . Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica, Società

Con 1081 voti favorevoli, 169 contrari e 13 astenuti, l’assemblea straordinaria dell’ANM del 30 aprile 2022 ha proclamato una giornata di astensione, delegando la G.E.C. per individuare tempestivamente la data e le concrete modalità organizzative del suo svolgimento.

Magistratura democratica ha proposto un emendamento, accolto, al testo inizialmente presentato, al fine di fare precedere la giornata di astensione da una serie di iniziative volte a sensibilizzare l’opinione pubblica e rendere la stessa magistratura più consapevole della rilevanza della sfida.

Un ulteriore emendamento proposto da Stefano Celli, componente del CDC ANM, che prevedeva la possibilità di soprassedere all’astensione, in caso di positivi riscontri delle interlocuzioni con i rappresentanti del Parlamento, non ha trovato accoglimento.

Tutti i gruppi associati si sono già espressi negativamente sulla riforma in gestazione, senza significative differenze, evidenziando i gravi pericoli incombenti sulla futura qualità della giurisdizione che deriverebbero dalla sua approvazione.

La separazione sostanziale delle funzioni (in luogo di un passaggio formativo obbligatorio all’altra funzione, quanto meno per chi intenda svolgere quelle di pubblico ministero) si muove lungo il mantra del giudice condizionato dal rapporto ordinamentale con il pubblico ministero, nonostante le clamorose smentite statistiche di questo assunto, e trascura l’importanza di un pubblico ministero che – plasmato nella giurisdizione – misura, sin dalle indagini, il suo operato in funzione del risultato processuale, piuttosto che in funzione del provvisorio successo cautelare della iniziativa investigativa.

La previsione nella riforma di un parere consultivo del Ministero solo sui progetti organizzativi degli Uffici di Procura, letto insieme e talune autorevoli proposte legislative che impongono l’acquisizione delle notizie di reato solo tramite la polizia giudiziaria, accentuano la percezione di trovarci di fronte ad un tentativo, neppure tanto ben mascherato, di controllo delle modalità di esercizio dell’azione penale.

La logica aziendalista trasforma profondamente il fascicolo personale: da specchio delle caratteristiche positive e negative del magistrato, con la funzione di garantire la verifica della sua perdurante idoneità allo svolgimento delle funzioni, a uno zibaldone di atti, in funzione di una verifica della “performance” di astrusa quanto improbabile realizzazione concreta. Tuttavia, prima ancora, estraneo a una moderna idea di giurisdizione è lo stesso presupposto argomentativo di questa scelta che immagina i processi come una battaglia in cui si vince o si perde, piuttosto che come spazio di pacata verifica delle prospettazioni in contraddittorio, figlio della consapevolezza che ogni acquisizione è intrinsecamente precaria, soggetta a progressivi affinamenti e comprensioni.

Il ruolo centrale riconosciuto al parere del dirigente dell’Ufficio nelle valutazioni di professionalità, l’introduzione di illeciti disciplinari per violazioni delle direttive da questi impartite, enfatizzano i profili di gerarchia che già inquinano le relazioni interne agli Uffici di Procura e tendono a espandere tali nefasti effetti anche al settore giudicante, ponendosi in radicale contrasto con l’articolo 107 della Costituzione. Il tutto in un contesto più ampio e inquietante che pone anche la discrezionalità giudiziaria sotto la lente del disciplinare.

La parte più giovane della magistratura, che gestisce carichi di lavoro straordinari, con penuria di mezzi e di risorse, in uffici vetusti ed inadeguati, già influenzata da una strisciante gerarchizzazione dei rapporti e dalla leva del disciplinare che spesso scambia per responsabilità del singolo quelle che in realtà sono inefficienze organizzative del sistema, si è ribellata a una riforma che ha schietti aspetti punitivi e si nutre di un clima di sfiducia, per cadute etiche a cui larga parte della magistratura è rimasta estranea non fosse altro che per ragioni generazionali.

Siamo, tuttavia, tutti consapevoli che una buona riforma è necessaria e in ordine a questa la magistratura associata – nelle interlocuzioni precedenti al licenziamento della riforma dalla Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati – non ha avuto un approccio adeguato alle sfide che si profilavano.

Talune aprioristiche chiusure alle necessità riformatrici (specie in tema di ampliamento delle fonti di conoscenza per la composizione del fascicolo personale, interpretate dall’interlocutore ministeriale come istinto alla conservazione dell’esistente), l’incapacità di rimeditare la questione etica (essenzialmente affidata a procedure disciplinari, definite nel silenzio camerale) e di muovere da quei fattori di crisi per promuovere riforme adeguate a evitare il ripetersi di quelle dinamiche, la sottovalutazione di quelle che sarebbero state le progressioni del dibattito politico, a fronte di un testo ministeriale che già presentava ampie criticità e che il passaggio parlamentare ha peggiorato, sono alcuni dei fattori che hanno impedito alla magistratura associata di essere interlocutrice autorevole nel dibattito che ha accompagnato il percorso sfociato nel testo di riforma, licenziato dalla Camera dei Deputati.

E, in questo contesto, non si è avuto cura di evitare il progressivo isolamento della magistratura dal mondo dell’avvocatura, dell’accademia, dei sindacati del personale amministrativo; sicché ci troviamo, oggi, senza altri soggetti istituzionali disposti a contrastare, insieme a noi, una pessima riforma che non solo non migliorerà l’efficienza del servizio giustizia, ma finirà per peggiorare la qualità della giurisdizione.

L’imminente campagna elettorale per il CSM ha vistosamente influenzato la gestione dell’assemblea straordinaria dell’ANM che ha proclamato lo sciopero. Gli interventi che si sono succeduti sono stati animati dalla volontà di infiammare la platea dei magistrati, ripetendo le nostre buone ragioni alla presenza di un’ampia rappresentanza parlamentare e dei giornalisti. Ci si è mossi in una logica da talk show, alla ricerca di facile consenso e di applausi, simulando un dibattito con gli interlocutori parlamentari che è stato solo un’occasione perché ciascuno ribadisse le proprie posizioni, senza nessuna autentica capacità di comprensione e confronto che, invero, nessuno poteva seriamente pensare avvenisse in quel contesto.

Questo andamento ha impedito di svolgere un autentico ragionamento collettivo sull’opportunità di proclamare subito uno sciopero, non consentendo all’assemblea di valutare ed avviare un serio confronto sia sugli effetti dello sciopero sull’opinione pubblica, sia sulla sussistenza di un adeguato consenso interno all’iniziativa.

E se, sotto il primo versante, la repentina evoluzione delle dinamiche impediva di immaginare qualunque seria iniziativa capace di sottrarci, in tempi brevi, all’isolamento in cui ci siamo cacciati, sotto il secondo versante era e resta indispensabile capire quale sia l’autentico, diffuso sentire dell’intera magistratura rispetto allo sciopero. Un fallimento sotto questo versante, infatti, non solo determinerebbe un grave vulnus alla credibilità istituzionale dell’ANM, ma potrebbe anche indurre una parte della rappresentanza parlamentare ad accentuare ulteriormente gli aspetti punitivi e di rivalsa della riforma, peggiorandone il testo, una volta preso atto dell’inconsistenza persino interna dell’interlocutore.

Se è questo il perimetro entro il quale ci troviamo costretti a operare, nonostante i nostri tentativi di ampliare la valutazione assembleare a quei profili, crediamo che Magistratura democratica debba mettere in campo tutte le energie disponibili, per evitare che la mancata partecipazione allo sciopero delegittimi definitivamente l’ANM.

Siamo sicuri che la mobilitazione di ogni singolo iscritto al gruppo potrà assicurare un contributo determinante per far sì che la parte indecisa della magistratura sappia riconoscere i gravi pericoli che l’esercizio indipendente della giurisdizione sta correndo e correrà in caso di approvazione della riforma, e sappia nello stesso tempo – secondo il criterio che anche nel recente passato ha orientato la nostra azione dentro l’associazione –  riconoscere il valore di una ANM comunque unita e coesa, a dispetto di coloro che hanno utilizzato l’unità solo quale arma per conquistare e mantenere posizioni di potere. Nella migliore tradizione del gruppo, tutti sapranno accantonare l’interesse immediato e personale, coltivando quello lungimirante e collettivo, a vantaggio di tutti i magistrati, avendo come bussola il bene comune, piuttosto che miseri interessi di bottega.

Il treno è già in corsa e la posta in gioco è troppo alta per potere immaginare prospettive differenti da questa. Solo una volta definita questa vicenda sarà il tempo di valutare le responsabilità politiche per i modi ed i tempi con cui è stata gestita.

* Sostituto procuratore della Repubblica – DDA di Reggio Calabria, Segretario nazionale Magistratura Democratica

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