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Md sulle riforme: una lettera al presidente dell’Anm

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Magistratura democratica ha inviato una lettera al presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, sulle riforme attualmente in discussione in Parlamento.

Caro Presidente,

nell’ottica di un dialogo condiviso e nella prospettiva dell’assunzione di iniziative auspicabilmente unitarie di tutta l’Associazione Nazionale Magistrati, ti saremmo grati se volessi porre all’attenzione dei componenti del CDC la posizione di Magistratura democratica in relazione alla riforma dell’ordinamento giudiziario e dell’assetto della magistratura che è in questi giorni in discussione in Parlamento.

Magistratura democratica esprime preoccupazione per la direzione che sta prendendo il disegno riformatore. Le gravi degenerazioni che hanno posto in discussione la credibilità della magistratura richiedono sicuramente riforme. Ma quelle in discussione non sono adeguate ad incidere sulle patologie emerse. La riforma proposta, infatti, è fortemente alimentata da una malintesa idea di “meritocrazia” (degenerata in carrierismo), da una tendenza a rafforzare gli elementi di gerarchia interni alla magistratura, dalla tendenza a condizionare l’attività del governo autonomo della magistratura al di fuori di percorsi di confronto pubblici e trasparenti.

Il progetto di riforma non offre rimedi atti ad intervenire efficacemente su nessuno di questi aspetti e, viceversa, rischia di incidere profondamente sulla fisionomia costituzionale della magistratura e dei singoli magistrati.

1. La prospettata riforma del sistema elettorale – confondendo i gruppi associati nell’ANM (definiti spregiativamente: correnti) con i gruppi di potere che hanno governato nel recente passato alcune nomine – ha finito con lo svilire il ruolo dei primi (e la rappresentazione plurale delle sensibilità presenti nella magistratura che essi rappresentano) ed esaltare le possibilità dei secondi.

L’idea di un sistema elettorale di fatto maggioritario (con il macchinoso sistema di sorteggio dei collegi elettorali) ha il duplice difetto di sganciare i candidati dai territori in cui questi possono aver dimostrato la loro personale credibilità e di garantire a pochi centri decisionali la possibilità di governare l’esito elettorale, condizionando il governo autonomo.

Tutto questo, nonostante il fatto che nel recente referendum interno, la larghissima maggioranza della magistratura – respinta l’idea del sorteggio – avesse auspicato l’introduzione di sistemi elettorali ad ispirazione proporzionale; sistemi che sono da preferire, perché capaci di “frammentare” il potere, aumentare la possibilità di scelta per gli elettori (fra più  liste e, all’interno di esse, fra più candidati)  e offrire possibilità di rappresentanza a tutte le componenti della magistratura (nella consapevolezza che – sul governo autonomo della magistratura – sia non desiderabile l’affermarsi di un pensiero unico).

2. Le riforme prospettate in materia di c.d. separazione delle funzioni – muovendo nel verso di una separazione delle carriere – rischiano di entrare in frizione con il dettato costituzionale. Non possiamo ignorare, evidentemente, che la Consulta ha escluso che la separazione delle funzioni si ponga in contrasto con il dettato costituzionale (Corte costituzionale, sentenze nn. 37 del 2000 e 58 del 2022). Registriamo tuttavia che – sul punto – autorevoli studiosi di diritto costituzionale hanno persuasivamente evidenziato come la separazione delle carriere (quale di fatto si determinerebbe con la riforma) implica una necessaria revisione costituzionale.

Ma – al di là di tale aspetto (certo non trascurabile) – osserviamo che la prospettata separazione delle funzioni rischia di produrre effetti che sarebbero, quasi paradossalmente, contrari agli obiettivi perseguiti: la separazione delle funzioni – lungi dal rafforzare i presidi di garanzia per gli imputati – rischia di spostare la cultura professionale dei pubblici ministeri in una dimensione esclusivamente accusatoria; né si può trascurare il rischio che si determini un significativo affievolimento della cultura delle garanzie che deve informare anche l’attività inquirente e requirente. Gli effetti negativi di un simile mutamento culturale sarebbero, poi, amplificati dalla strutturazione gerarchica degli uffici di procura, su cui il progetto di riforma non interviene. Questa riforma, dunque, non aumenterebbe le garanzie per gli accusati nella fase delle indagini preliminari.

Ma – a ben vedere – la riforma prospettata nemmeno aumenterà le garanzie per gli accusati nella fase del giudizio. Del resto, le statistiche giudiziarie attestano univocamente che, già oggi, gli organi giudicanti non esitano ad assolvere gli imputati, quando ritengono che quello sia il risultato imposto dalle prove. Le statistiche giudiziarie dipingono dunque un quadro ben diverso, in cui il giudice è tutt’altro che “appiattito” sulle posizioni del pubblico ministero, come invece viene superficialmente tratteggiato dalla vulgata.

Crediamo inoltre che la pluralità di esperienze professionali possa alimentare una comune cultura della giurisdizione, non nell’interesse dei magistrati, ma nell’interesse del cittadino: in questo senso, sarebbe addirittura auspicabile un obbligatorio passaggio dalle funzioni giudicanti per tutti i magistrati che intendono svolgere le funzioni di pubblico ministero.

3. Le riforme in materia di valutazioni di professionalità rischiano di arretrare la cultura professionale dei magistrati.

L’idea di enfatizzare nella valutazione di professionalità il tasso di conferme ottenute dalla decisione nei successivi gradi di giudizio alimenterà il conformismo giudiziario e disegnerà l’immagine di una magistratura piramidale. La riforma rischia di introdurre prassi professionali pigre, intellettualmente poco curiose, tendenzialmente supine agli orientamenti cristallizzati nella giurisprudenza di legittimità. Eppure, non possiamo trascurare che, senza la testardaggine di alcuni giudici di merito, non avremmo la tutela aquiliana del credito o del danno da lesione ad interesse legittimo; non avremmo il danno biologico; non avremmo il riconoscimento di molti “nuovi diritti” civili e sociali; non avremmo la giurisprudenza che dà una lettura costituzionalmente orientata della risposta che l’ordinamento penale può dare (o non dare) al fenomeno del consumo di gruppo di sostanze stupefacenti; non avremmo un sistema delle misure di prevenzione, capace di reggere il giudizio di costituzionalità e quello della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo…

La riforma rischia di consegnare nelle mani della sola Corte di cassazione l’attività di riconoscimento alle nuove istanze di tutela che provengono dalla società e che non trovano ancora chiara risposta nel dettato legislativo. Il che rischia di trascurare il fatto che, per dirla con l’ex presidente della Consulta Grossi, i giudici (soprattutto) di merito – sono «in approccio continuo coi fatti di vita e di essi percettori». È nell’inevitabile dinamismo della giurisdizione di merito che l’ordinamento può riconoscere il dinamismo della società.

Una riforma che tende ad “ingessare” la giurisprudenza di merito sugli orientamenti di legittimità, rischia di sacrificare questa possibilità di riconoscimento del nuovo.

Inoltre, l’enfatizzazione della valutazione del dirigente dell’Ufficio, in luogo di una sana e garantita apertura ad ulteriori fonti di conoscenza, rischia di alimentare ancora di più forme di gerarchie interne alla magistratura, già patologicamente esistenti negli uffici di Procura che rischiano di espandersi pericolosamente sul versante dei giudici.

Questi – tra gli altri – sono gli aspetti che suscitano in noi maggior preoccupazione.  Tale preoccupazione non è legata ad una lesione del nostro statuto professionale; né è manifestata perché sia nostra intenzione quella di sottrarre i magistrati al dovere di “rendere conto”. Al contrario, riteniamo la riforma preoccupante perché essa non risponde all’interesse dei consociati. Ed è questo aspetto che ci preme mettere maggiormente in luce nel veicolare le ragioni del nostro dissenso al progetto di legge in discussione in Parlamento.

Siamo consapevoli della necessità che la magistratura associata si presenti unita a questo appuntamento, non per tutelare la corporazione, ma perché la giurisdizione possa raggiungere il proprio obiettivo, cioè la tutela dei diritti vecchi e nuovi dei cittadini, specialmente quelli più deboli e marginali.

L’azione dell’ANM, nel contesto della riforma, ci è apparsa intempestiva, timida ed incapace di proposte idonee a dimostrare l’assunzione di responsabilità per la crisi, avendo privilegiato la conservazione dell’esistente, senza alcuna apertura al nuovo.

L’ANM è stata, perciò, percepita dall’interlocutore politico (ma anche dentro la magistratura) come incapace di esprimere con chiarezza una posizione unitaria, neppure quando il referendum interno aveva indicato con nettezza la strada del proporzionale quale metodo elettorale per il CSM, negando qualunque prospettiva al sorteggio.

Sulle valutazioni di professionalità, poi, le proposte sono state tutte orientate ad una chiusura corporativa, incapace di una sana autocritica, ma anche di spiegare le ragioni di senso del sistema di valutazione dei magistrati.

L’esito della gara in cui molti gruppi sono stati impegnati per rassicurare le paure della corporazione ha determinato l’incapacità dell’ANM di essere riconosciuta come interlocutrice credibile, venendo, sostanzialmente, ignorata al tavolo del confronto con il decisore politico.

Speriamo che da questi avvenimenti possano trarre insegnamento tutti quelli che hanno interpretato la loro partecipazione al CDC ed alla GEC come una campagna elettorale permanente, piuttosto che come un luogo per tentare di fare sintesi alta di tutte le sensibilità presenti nella magistratura, assumendosi la responsabilità di rappresentarle unitariamente tutte.

Questa debolezza dell’ANM nel contesto di una delegittimazione generale della categoria è un grave pericolo per tutta la magistratura, a cui porre immediato rimedio. Sintomo della pericolosità della situazione è il riesumare, da parte della politica, la questione dell’età pensionabile, con l’approssimarsi del suo raggiungimento da parte dei vertici degli Uffici di legittimità. Un tema reale ed urgente, che affanna le prospettive future di moltissimi giovani magistrati, viene così piegato all’imbelle tentativo di ingraziarsi i vertici della magistratura di legittimità, da parte di una classe politica che sembra talora incapace di guardare alle esigenze reali del sistema giustizia ed ai diritti dei cittadini che vi sono coinvolti, ma pronta a regolare vecchi conti, nel tentativo di piegare la magistratura ai desideri dei potenti di turno.

Riteniamo indispensabile che l’Associazione nazionale magistrati esprima, in modo fermo ed unitario, la necessità di rimeditare le scelte “riformatrici”, ed auspichiamo che il CDC confermi lo stato di agitazione, proclamato dalla GEC.

Tuttavia, per essere compresa e sostenuta dall’opinione pubblica, qualunque ulteriore decisione venga assunta presuppone una rinnovata capacità di comunicazione, necessaria a chiarire la posta in gioco ed il grave pericolo che può derivare alla qualità della giustizia ed alle aspettative dei cittadini dall’approvazione di questa riforma. Si tratta di un’apertura che dovremo impegnarci a promuovere con idonee iniziative, a livello nazionale e locale ed anche sui media, al fine di far comprendere che la nostra protesta è avanzata a tutela non già degli interessi corporativi della magistratura, ma dei cittadini. L’incalzare dei tempi parlamentari non ci aiuta, ma è un tentativo che dobbiamo proporci, sollecitando tutta la magistratura ad un impegno collettivo. Parimenti, oltre alla protesta, l’ANM deve recuperare, in fretta, la sua autorevolezza nei rapporti con il Governo ed il Parlamento, per rilanciare con spirito critico e costruttivo la riforma ordinamentale di cui la magistratura ha bisogno, senza cedere oltre alle sirene corporative, ma assumendosi la responsabilità delle scelte in una prospettiva aperta al futuro e non meramente conservativa del presente.

Le sfide che ci aspettano, per migliorare il testo della riforma, devono coinvolgere insieme alle molte intelligenze di tutti i gruppi associati, soprattutto la passione per la professione che – nonostante tutto – anima molti giovani magistrati, come dimostrano i recenti documenti predisposti dalle sotto-sezioni di Busto Arsizio e Nola.

Solo se la politica associativa saprà farsi contaminare da questo entusiasmo, aprendosi al nuovo per coltivare più ampi orizzonti e prospettive, questa triste stagione non sarà passata invano e potremo garantire ai cittadini un servizio giustizia all’altezza delle aspettative che la Costituzione ci ha consegnato.

L’Esecutivo di Magistratura democratica

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