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Letizia Battaglia e le panchine che infastidivano i mafiosi: fu la sua piccola rivoluzione alla Kalsa

Antonio Roccuzzo il . Cultura, Mafie, Memoria, Sicilia, Società

Letizia Battaglia era così: un click di sorriso e disperazione, di eleganza e di parolacce, ma sempre di speranza, immagini che sono state e sono un invito alla ribellione civile. Era nata borghese ma per lei la borghesia in Sicilia è troppo poco rivoluzionaria, non ha fatto mai la rivoluzione come in Francia che non a caso Letizia amava. Ma lei, tra Parigi e Palermo, aveva scelto i vicoli, le strade brutte sporche e cattive di Palermo.

È morta stanotte, aveva 87 anni ma era una “ragazza” dentro, una delle più grandi fotografe del Novecento italiano. Ha fotografato tutti i morti ammazzati della sua città, gran lavoro, nel 1982 erano stati più di cento. Ma mai solo foto di cronaca nera: prendete quella dell’omicidio Mattarella, il presidente della Regione siciliana, freddato dalla mafia politica, disteso in macchina, abbracciato dal fratello, oggi capo dello Stato. Dramma e delicatezza. Le persone e i loro drammi, pubblici e privati, mai un briciolo di retorica. Come le bambine di Ballarò, destinate a essere “buttane”, e invece no, resistenti anche loro, inghiottite dal loro destino ma mai rassegnate.

Ecco Letizia Battaglia ha raccontato (e racconterà sempre) questo istinto di sopravvivenza e la ribellione civile. Non a caso, a parte i click, lei aveva anche provato a cambiare le cose in prima persona. Non c’era riuscita fino in fondo ma ci aveva provato a fare la sua “rivoluzione francese” a Palermo ed era entrata da protagonista nel Repertorio dei pazzi della città di Palermo (bel libro di racconti firmato da Roberto Alajmo che lei per prima, da editore, pubblicò nel 1986). Edizioni della Battaglia, chiamò non a caso la sua piccola casa editrice.

Io l’ho conosciuta bene proprio in quegli anni, lei era assessore verde al decoro urbano nella giunta Orlando, primavera di Palermo. Via i politici mafiosi dalla giunta, uno “scandalo” politico. Era maggio e io facevo il cronista per Il manifesto. Lei si era messa in testa di portare via le montagne di immondizia che da decenni la gente ammassava (e il Comune non raccoglieva) sul lungomare del Foro Italico, davanti alla piazza della Kalsa e a palazzo Butera, quartiere allora di alta mafia ma anche luogo dove Falcone e Borsellino avevano frequentato le elementari e giocato a pallone per strada.

Una mattina l’assessore Battaglia aveva preso tre vigili urbani e aveva fatto imbullonare sul lungomare alcune panchine. Decoro urbano, appunto. Ma quelle panchine davano fastidio ai mafiosi. “Quando mai il comune mette panchine sul nostro territorio e senza chiedere permesso a noi?” Questo avevano pensato i boss del quartiere. E infatti nella notte, quelle panchine erano state divelte e portate via.

Bene. Letizia mi chiama e mi convoca: “Se non hai nulla da fare, vieni alla Kalsa, fra 15 minuti”. E rieccola di nuovo lì, con tre vigili, in una piazza vuota come il deserto civile. Letizia, con gesto plateale, prende un secchio di un venditore ambulante, butta il contenuto di lumache per terra, lo rovescia e ci sale sopra. Piazza vuota e silenzio. Lei inizia un comizio, in palermitano stretto. “Lo so che ci siete. Le panchine non sono vostre ma di tutti. Se entro un’ora non le rimettete al loro posto, faccio l’inferno…”. Più o meno fu questo il discorso.

Dopo un’ora le panchine erano lì, rimesse a posto e imbullonate dai boss. Letizia ottenne così, come in uno dei suoi famosi click, quella sua piccola rivoluzione quotidiana a Palermo. Non c’è stata la rivoluzione francese, ma Letizia non ha mai smesso di crederci e la Kalsa oggi non è più quella del 1987. Anche grazie ai click dell’assessore Battaglia.

Il Fatto Quotidiano, il blog di Antonio Roccuzzo

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