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L’ultimo attacco al Csm. Vogliono “schedare” i magistrati

Gian Carlo Caselli il . Diritti, Giustizia, Istituzioni, Politica, Società

Lo so. Rischio di passare per quel personaggio dei fumetti d’altri tempi che alla fine di ogni storia proclamava “io l’avevo previsto”. Eppure è proprio così e quel che avevo prefigurato (in compagnia – per altro – di autorevoli commentatori) sembra  appunto verificarsi.

Il  “Sistema” Palamara ha “sistemato” per le feste la magistratura e il CSM  aggravando la crisi di fiducia e di credibilità che già li affliggeva.

Nessun dubbio che occorrano profonde e radicali riforme. Molti però hanno manifestato il timore che potessero approfittarne coloro che da tempo si prefiggono di mortificare l’indipendenza della magistratura, di modo tale che torni ad essere forte coi deboli e debole coi forti. Mi riferisco a quanti si autodefiniscono “garantisti” ma non sanno neanche dove stia di casa il garantismo vero, quello secondo cui le garanzie o sono veicolo di eguaglianza o si degradano a sopraffazione e privilegio. Il loro sedicente garantismo è in realtà “strumentale”, cioè diretto a depotenziare la magistratura di fronte al potere economico o politico.

Ebbene, sembrerebbe che le ambizioni di  costoro possano finalmente essere soddisfatte, posto che un vertice di maggioranza (che per altro ancora prosegue mentre scrivo; speriamo in bene…) ha partorito la bella idea di istituire un “fascicolo per la valutazione del magistrato” che allo stato degli atti mi sembra un vero obbrobrio.

Anche dopo la riscrittura della proposta di alcuni disinvolti parlamentari ad opera dell’ufficio legislativo del ministero della giustizia, il quale – stando alle cronache – avrebbe previsto che il fascicolo contenga “per ogni anno di attività, i dati  statistici e la documentazione necessaria per valutare il complesso dell’attività svolta ( dal magistrato) sotto il profilo sia quantitativo che qualitativo, la tempestività nell’adozione dei procedimenti, la sussistenza di caratteri di significativa anomalia in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi o nei gradi del procedimento o del giudizio”.

Al di là delle formule, su cui torneremo, inutile nascondersi dietro un dito: siamo di fronte ad un’ipotesi di “schedatura” con le implicazioni negative che possono derivarne ai magistrati “sgraditi” a tutti coloro che troppa legalità (soprattutto se li riguarda) gli dà l’orticaria e sono da sempre avvezzi al sistema della difesa non “nel” ma “dal” processo, cui la schedatura apre ulteriori prospettive: nel senso che chi può e conta avrà buon gioco per far valere tutte le sue carte – anche mediatiche – che possono influire sulla schedatura (pardon: fascicolo di valutazione) del magistrato.

E il magistrato non troppo dotato di  etica della responsabilità (ce ne sono: anche in magistratura nessuno nasce “imparato”), prima di occuparsi di un imputato eccellente di provata “suscettibilità”, potrebbe essere tentato di porsi qualche interrogativo circa le possibili ricadute sulla sua pagella.

Il presidente dell’ ANM Giuseppe Santalucia ha parlato di “ follia, norma irragionevole e meritocratica, che stimola un’ansia di carrierismo e non di giustizia”.

Aggiungo che la logica che considera come bulloni da produrre a cottimo anche i provvedimenti giudiziari è sbagliata in linea di principio e pericolosa. Tanto più se si prevede anche una valutazione “qualitativa” che sa tanto di ingerenza nel merito delle scelte che il magistrato deve poter compiere liberamente.

Ma il peggio secondo me sta nella formula cha aggancia la valutazione del magistrato “all’esito degli affari nelle successive fasi del procedimento o del giudizio”.

Qui delle due l’una: o si cambia l’intero impianto del processo, oppure si parla d’altro rispetto alla realtà giudiziaria. Dovrebbe essere infatti ovvio che la ricostruzione dei fatti e la valutazione del materiale probatorio raccolto sono strutturalmente opinabili, soggettive.

Per cui è evidente come sia la struttura stessa del processo articolata su più gradi di giudizio che può portare ad esiti contrastanti se non opposti: perché se i vari gradi fossero destinati semplicemente a essere la fotocopia l’uno dell’altro non avrebbero nessun senso di esistere. Nessuno.

In sostanza, il  pluralismo giudiziario, con la sua “congenita” possibilità di esiti difformi, è segno che il sistema (nel disegno di chi lo ha congegnato) funziona: perciò non può essere materia per schedature!

Neppure nascondendo la mano sotto la formula “caratteri di significativa anomalia”, che nella sua genericità può ben prestarsi ad interpretazioni divergenti, magari di comodo, con ampli spazi per la discrezionalità e persino per l’arbitrio.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 06/04/2022

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