Strage di Pizzolungo, confermata in secondo grado la condanna per il boss Galatolo
A tre giorni dal ricordo per il 37° anniversario della strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985, è di poco fa la notizia che la Corte di Assise di Appello di Caltanissetta ha confermato la condanna a 30 anni per il capo mafia palermitano Vincenzo Galatolo. Anche lui tra i mandanti dell’attentato che Cosa nostra organizzò per uccidere il magistrato Carlo Palermo.
Venne utilizzata un’auto imbottita di tritolo, lasciata ferma su una curva della strada che collega la frazione di Pizzolungo a Trapani. Al passaggio della blindata, con a bordo il magistrato, la deflagrazione, che prese in pieno la vettura sulla quale si trovavano Barbara Rizzo, 30 anni, ed i suoi figli gemelli, Salvatore e Giuseppe Asta di sei anni. La donna li stava portando a scuola, furono dilaniati dal tritolo mafioso.
A 37 anni dalla strage un altro tassello da inserire in un puzzle ancora non del tutto completato. È del novembre scorso la condanna in primo grado per Galatolo. Sentenza che si aggiunge a quelle che nei primi anni 2000 hanno condannato sempre quali mandanti i capi mafia Totò Riina, Vincenzo Virga, Nino Madonia e Balduccio di Maggio.
Una strage della quale si conoscono anche gli esecutori, appartenenti al clan mafioso di Alcamo, ma che sono stati assolti in via definitiva. Dopo una loro condanna in primo grado, sono stati assolti in appello e infine in Cassazione. Salvo poi accertarsi, grazie alle collaborazioni di alcuni pentiti la loro responsabilità, ma per la formula del ne bis in idem non possono subire un nuovo processo. E questo è uno dei “buchi” di questa indagine, assieme a quello delle complicità delle quali Cosa nostra ha goduto per compiere il vile attentato e muovere il depistaggio che portò alla clamorosa assoluzione degli esecutori, arrestati dalla Squadra Mobile di Trapani a poche settimane dalla strage.
È certo che il clan mafioso di Alcamo e Castellammare del Golfo si mosse per attentare alla vita del pm Carlo Palermo, feriti, anche gravemente restarono gli agenti della scorta, Totò La Porta, Nino Ruggirello, Raffaele di Mercurio (morto qualche anno dopo) e l’autista della blindata Rosario Maggio. L’autobomba venne preparata nell’officina del castellammarese Gino Calabrò, oggi all’ergastolo per le stragi mafiose del 1993. Per la strage di Pizzolungo, tra gli assolti in via definitiva, è stato condannato per la ricettazione dell’auto rubata, usata per compiere la strage.
Vincenzo Galatolo è un personaggio importante della mafia palermitana. Per la strage di Pizzolungo ad accusarlo è stata la figlia Giovanna. Il nuovo capitolo investigativo porta la firma dell’odierno capo della Procura di Trapani Gabriele Paci. Da procuratore aggiunto di Caltanissetta ha raccolto i nuovi elementi, ottenendo la condanna del capo mafia palermitano, vicinissimo all’ala corleoenese. La stessa ala corleonese che a Trapani poteva contare sull’appoggio dei Messina Denaro e del capo del clan di Trapani, Vincenzo Virga.
L’abitazione di Vincenzo Galatolo, dentro il vicolo dell’Arenella di Palermo, era “la sala operativa” di Cosa nostra palermitana, dove per i pm fu pianificata la strage di Pizzolungo e vennero decisi altri eclatanti delitti di quella stagione di mattanze degli anni ’80. Anche la strage di via Pipitone Federico, dove morì il giudice istruttore Rocco Chinnici, l’omicidio del prefetto Dalla Chiesa, i delitti politici…l’omicidio dell’agente Antonino Agostino, ammazzato assieme alla moglie Ida Castelluccio. In quel vicolo si decidevano delitti e stragi, da qual vicolo partivano i killer. E poi lì tornavano a festeggiare magari alla presenza di Totò Riina.
Sarebbe interessante risalire il filo del depistaggio. Sapere chi si interessò a far pronunciare assoluzioni da una Corte che secondo altri giudici aveva tutti gli elementi a disposizione per condannare. Chi aiutò quei boss a evitare le condanne, perché mai Totò Riina teneva parecchio a quei imputati alla sbarra per la strage di Pizzolungo tanto da far smuovere il capo mafia nisseno Piddu Madonia per vedere di avvicinare i giudici di quella Corte di Assise.
Ma soprattutto, ancora oggi, ci si chiede perché Carlo Palermo, magistrato originario di Trento, rimosso da quell’ufficio istruzione, per una indagine su armi, droga e riciclaggio di denaro nelle casse del Psi di Bettino Craxi, all’epoca presidente del Consiglio, e mandato, su sua richiesta, in Procura a Trapani, subì l’attentato a 40 giorni dal suo insediamento nell’ufficio inquirente trapanese.
La strage di Pizzolungo è un mix di incroci, tra mafia, politica, massoneria e servizi segreti deviati. Nei giorni di Pizzolungo a Trapani era operativa una struttura di Gladio. L’esplosivo di Pizzolungo è tritolo di provenienza militare, uscito da qualche polveriera, lo stesso usato all’Addaura contro Falcone nel 1989 e a via D’Amelio nel 1992.
Ce ne sono insomma tanti di elementi che portano a pensare a “menti raffinate” dietro il botto di Pizzolungo.
Il diritto alla verità
Parla Margherita Asta dopo la conferma della condanna di Galatolo. Il Procuratore Paci: “Non dimentichiamo la strage di Pizzolungo”
Oggi a Caltanissetta Margherita Asta è stata l’unica parte civile, affiancata dal suo avvocato Vincenza Rando, ad assistere alla pronuncia della sentenza di appello che ha confermato la condanna a 30 del boss palermitano Vincenzo Galatolo, per la strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985. Margherita è la figlia e la sorella delle vittime: Barbara Rizzo era sua madre, Salvatore e Giuseppe, erano i suoi fratellini.
Non c’erano la vittima designata dell’attentato, l’allora pubblico ministero Carlo Palermo, difeso dall’avv. Pietro Sorce, assente per malattia e sostituito da un altro legale, e gli agenti della scorta sopravvissuti, Totò La Porta e Nino Ruggirello. Il loro difensore ha delegato ad altro la propria rappresentanza. Presenti gli avvocati dei Comuni che si sono costituiti parte civile, Valderice, Erice e Trapani.
“Essere oggi in aula – dice Margherita Asta – ha il significato di pretendere il diritto al riconoscimento della verità ma ha avuto anche il significato di dimostrare di come bisogna stare al fianco dei magistrati che lavorano per scrivere la verità”. Quelle oggi in aula, fa intendere sono state assenze che suscitano amarezza: “Non dobbiamo essere presenti solo a Pizzolungo quando ricordiamo la strage nel giorno dell’anniversario – aggiunge Margherita Asta – dobbiamo essere presenti ogni giorno e soprattutto quando vengono lette le sentenze a conclusione di istruttorie che hanno messo anche in evidenza come Cosa nostra agì il 2 aprile 1985”.
“Quella di Pizzolungo – ha commentato il procuratore della Repubblica di Trapani, Gabriele Paci proprio nel giorno del 37° anniversario – fu una strage, un atto di barbarie incontrollata e inaudita. E accadde perché questo era il feudo di Cosa nostra cortonese in quanto loro a Trapani erano di casa grazie ai rapporti che avevano con i Messina Denaro che già allora erano i rappresentanti della provincia. Questa libertà ha consentito loro di compiere un atto di inaudita barbarie. Dobbiamo ricordare che Cosa nostra è quella di Pizzolungo. Questo è un punto della nostra memoria collettiva. Dobbiamo ricordare che la mafia è quella cosa lì, terribile, e che se abbassassimo la guardia domani potrebbero ricrearsi le condizioni affinché la mafia compia attentati del genere. È necessaria un’attività di ricerca perché su questa strage c’è ancora molto da scandagliare. Una indagine complessa perché fu complessa l’articolazione dell’attentato, perché complesso era la rete di Cosa nostra di quegli anni ’80. I magistrati a volte anche trovano dei limiti come, ad esempio, le sentenze di assoluzione che ci sono state e che mettono un sigillo irrevocabile sulla determinazione di alcuni fatti. Credo che lo sforzo debba essere collettivo: i magistrati non devono essere lasciati soli in questo tentativo perché questo tentativo a distanza di quasi quarant’anni sfiora il limite dell’impossibile in quanto si tratta di trovare prove su soggetti molti dei quali ormai non ci sono più. L’importante è che questa non diventi una strage dimenticata”.
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