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Stefano Cucchi, sentenza definitiva di condanna per due carabinieri

Redazione il . Criminalità, Diritti, Forze dell'Ordine, Giustizia, Lazio

Sentenza definitiva della Cassazione, per loro pena a 12 anni. La sorella: “Giustizia è fatta”. Il carabiniere D’Alessandro: “Rispetto la sentenza ma non sono un assassino”.

È stata ridotta dalla Cassazione la condanna per omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi nei confronti dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro: la pena passa da 13 a 12 anni di reclusione.

Ci sarà inoltre un nuovo processo di appello per i due carabinieri accusati di falso nell’ambito della morte di Stefano Cucchi.

Lo ha deciso la Cassazione che riapre l’appello bis per Roberto Mandolini, che era stato condannato a 4 anni di reclusione e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere.

Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, i due carabinieri condannati a 12 anni dalla Cassazione per l’omicidio di Stefano Cucchi, si sono consegnati. Entrambi si sono recati nella Caserma Ezio Andolfato di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), sede del Carcere militare giudiziario. I due sono arrivati nel cuore della notte. Prima di essere traferiti in carcere i due carabinieri si sono consegnati ai loro colleghi che poi hanno provveduto al trasferimento nella struttura penitenziaria casertana.

“Sono amareggiato perché non sono l’assassino di Stefano Cucchi, ma rispetto la decisione dei giudici perché sono un carabiniere nell’animo”. E’ quanto ha affermato Raffaele D’Alessandro, condannato ieri in via definitiva a 12 anni per l’omicidio preterintenzionale, al suo difensore Maria Lampitella, prima di costituirsi.

“A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano. Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di loro che ce l’hanno portato via. Devo ringraziare tante persone, il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati e non possono essere con noi, va ai miei avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni e un grande grazie al dottor Giovanni Musarò che ci ha portato fin qui”. Lo ha detto Ilaria Cucchi dopo la sentenza della Cassazione che ha condannato a 12 anni due carabinieri per la morte del fratello.

“Finalmente è arrivata giustizia dopo tanti anni almeno nei confronti di chi ha picchiato Stefano causando la morte.” Lo ha detto Rita Calore la madre di Cucchi.

“Siamo vicini alla famiglia Cucchi di cui condividiamo il dolore e ai quali chiediamo di accogliere al nostra profonda sofferenza e il nostro rammarico”. Così il comando generale dei carabinieri dopo la sentenza della Cassazione che ha confermato le condanne per due militari sottolineando che a questo punto “saranno sollecitamente conclusi, con il massimo rigore” i procedimenti disciplinari a carico dei due. La sentenza, aggiunge l’Arma “ci addolora perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve sempre e comunque ispirare il proprio agire”.

“Fu una via crucis notturna quella di Stefano Cucchi, portato da una stazione all’altra” ha sottolineato in aula il Pg della Cassazione Tomaso Epidendio all’udienza per il pestaggio subito dal giovane geometra ad opera dei carabinieri nella caserma Casilina, nel 2009 a Roma, “e tutte le persone che entrarono in contatto con lui dopo il pestaggio sono rimaste impressionate dalle condizioni del Cucchi: si tratta di un gran numero di soggetti tra i quali infermieri, personale delle scorte, detenuti, agenti di guardia. Davvero si può ritenere che questo numero impressionante di soggetti abbia congiurato contro i carabinieri?”.

“Si tratta di soggetti professionalmente preparati che si trovano ad affrontare una reazione prevedibile, e nemmeno delle più eclatanti, durante il fermo di Stefano Cucchi che rifiuta di sottoporsi al fotosegnalamento” ha sottolineato il Pg della Cassazione Tomaso Epidendio in aula, aggiungendo che il pestaggio attuato dai carabinieri nella caserma Casilina “è stato una punizione corporale di straordinaria gravità, caratterizzata da una evidente mancanza di proporzione con l’atteggiamento non collaborativo del Cucchi”. Per questo, il Pg ha chiesto la conferma dell’aggravante dei futili motivi per gli imputati.

Fonte: Ansa

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Caso Cucchi, due Carabinieri condannati a 12 anni per omicidio preterintenzionale

Ilaria Cucchi: “Ora possiamo dire che è stato ucciso di botte, e che giustizia è stata fatta”. Il pubblico ministero: “Fu Via Crucis notturna”. Nuovo processo di appello per altri due militari

Condannati in via definitiva a 12 anni per omicidio preterintenzionale Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri imputati per il processo in Cassazione per la morte di Stefano Cucchi, ma con una pena ridotta (in appello erano stati condannati a 13 anni). E’ la sentenza della Suprema Corte.

Ci sarà invece un nuovo processo di appello per altri due militari, accusati di falso: riaperto l’appello bis per Roberto Mandolini – che era stato condannato a 4 anni di reclusione – e per Francesco Tedesco, condannato a 2 anni e mezzo di carcere: per questo reato, però sarebbe prossima – nel maggio 2022 – la prescrizione. Annullata dunque la sentenza d’appello per loro: al primo erano stati inflitti quattro anni di reclusione per aver coperto quanto accaduto, e due anni e mezzo a Tedesco che – inizialmente imputato per il pestaggio – durante il processo di primo grado aveva denunciato i suoi colleghi diventando un teste chiave dall’accusa.

Il commento a caldo della sorella Ilaria

”A questo punto possiamo mettere la parola fine su questa prima parte del processo sull’omicidio di Stefano – così Ilaria Cucchi – possiamo dire che è stato ucciso di botte, e che giustizia è stata fatta nei confronti di coloro che ce l’hanno portato via”. “Il mio pensiero in questo momento va ai miei genitori che di tutto questo si sono ammalati, ai miei avvocati Fabio Anselmo e Stefano Maccioni, ed al dottor Giovanni Musarò che ci ha portato fin qui”.

L’Arma: “Siamo vicini alla famiglia Cucchi”

Dal Comando generale dell’Arma dei Carabinieri un comunicato: “Una sentenza che ci addolora, perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve, sempre e comunque, ispirare il proprio agire.” Così l’Arma dei Carabinieri: “Siamo vicini alla famiglia Cucchi, cui condividiamo il dolore e ai quali chiediamo di accogliere la nostra profonda sofferenza e il nostro rammarico. Ora che la giustizia ha definitamente terminato il suo corso, saranno sollecitamente conclusi, con il massimo rigore, i coerenti procedimenti disciplinari e amministrativi a carico dei militari condannati. Lo dobbiamo alla famiglia Cucchi e a tutti i Carabinieri che giornalmente svolgono la loro missione di vicinanza e sostegno ai cittadini”.

Mentre attendeva l’esito del giudizio, Ilaria Cucchi aveva dichiarato: “Ho fiducia e speranza nella giustizia e non dimentico mai che l’Arma dei Carabinieri non è uguale alle persone che oggi la Cassazione sta valutando e nemmeno a quelle che valuterà il prossimo 7 aprile nel processo per i depistaggi”, un invito a separare il corpo dell’Arma, dalle responsabilità dei singoli coinvolti nella vicenda che ha portato alla morte del fratello: “Ho il diritto, per me e i miei figli, di continuare a credere nei Carabinieri”, aveva affermato.

Un’attesa colma di tensione

Cinque ore in camera di consiglio per la quinta sezione della Cassazione, mentre al di fuori si respiravano momenti di grande tensione ed attesa: “Un momento che arriva dopo 150 udienze e 14 gradi di giudizio, 15 con quello di oggi”, ha detto il legale della famiglia Cucchi, Fabio Anselmi.

L’udienza di oggi

Davanti a giudici di Cassazione, nella sua requisitoria, il pubblico ministero, Tomaso Epidendio, ha definito la vicenda di Stefano Cucchi come una vera “Via Crucis notturna”, portato da una stazione dei Carabinieri all’altra, “e tutte le persone che entrarono in contatto con lui dopo il pestaggio sono rimaste impressionate dalle sue condizioni: si tratta di un gran numero di soggetti tra i quali infermieri, personale delle scorte, detenuti, agenti di guardia”.

13 anni di indagini e processi 

Stefano morì nel 2009, il geometra romano spirò in ospedale mentre, affidato allo Stato, era sottoposto alla custodia cautelare. Un calvario durato una settimana, con un continuo deperimento delle sue condizioni fisiche e sottoposto a pestaggi. Al quale si aggiunse un altro calvario: quello della sorella Ilaria e la famiglia, che affronteranno prima nel silenzio di quasi tutti, e poi con una crescente solidarietà, anche istituzionale.

Stefano Cucchi diventerà un “simbolo” della battaglia per i diritti umani dei carcerati e contro ogni sopruso del potere sugli ultimi.

Fonte: Rainews

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