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Le mani della mafia sui Comuni salentini

Fabiana Pacella il . Forze dell'Ordine, Istituzioni, Mafie, Politica, Puglia, Società

Dal 2017 sei consigli comunali sciolti e uno a rischio.

L’escalation nel leccese. Assegnazione delle case popolari, gestione dei parcheggi pubblici e appalti pubblici terreno di conquista della Sacra corona.

La responsabile della Dia: «L’ostacolo più grande che dobbiamo superare nello svolgimento delle indagini sono le resistenze degli amministratori». 

La raccolta a fattor Comune della mafia in terra salentina, proprio come l’operazione algebrica, mira ad applicare la proprietà distributiva degli utili, moltiplicando la sua capacità d’espansione. Con rigore e precisione, come in matematica. Ma, un tanto fuor di metafora, con la C maiuscola di Comune in senso di casa di tutti i cittadini.

È lì l’affare, il terreno fertile da infiltrare per far crescere consenso sociale e controllo del territorio. I commissariamenti per mafia delle pubbliche amministrazioni rappresentano l’epifania più attuale e ricorrente dell’evoluzione algebrica della mala.

La riorganizzazione del tessuto mafioso nell’ultimo ventennio dopo la stagione stragista, conferma un’evoluzione del modus operandi accorto a non fare rumore con azioni armate plateali, meno esplicito e più penetrante, forte dell’azione di intermediari e sodali di altissimo livello che siedono nei Palazzi o nei cda delle aziende e di interlocutori arrendevoli. I clan attivi sul territorio operano separatamente e in regime di pax mafiosa, sia per quanto concerne i rapporti tra le diverse famiglie egemoni, che tra la Scu propriamente intesa e le organizzazioni attive nelle altre province della Puglia.

La zona grigia nel mezzo è un universo magmatico e dai contorni di difficile definizione, in cui si muovono imprenditoria e pubblica amministrazione permeabili alla mafia se non addirittura loro diretta espressione e braccio operativo.

Lo dimostra l’impennata degli scioglimenti dei consigli comunali, nell’ultimo triennio. Se la Puglia occupa il quarto posto (dopo Sicilia, Calabria e Campania) per numero di amministrazioni comunali commissariate, la sola provincia di Lecce conta sei casi e uno a rischio-stop, dal 2017 ai giorni recenti.

Perno dell’ingranaggio che muove le ricorrenti infiltrazioni, è la triangolazione – la matematica insegna ancora una volta -, imprenditore-criminale-politico: il primo vuole aggiudicarsi gli appalti, il secondo vuole il controllo del territorio tramite il primo che dà garanzia, il terzo ha bisogno degli altri due per conquistare consensi prima e fidelizzare una certa parte d’elettorato poi. Figure, anzi ruoli, molto fluidi e fungibili che si separano in maniera netta solo davanti all’azione plateale dello Stato.

«Uno degli scogli più grandi quando effettuiamo l’attività con le commissioni di accesso alle pubbliche amministrazioni – spiega Carla Durante, capo sezione della Dia di Lecce – sono le resistenze degli amministratori che dovrebbero essere collaborativi. Invece fatichiamo. È a quel punto che la criminalità organizzata sta ferma, evita qualunque mossa, si prendono le distanze da una parte e dall’altra e svaniscono le forme di collaborazione fra i diversi attori, al fine di dimostrare ciò che non è».

Di fatto quando le commissioni interforze d’indagine prefettizie bussano alle porte dei comuni in odor di mafia, il quadro è pressoché completo, fatti salvi i riscontri da cercare negli atti, nelle delibere, per poi arrivare al decreto di scioglimento a firma del presidente della Repubblica.

Le anomalie ricorrenti, analizzando i casi di casa nostra «sono nell’assegnazione di alloggi popolari con procedure opache – sottolinea Durante -, affidamenti diretti che sfuggono alla pubblicità di un appalto perché hanno importi più contenuti, parcheggi, gestione dei rifiuti come settore dalle molteplici sfaccettature, e quindi guadagno tra raccolta, stoccaggio, smaltimento e riciclo. Una ditta che si occupa di rifiuti può assumere persone senza profilo specifico e l’assunzione è merce di scambio e consenso» per i tre lati del triangolo di cui sopra.

Si aggiunga che talvolta «chi è deputato al controllo non controlla e il gioco è fatto».

La longa manus degli amministratori sensibili alle lusinghe della mafia si proietta talvolta anche su funzionari compiacenti, tessendo un reticolato dalle maglie fitte in cui è difficile districarsi.

Per tornare al poco brillante risultato della provincia di Lecce, anche qui viene in aiuto la scienza esatta: l’area leccese del Salento non è solo terra bella ma anche molto ricca, e dove c’è ricchezza la criminalità affonda radici.

A fare soldati nelle fila della mafia sono cultura mafiosa e consenso sociale, uno dei rischi maggiori nella lotta ingaggiata dallo Stato.

Tutto sembra bello e calmo in apparenza e contrasta con la realtà conosciuta più agli addetti ai lavori e ai cittadini informati. In molti non percepiscono la presenza della mafia perché non vedono morti ammazzati per strada, bombe, attività bruciate.

«In realtà l’infiltrazione nel tessuto amministrativo è più incisiva, colpisce la collettività non il singolo e gli effetti si protraggono nel tempo. Una amministrazione infiltrata farà atti illeciti a vantaggio della criminalità e svantaggio della cittadinanza e quegli interventi avranno ricadute nel tempo su diversi settori  dell’economia e del tessuto sociale»,  la disanima di Carla Durante .

Presentarsi come l’alternativa allo Stato, pronta a rispondere alle esigenze immediate del cittadino, ha rafforzato la capacità d’azione della mafia.

«Quando incontriamo il cittadino comune – confessa la capo sezione – vediamo gente brava, perbene, ma poi occorre capire se dietro quel consenso apparente verso di noi non vi sia un voltafaccia. Nella mentalità della maggioranza delle persone un cambiamento c’è per carità, ma non possiamo accontentarci della maggioranza, dobbiamo puntare alla totalità. Se gli anziani vanno scrostati da una mentalità vecchia, le nuove generazioni sono quelle che partono da zero e su cui dobbiamo investire di più. Un tempo di mafia non ne parlava nessuno, non si poteva nemmeno nominare quella parola. Oggi si parla, si fanno progetti, e questa è un’arma di valore immenso».

***

Da Parabita a Squinzano e Neviano gli intrecci tra clan e politica locale

Il forte incremento dell’infiltrazione degli enti locali da parte della criminalità organizzata emerge, nel Leccese, da operazioni di polizia giudiziaria che svelano fitti reticolati di connivenze. Realtà poi analizzate dal prefetto con l’avvio dell’accesso agli atti del Comune che, infine, ne determina spesso lo scioglimento.

Dal passato recente ai giorni nostri, a Parabita nel 2017 l’operazione «Coltura» dei carabinieri del Ros sferrò un duro colpo al clan Giannelli. Che secondo l’accusa, sostenne la campagna elettorale di alcuni candidati, allungando i tentacoli coi suoi sodali, su rifiuti, case popolari, riciclaggio di denaro, voucher. Da il commissariamento del consiglio comunale. Fu arrestato il vicesindaco, poi assolto per non aver commesso il fatto. L’allora sindaco Alfredo Cacciapaglia fece ricorso contro lo scioglimento e fu un balletto di carte bollate.

A maggio 2018, il decreto di scioglimento dell’assise cittadina colpisce Surbo, a distanza di 27 anni dal procedimento analogo, del ‘91, nel periodo di massimo fulgore e rumore della Sacra corona unita. Il procedimento nacque dall’operazione «Pugnae» condotta dai carabinieri e coordinata dalla DDA su presunti illeciti legati ad appalti. Poco prima delle elezioni finì il mandato del sindaco Fabio Vincenti.

Un mese dopo, l’operazione «Contatto» dei carabinieri inflisse un duro colpo al clan Coluccia portando allo scioglimento del comune di Sogliano Cavour per «riscontrate ingerenze da parte della criminalità organizzata». Nell’occhio del ciclone, l’ex assessore alle politiche sociali Luciano Biagio Magnolo e l’ex sindaco Paolo Solito, tirati in ballo dal pentito Vincenzo Antonio Cianci anche a dicembre scorso dinanzi al collegio della prima sezione penale. Il collaboratore di giustizia si è soffermato sui rapporti tra il clan egemone e alcuni amministratori.

A dicembre 2019 fu commissariato il comune di Carmiano, a seguito dell’operazione «Cerchio» del Ros e del Gico della finanza, che svelò gli intrecci tra clan Tornese della Scu, imprenditoria, politica e finanza. L’indagine partì dal rinnovo del cda della Bcc di Terra d’Otranto del 2014 e arrivò in Municipio. L’allora sindaco Giancarlo Mazzotta fu rinviato a giudizio insieme ad altre persone, tra cui volti noti del clan, per – tra le varie accuse – estorsione aggravata da metodo mafioso. Il processo che ne è scaturito è alle battute finali.

A gennaio 2020 l’operazione Tornado dell’Arma portò allo scioglimento del consiglio di Scorrano. I militari arrestarono 30 membri del clan Amato. L’allora sindaco Guido Stefanelli fu indagato a piede libero per concorso esterno in associazione mafiosa. «Le circostanze analiticamente esaminate hanno rivelato una serie di condizionamenti nell’amministrazione comunale di Scorrano, volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali, che hanno determinato lo svilimento e la perdita di credibilità dell’istituzione locale nonché il pregiudizio degli interessi della collettività, rendendo necessario l’intervento dello Stato per assicurare la riconduzione dell’ente alla legalità», scrisse il prefetto. L’ex sindaco fece ricorso, perdendolo.

A gennaio 2021 l’operazione «Dejà Vu» scompagina gli equilibri del comune di Squinzano, già commissariato per le dimissioni di alcuni consiglieri. Il Ministero dell’Interno però infligge un altro colpo di scure parlando di «accertati condizionamenti da parte della criminalità organizzata» durante il mandato dell’allora sindaco Gianni Marra, indagato e poi assolto in secondo grado dall’accusa di abuso d’ufficio.

A fine febbraio si è insediata a Neviano la commissione d’accesso per verificare la sussistenza dei requisiti propedeutici allo scioglimento per mafia. Pochi giorni prima i carabinieri avevano colpito ancora il clan Coluccia con una operazione che ha messo in luce un magma informe di mafia, usura e scambi elettorali. È stato arrestato l’assessore alla cultura – poi dimessosi – Antonio Megha.

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno, 06/03/2022

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