Memoria corta. Gli anni di Tangentopoli nell’oblio di un Paese che non ricorda più
Ci stanno portando via la memoria. E una copertina dell’ “Internazionale” ha rilanciato l’allarme analogo della scienza: ci stanno portando via l’attenzione.
Viviamo in un mondo che ci sommerge di impulsi a sapere, a controllare, a decidere, oltre le possibilità di governo del cervello umano. Perciò non ci concentriamo, perciò non sappiamo. Ma è sempre così? È sempre colpa della società che cambia o c’entra, al contrario, qualcosa che riguarda la nostra pigrizia intellettuale?
Me lo sono domandato partecipando a una delle recenti rievocazioni/celebrazioni del 17 febbraio, la data simbolo di Mani Pulite. Due giornate promosse presso il master anticorruzione e criminalità organizzata dell’università di Pisa dal professor Alberto Vannucci.
Dove ho cercato di ricostruire i fatti, i fermenti, le culture, i sentimenti, che portarono a quella data fatidica. A partire dall’indimenticabile apologo sull’onestà di Italo Calvino, marzo 1980. Ho provato a ripercorrere, dotandolo di senso, ciò che portò alla fine a sgretolare le mura di un edificio che i suoi padroni ritenevano eterno, ricavandone per sé una sensazione di onnipotenza.
Tanto da non capire, in quel 1992, da dove gli arrivassero addosso le ondate che li stavano sommergendo. I referendum elettorali o il movimento per l’elezione diretta dei sindaci, la Lega nata nelle valli del Nord, e la Rete nata per reagire alla mattanza mafiosa in Sicilia. Il circolo milanese di “Società Civile” o la rivista “I Siciliani” di Giuseppe Fava a Catania. La critica di Norberto Bobbio, annoverato da Craxi tra gli “intellettuali dei miei stivali”, e quella dei gesuiti, il cardinal Martini a Milano e padre Sorge o padre Pintacuda a Palermo.
Fino al film d’epoca, “Il portaborse” di Nanni Moretti e Silvio Orlando, o al successo strepitoso di “Cuore”, il settimanale satirico che inventò il titolo anch’esso d’epoca, “Torna l’ora legale, panico tra i socialisti”. E tante altre cose che la memoria nazionale ha messo in un armadio tutte insieme, salvo ripescarne isolatamente qualcuna ogni tanto.
Ecco, questo mi colpisce nelle rievocazioni. La estrema brevità di quella stagione, il suo incistamento in una parentesi di nemmeno due anni, in cui – sembra di capire – tutto accadde, svuotando di senso il pensiero, l’azione e le fatiche di centinaia di migliaia di persone, alle quali una informazione controllata dai partiti e priva della rete quasi non diede voce per un decennio.
Perciò la tesi del “golpe giudiziario” così cara ai socialisti è semplicemente antistorica, anche se dà conto del dispetto degli stessi socialisti davanti alla storia, allo scoprirsi vulnerabili proprio quando la caduta del Muro avrebbe dovuto regalare loro, con la fine del comunismo, la supremazia sul partito che in Italia era stato comunista fino a un anno prima.
Ma è antistorica anche la rappresentazione di un pugno di magistrati onesti che manda a picco una Repubblica, pur se in superficie apparve effettivamente così.
Ecco, a Pisa mi ha colpito che non solo i giovani che non erano ancora nati, ma anche molti adulti nulla o poco ricordassero o sapessero della lunga strada che portò a Tangentopoli, con i suoi protagonisti e le sue vittime, le sue nobiltà e i suoi plebeismi morali.
Mi colpisce la memoria senza memoria. Alla quale a ogni occasione si torna, per parlare di due anni che alla fine ci risultano incomprensibili nelle loro premesse e nei loro esiti.
E a proposito di memoria offro a voi il mio “confiteor”. Nulla sapevo della immonda storia proposta a Pisa da Gian Antonio Stella. Quella di Cristiano Lobbia, deputato moralista, morto di crepacuore a 50 anni nel 1869, vittima di un agguato per impedirgli la denuncia di uno scandalo fra testimoni uccisi, codardie politiche e ripulsa di sistema per gli onesti.
Cercate in rete. Vale la pena di conoscerla. Per capire di più.
* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 21/02/2022
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Ostia amara. Usata (e bruciata) dai partiti una “assessora” giovane e competente
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