«No alla separazione delle carriere: si rischia di finire alle dipendenze dell’esecutivo»
L’ex procuratore antimafia: «Rispetto agli altri Paesi l’Italia è più caratterizzata da vicende oscure (corruzione diffusa, collusioni con la mafia) che coinvolgono pezzi della nostra politica»
Dei sei quesiti referendari sulla giustizia l’unico non ammesso è quello che più appassionava l’opinione pubblica, quello sulla responsabilità civile dei magistrati, che – si dice – non pagano mai a differenza di tutti gli altri cittadini.
Questo mantra non basta per cancellare la realtà, che è questa: in base alla normativa vigente a risarcire è lo stato, che poi si rivale sul magistrato con trattenute sullo stipendio; è mera illusione far credere che un salariato dello stato come il magistrato possa davvero risarcire di tasca sua; è allora evidente che all’azione civile diretta e personale si ricorrerebbe non per un effettivo risarcimento, ma con altre finalità: sfogare risentimenti o avversioni, influenzare o intimorire il giudice.
Ad approfittarne sarebbero ancora una volta i “galantuomini” ritenuti tali a prescindere, per censo o posizione sociale; quelli che spesso si difendono “dal” prima ancora che “nel” processo.
E poi, quando si parla di “errore” del giudice di solito si fa un uso improprio e fuorviante del linguaggio. È la struttura stessa del processo, in quanto articolata su più gradi di giudizio, che può condurre a decisioni contrastanti se non opposte che inducono a parlare di “errori”. Ma se i vari gradi di giudizio fossero destinati semplicemente ad essere fotocopia l’uno dell’altro non avrebbero ragione di esistere.
Per cui possiamo serenamente dire che le decisioni contrastanti non sono “errori” fonte di possibili responsabilità, come sostiene la “vulgata” corrente, bensì un effetto fisiologico dell’ordinamento con una pluralità di gradi di giudizio.
Quanto agli altri quesiti referendari sulla giustizia, si vedrà cosa ne pensano gli elettori. Poche cose, per ora, da dire.
Il quesito sulla separazione delle funzioni, per chi debba esprimersi con un SI o con un NO, è una “provocazione”, posto che consta di circa 1500 (diconsi 1500!) parole che formano un astruso ginepraio di ostica lettura e comprensione persino per gli “specialisti”. In ogni caso, la separazione è quanto meno l’anticamera della dipendenza del Pm dal potere esecutivo.
In un modo o nell’altro, è una conseguenza pressoché ineludibile che si verifica ovunque al mondo vi sia una qualche declinazione della separazione. Con la differenza, rispetto agli altri paesi, che l’Italia è più caratterizzata da vicende oscure (corruzione diffusa, collusioni con la mafia, svariate forme di mala-amministrazione) che coinvolgono pezzi della politica, incapace oltretutto di “bonificarsi”.
Conviene che proprio “questa” politica possa influire sui PM? Esagerando ma poi mica tanto, non sarebbe un po’come mettere qualche volpe in un pollaio?
Il quesito che limita la custodia cautelare si presta preliminarmente a considerazioni da psicologismo d’accatto, posto che a promuoverlo sono stati uomini politici che operano all’insegna di “legge e ordine” (forse più ordine che legge…).
Non si vede come possano manifestare sfrenato entusiasmo per una formulazione che contiene un vulnus pericoloso per la sicurezza dei cittadini. Agli autori di gravi delitti, se non commessi con violenza, la misura della custodia cautelare non sarebbe più applicabile motivandola con il requisito di evitare la reiterazione dei reati. La limitazione beneficia gli autori di reati di grave allarme sociale, ad esempio gli stalking non violenti e i truffatori di anziani.
Qualcuno dei sostenitori irriducibili del referendum vorrà per favore spiegare alle donne e agli anziani come stanno le cose?
Il quesito sulla incandidabilità mi fa pensare ad una specie di pubblicità ingannevole, perché non colpisce solo la norma relativa agli amministratori locali, ma tutte le cariche elettive (parlamento europeo, camera, senato, regioni, province, comuni, circoscrizioni), con ricadute di carattere generale sui fondamentali meccanismi di “provvista” degli organi democratici e sugli stessi equilibri costituzionali.
Sono curioso di leggere come la Consulta ha motivato l’ammissione del quesito…
Il quesito sui componenti laici dei Consigli giudiziari (a parte che anche qui per capirlo non basta neppure la laurea in legge) andrebbe pure bene se gli avvocati sospendessero ogni attività professionale – come i laici del CSM – per tutta la durata della consiliatura.
Altrimenti si potrebbe innescare un perverso clima di conflittualità e sospetti capace di incidere negativamente sulla serenità delle determinazioni consiliari e dei magistrati destinatari dei pareri.
Il quesito che riguarda l’elezione dei componenti togati del CSM vuole abrogare la norma che richiede al candidato di essere presentato da una lista di magistrati (da 25 a 50). Il proposito è giusto e ambizioso, contrastare le nefandezze del correntismo.
Ma neppure Alice nel paese delle meraviglie arriverebbe a pensare che basti eliminare questa lista per far scomparire le aggregazioni (siano esse di natura ideale, territoriale o peggio biecamente clientelare) in un corpo elettorale di circa 9.000 persone. Quindi, senza offesa, sembra un po’ di essere alla sagra dei dilettanti.
Infine, una notazione scherzosa.
Le mie posso apparire parole vane, contraddette come sono dall’adesione ai referendum sulla giustizia di personaggi ciascuno a suo modo molto noti ed influenti. Mi riferisco a Palamara, che la giustizia con il suo nefasto “Sistema” l’ha appunto sistemata mica male. Oppure a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati (in arte “er cecato”), condannati in appello per ”mafia capitale” che però non è mafia, che comunque di giustizia dovrebbero intendersene non poco.
Per cui, chi sono io per giudicare i quesiti referendari a fronte di cotante adesioni? Ma è – ripeto – soltanto uno scherzo…
Fonte: Il Dubbio, 19/02/2022
Trackback dal tuo sito.