Contrasto al narcotraffico e legalizzazione delle “droghe leggere”
Le osservazioni che seguono riflettono, con pochi aggiornamenti, quelle da me espresse il 20 giugno 2016, su richiesta della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, in relazione alle proposte di legge in materia di stupefacenti (Giachetti ed altre), ivi giacenti e forse oggi risvegliate dalla prospettiva referendaria.
Venendo in rilievo questioni che hanno riflessi immediati sul tema del contrasto alle mafie, ritengo di dover evidenziare immediatamente che qualunque ipotesi di legalizzazione delle c.d. “droghe leggere” andrebbe inquadrata in una strategia di potenziamento della complessiva azione di contrasto al narcotraffico, nei termini che la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo ha costantemente indicato nelle Relazioni Annuali trasmesse al Parlamento nel periodo 2014-2018.
Su questo tema la DNA ha inteso fornire un contributo anche propositivo, di natura pragmatica, scevro da pregiudizi politici ed ideologici ed esclusivamente fondato su fatti e circostanze documentate. Con la finalità di trovare soluzioni concrete ai complessi e numerosi problemi della materia, molti dei quali da troppo tempo si ripropongono reiteratamente, uguali a se stessi, senza che vi sia una risposta di sistema davvero efficace.
Il metodo di analisi
I punti di partenza delle osservazioni contenute in quelle Relazioni, e che anche in questa sede saranno svolte, sono tre.
Il primo punto è costituito da una documentata analisi del fenomeno in tutti i suoi aspetti, che serve a comprendere – al di là delle pur legittime opinioni – di che cosa concretamente parliamo. Tale analisi è stata realizzata sulla base dello studio: a) delle indagini e dei processi che, in materia di traffico di stupefacenti, vengono portati a termine su tutto il territorio nazionale; b) dei diversi report redatti dalle principali Agenzie nazionali ed internazionali che si occupano del tema.
Nel dettaglio, vengono accertate a livello nazionale: le dimensioni quantitative e qualitative del narcotraffico, l’entità del mercato e, quindi, il numero dei consumatori, le dinamiche criminali che muovono il sistema del narcotraffico e le grandi organizzazioni che le governano, la quantità di risorse finanziarie che il fenomeno muove, la direzione verso cui tali risorse vengono indirizzate, e, infine, in senso dinamico, i trend ed i profili evolutivi sia del traffico che del consumo.
Il secondo punto è offerto dalla raccolta e messa a sistema dei risultati raggiunti dall’azione di contrasto al narcotraffico nei suoi diversi ambiti (droghe pesanti, droghe sintetiche, droghe c.d. leggere). Anche in questo caso va fatto esclusivo riferimento a dati oggettivi, desumibili: dai quantitativi di stupefacente sequestrato, dal numero dei consumatori, dalla quantità e qualità degli arresti effettuati, dal livello della catena criminale cui le investigazioni sono giunte, dalla entità dei patrimoni confiscati, dai risultati ottenuti attraverso le indagini finanziarie svolte sul versante delle transazioni finalizzate al pagamento delle partite di stupefacenti.
Il terzo punto consiste nella individuazione delle criticità dell’azione di contrasto. In altri termini, la valutazione della sua adeguatezza – sia in senso globale che in relazione ai diversi aspetti del fenomeno – svolta sulla base dei dati e delle circostanze di fatto acquisite in relazione ai primi due punti.
L’analisi complessiva di tutte queste risultanze, consente, a sua volta, l’individuazione del concreto rilievo e della reale importanza che il narcotraffico, nel corso del tempo, ha assunto, prima, nel contesto criminale e, poi, in quello dell’economia legale.
Non si tratta di un esercizio accademico, ma del presupposto conoscitivo che consente alla DNA di svolgere in modo consapevole i propri compiti istituzionali. Fra questi, vi è quello di garantire, a livello nazionale, anche nel contrasto al narcotraffico, tempestività, e completezza delle investigazioni e, quindi la loro concreta efficacia.
Le dinamiche del narcotraffico
Orbene, partendo dalle concrete risultanze delle analisi condotte in relazione ai punti sopra indicati – che consentono di avere chiara l’attuale dinamica del narcotraffico, la sua dimensione, la sua concreta pericolosità, la completezza ed utilità degli strumenti investigativi e normativi utilizzati nell’azione di contrasto – sarà qui evidenziato se, ed in quale misura e per quali aspetti, le proposte di legge all’esame del Parlamento possano, nell’attuale contesto, rappresentare uno strumento idoneo a rendere più efficace l’azione di contrasto al narcotraffico.
Ciò impone una rapida sintesi dell’attuale situazione che non può che partire dalla fotografia del fenomeno. Quella di cui si è detto al primo punto.
In proposito, si è rilevato che negli ultimi anni, a fronte di una stabilizzazione del consumo di droghe pesanti tradizionali (cocaina ed eroina), di una concentrazione delle leve di comando del traffico in poche mani, di un significativo incremento del consumo e del traffico delle nuove droghe sintetiche, si è avuta una straordinaria crescita del consumo di cannabinoidi. Nella Relazione Annuale trasmessa al Parlamento nel 2015, la DNA calcolava che, sulla base dei dati noti relativi al periodo immediatamente precedente, in Italia, il circolante annuo di cannabis, per difetto, era di circa 1.500.000 kg (tale per cui, in astratto, poteva ipotizzarsi che ciascun italiano, compresi vecchi e bambini, potesse consumare circa 25 grammi di cannabis all’anno). Nella stessa Relazione si precisava che le stime più aggiornate del più importante organismo mondiale che si occupa del fenomeno, l’UNODC, evidenziavano la presenza in Italia di un mercato della cannabis composto da circa 3.000.000 di consumatori abituali. Dato, come si vede, congruo e proporzionato rispetto a quello fornito dalla stessa DNA sul quantitativo di cannabis annuo circolante in Italia. E per avere una idea delle dimensioni internazionali di questo mercato, a sua volta, l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze, nel suo rapporto del 2015, stimava che, sugli oltre 500.000.000 abitanti dell’Unione Europea, circa 78 milioni avevano fatto uso, in modo più o meno prolungato o più o meno abituale, di sostanze stupefacenti del tipo cannabis. Cioè poco meno del 20% del totale della popolazione.
Sul fronte dei gruppi criminali che gestiscono in Italia il narcotraffico, si è assistito ad un conferma della leadership della ‘ndrangheta – nel traffico di cocaina – e, nel medesimo settore, di un consolidamento delle posizioni della camorra. Le mafie balcaniche e quelle pugliesi mantengono invece una forte presenza nel settore del traffico dell’eroina.
In quello della cannabis, la posizione di preminenza deve essere riconosciuta alla camorra, che anche grazie ai suoi insediamenti in Spagna, ha agevoli e continui contatti con i principali luoghi di produzione nord-africani, nonché ai gruppi albanesi (l’Albania è divenuta il primo produttore europeo di cannabis) e, ancora una volta, a quelli balcanici. Va altresì segnalata una fortissima produzione di cannabis in Afghanistan, che è, unitamente a quella marocchina, al primo posto nel mondo ed ha in parte soppiantato la coltura del papaver somniferum (papavero da oppio).
Le organizzazioni criminali straniere (albanesi, marocchini, nigeriani, serbo-montenegrini, bulgari), sono oramai in grado di contendere alle altre formazioni criminali il controllo dei segmenti delle direttrici di traffico che interessano l’Italia e la gestione della rete di spaccio sul territorio nazionale delle principali sostanze d’abuso.
I dati appena esposti sono di rilievo nelle valutazioni che ci accingiamo a svolgere sulle proposte di legge in questione. Dimostrano, infatti: 1) che le mafie transnazionali hanno una posizione di sostanziale monopolio nella gestione dei traffici di stupefacenti, ovviamente compreso quello della cannabis; 2) che la crescente domanda di cannabis ha trovato una pronta risposta nella straordinaria nuova produzione afgana, agevolata dalla situazione socio-economica e politica determinata dal recente ritorno al potere dei Talebani. Ciò significa che questa fondamentale area di produzione della cannabis è controllata da gruppi fondamentalisti e terroristi che da essa traggono la principale fonte di finanziamento.
Il contrasto al narcotraffico: efficacia, limiti e prospettive di sviluppo
Esaminati questi primi aspetti, prima ancora di trarre le necessarie conclusioni, verifichiamo quale sia la situazione con riferimento al secondo e terzo punto in premessa indicati. In altri termini deve darsi conto dell’efficacia dell’azione di contrasto. Il che significa evidenziare i risultati dell’azione di contrasto al traffico e le criticità emerse.
Prima di tutto, deve chiarirsi che azione di contrasto efficace non è quella che tende al mero contenimento del fenomeno, bensì quella – ovviamente compatibile con le risorse del Paese – in grado di invertire il trend di continua crescita del narcotraffico che, nel corso degli ultimi trenta anni, ha aumentato a dismisura il potere criminale e finanziario dei narcotrafficanti e attualmente costituisce una preziosa risorsa anche per i terroristi.
È stato già in passato evidenziato come il crimine organizzato si sia rafforzato negli anni, sia nel nostro Paese che nel mondo intero, grazie proprio al controllo di un mercato che vale, annualmente, circa 560 miliardi di curo a livello globale e circa 30 miliardi di curo in Italia (pari a circa il 2% del PIL nazionale): ricchezza illecita inevitabilmente destinata a refluire in gran parte sul mercato finanziario ed economico legale, alterandone le regole essenziali e, fra queste, la più importante che è quella che, in un sistema liberal-democratico, assicura giustizia, equità e progresso sociale, ossia la parità di partenza fra i diversi operatori economici.
Considerando solo gli ultimi 20/25 anni, in concreto, è stato stimato che, ad oggi, in termini assoluti, le narcomafie dispongano, al netto, di un patrimonio ripulito, presente sui mercati finanziari, immobiliari e mobiliari, pari a circa 8.300 miliardi di euro a livello globale ed a circa 400 miliardi di euro in Italia. Patrimonio che – sulla base dei dati forniti dall’UNODOC – di anno in anno si incrementa di circa 20 miliardi di euro. E che, in tutta evidenza, rappresenta un condizionamento insostenibile per un corretto svolgimento della vita sociale ed economica del Paese e per la libera concorrenza.
Pensiamo quanta corruzione può essere – ed è – alimentata da soggetti criminali che dispongono di queste entrate e di questi patrimoni. Come infatti abbiamo già osservato, anche secondo la più prestigiosa Agenzia internazionale che si occupa di crimine organizzato, l’UNODOC, in qualsiasi paese del mondo, vi è, non solo, una relazione diretta, un rapporto di rafforzamento reciproco, fra la corruzione e la sua diffusione e la rilevanza economica che ha assunto il narcotraffico in quel determinato contesto, ma anche un rapporto diretto fra il rafforzamento delle grandi organizzazioni criminali che trafficano in stupefacenti e la penetrazione di queste nella politica e nella amministrazione pubblica, sia locale che nazionale. Sul punto, UNODOC faceva proprio l’esempio della situazione italiana in cui le grandi organizzazioni mafiose mantengono intatte la loro capacità di condizionamento delle istituzioni pubbliche, proprio in quanto dispongono di risorse rilevanti provenienti dal traffico di stupefacenti.
Da qui nasce la priorità dell’azione di contrasto al narcotraffico e proprio su questo terreno la sua efficacia deve essere misurata. Verificando, cioè, la sua capacità di superare un inaccettabile status quo e di invertire una rotta che ha portato, negli ultimi trenta anni, a concentrare in mani criminali rilevantissime risorse illecite che – specialmente nel post pandemia e nella gestione del PNRR – rischiano di condizionare l’economia legale e lo sviluppo del Paese.
In concreto, invece, si è verificato che, pure a fronte di un eccezionale impegno della Magistratura e delle Forze dell’ordine, l’azione di contrasto non è stata in grado di invertire il trend che si è descritto. Non è stata in grado cioè, di incidere sul cuore del problema.
E se, come crediamo, il cuore del problema è rappresentato dalla capacità del narcotraffico di creare e concentrare ricchezze illecite, allora, l’azione di contrasto efficace deve essere sviluppata in tale direzione.
In vista di tale obiettivo la DNA ha proposto nuovi protocolli d’indagine e l’adozione di nuovi strumenti normativi che potenzino le investigazioni.
Anzitutto, dovrebbero essere impiegate in modo più incisivo le risorse, assai rilevanti, che pure vengono spese su questo fronte senza tuttavia riuscire ancora a invertire la rotta.
In particolare, occorrerebbe investire maggiormente nella specializzazione delle Forze dell’ordine in tre settori vitali, che sono: 1) quello dell’informatica – è sul web, ed ancora di più sul deep web, che corre la nuova frontiera del traffico – potenziando la Polizia Postale e dotando la DCSA di personale e poteri investigativi analoghi a quelli della Polizia Postale; 2) quello delle intercettazioni telematiche, con normative più stringenti nei confronti degli internet provider e tecnologie costantemente aggiornate nella disponibilità degli inquirenti; 3) quello delle investigazioni sul riciclaggio dei proventi del traffico, e, prima ancora, sui movimenti finanziari che muovono e alimentano i traffici, da svolgersi anche attraverso l’impiego delle operazioni sotto copertura in contesti economici e finanziari.
In questa prospettiva, va osservato che sul fronte delle droghe pesanti tradizionali, cocaina ed eroina, pur non conseguendosi lo sperato risultato di “inversione del trend”, si è tuttavia ottenuto un sensibile contenimento del fenomeno e, talora, anche dei significativi successi sul fronte degli arresti dei grandi trafficanti, della confisca (ancora ex post, ed assai parziale) dei patrimoni illecitamente accumulati e del sequestro dei grandi carichi. Si tratta di risultati conseguiti grazie alla abnegazione delle Forze dell’ordine e della Magistratura, che tuttavia scontano il limite della perdurante carenza dell’azione di contrasto sul versante dei meccanismi che consentono le enormi transazioni finanziarie che ruotano intorno al traffico e, quindi delle persone fisiche e giuridiche operanti, nell’ombra, in tale settore (il che spiega la ragione per cui non siamo ancora arrivati al cuore del problema).
Gli stessi risultati di contenimento non si sono ottenuti – nonostante lo stesso impegno profuso – nel settore del contrasto al traffico della cannabis, sempre più fiorente grazie ad un consumo incontrollato di massa.
Ed è paradossale che ciò sia avvenuto in un settore, quello delle droghe leggere, nel quale, sicuramente da un punto di vista quantitativo, l’impiego di uomini e risorse, non solo in Italia, ma in Europa, è stato maggiore.
Si è infatti constatato che, sia in Italia che in Europa, le attività repressive sul traffico, lo spaccio e la detenzione di cannabis – a ragione è ritenuto lo stupefacente certamente dannoso, ma meno pericoloso ed a cui si riconnettono, infatti, in tutta Europa, di norma, le sanzioni meno gravi – impegnano sull’intero territorio nazionale (e non solo) un numero di appartenenti alle Forze di polizia giudiziaria e di magistrati che è un multiplo di quello impegnato nelle azioni di contrasto all’eroina ovvero alla cocaina, alle droghe sintetiche, ben più micidiali.
I sequestri di quantitativi di cannabis, sono, a seconda degli anni, 100 o 150 volte di più di quelli di eroina e cocaina e 8000 volte maggiori dei sequestri delle droghe sintetiche. In pratica sequestriamo in misura infinitamente più ampia la sostanza meno dannosa rispetto a quelle ben più nocive, se non letali.
E così, per allargare l’orizzonte, a dimostrazione di una tendenza comune a livello continentale, ì comandi di polizia europei nel solo 2013 sono stati impegnati a segnalare alle più diverse Autorità – giudiziarie ed amministrative – circa 782.000 consumatori di cannabis e a redigere 120.000 rapporti di denuncia per spaccio di tale sostanza – mentre, per dare un riferimento comparativo con l’eroina, le denunce, sempre a livello europeo, per il mero consumo sono state circa 20 volte in meno e per la cessione 7/8 volte in meno.
A loro volta i sequestri di cannabis, che a livello europeo sono stati nel numero di 431.000, sono un multiplo di quelli di tutte le altre droghe messe insieme.
A livello nazionale, nel corso del biennio 2014-2015, furono denunciate per produzione, traffico. e spaccio di cannabinoidi 27.098 persone, che erano di più della somma dei soggetti denunciati per traffico e spaccio di tutte le tradizionali droghe pesanti il cui numero, complessivamente, ammontava a circa 26.000 unità.
Bisogna chiedersi, allora: quante migliaia di ufficiali di polizia giudiziaria impegniamo, complessivamente, nel settore della repressione del traffico di cannabis, considerando prima il numero degli agenti impegnati ad effettuare sul territorio questi interventi, poi quello degli Ufficiali di pg impegnati a redigere le relative informative e verbali e, infine, quello di carabinieri, finanzieri, poliziotti, quotidianamente impegnati nei tribunali per deporre in udienza ? E quanti magistrati, cancellieri, agenti della penitenziaria, funzionari di prefettura, assistenti sociali, impieghiamo per dare corso alle denunce, ai processi o alle segnalazioni di natura amministrativa per lo spaccio, il traffico o per la mera detenzione di tale sostanza? E con quali risultati ?
La risposte, anche qui, sono agevoli.
Impegniamo, sul fronte repressivo per il fenomeno cannabis, circa la metà delle forze che abbiamo a disposizione sul campo per contrastare complessivamente il narcotraffico ed il conseguente gravissimo fenomeno del riciclaggio.
Non solo, quindi, non sarebbe pensabile impiegare più uomini e mezzi nella repressione del fenomeno, perché ciò sottrarrebbe le residue risorse all’azione di contrasto contro fenomeni che lo stesso legislatore ritiene più gravi (traffico di droghe pesanti, riciclaggio, corruzione, contrasto alle mafie e al terrorismo, ecc.), ma sarebbe necessario dirottare risorse ed energie dalla repressione di fenomeni meno gravi (fra cui quello della cannabis) verso quelli ben più gravi che abbiamo indicato.
Quanto ai risultati della strategia repressiva contro la cannabis – che è stata nel corso del tempo, a seconda delle diverse opzioni scelte dal legislatore, più o meno severa – anche qui, sulla scorta dei numeri in nostro possesso, possiamo affermare che la stessa ha oggettivamente condotto – al di là delle buone intenzioni di chi intendeva reprimere il fenomeno – non ad una riduzione o ad un contenimento del fenomeno, ma ad una sua più ampia diffusione.
La verità è che di fronte ad 80 milioni di consumatori presenti nella sola Europa, di fronte ad un mercato che ha oramai l’ampiezza di quello della Coca Cola, dei tabacchi, degli alcoolici, lo strumento penale diviene , in sé, inadeguato. E lo è ancora di più in quanto la pericolosità del fenomeno è sempre meno avvertita.
Le proposte di legalizzazione
Nella descritta situazione, vanno positivamente valutate le proposte di legge che mirano a legalizzare la coltivazione, la lavorazione e la vendita della cannabis e dei suoi derivati. La legalizzazione, infatti, se correttamente attuata, potrebbe portare : 1) ad una rilevante liberazione di risorse umane e finanziarie in diversi comparti della Pubblica Amministrazione (FFOO, Polizia Penitenziaria, funzionari di Prefettura, ecc.); 2) ad una ancora più importante liberazione di risorse nel settore della Giustizia, dove sono decine di migliaia i procedimenti penali che richiedono l’impegno di magistrati, cancellieri ed ufficiali giudiziari, con risultati spesso del tutto inconcludenti in quanto vengono irrogate sanzioni che rimangono sulla carta; 3) ad una perdita secca di importanti risorse finanziarie, per le mafie e per il sottobosco criminale che, ad oggi, hanno il monopolio del traffico; 4) ad una contestuale acquisizione di risorse finanziarie per lo Stato, attraverso la riscossione delle accise; 5) al prosciugamento, in una più ampia prospettiva di legalizzazione a livello europeo, di risorse economiche e finanziarie per il terrorismo integralista che controlla la produzione afgana di cannabis; 6) in conclusione, ad un vero rilancio – attraverso la liberazione e l’acquisizione delle predette risorse – dell’azione strategica di contrasto, che deve mirare ad incidere sugli aspetti (davvero intollerabili) di aggressione e minaccia che il narcotraffico porta sia alla salute pubblica (attraverso la diffusione di droghe pesanti e sintetiche) che all’economia ed alla libera concorrenza (attraverso il riciclaggio).
E seppure tutto ciò non fosse vero (ma, in realtà, è vero) la legalizzazione avrebbe comunque il pregio di porre fine ad una azione repressiva che si è rivelata del tutto inefficace. In qualsiasi modo, nel corso degli anni, sia stata svolta. E che, anzi, ha fornito, a livello di marketing, un ulteriore vantaggio alla cannabis: la fascinazione del proibito.
E tuttavia la legalizzazione, per essere davvero funzionale agli scopi sopra indicati, dovrebbe mantenersi in binari chiari e pragmatici e rifuggire da ipocrisie, ideologismi, prese di posizioni, che sarebbero più dannosi che utili.
Quanto alla chiarezza – anche perché ci offre un modello sperimentato e funzionante, anche da un punto di vista fiscale – appare condivisibile l’idea di inquadrare la cannabis fra i generi di monopolio. L’assimilazione cioè – sia pure nella particolarità del caso – del regime giuridico della cannabis a quello dei tabacchi, fatta propria da diverse proposte di legge, appare una soluzione concreta, fattibile e priva di rischi. E tuttavia, per rimanere tale, dovrebbe essere portata avanti con coerenza e senza tentennamenti. In questa prospettiva, l’idea di creare, quanto al commercio al dettaglio della cannabis, una (inevitabilmente) nuova rete di esercizi commerciali dedicata solo alla vendita di questo prodotto, desta forti perplessità. Non diversamente da quanto si avuto modo di constatare in altri settori di recente legalizzati (ad esempio quello delle scommesse), questo nuovo affare attirerebbe inevitabilmente gli interessi del crimine organizzato. Fermo restando infatti, il divieto di vendita della cannabis ai minori, esiste invece una rete già nota, collaudata, sicura e conosciuta di rivenditori di generi di monopolio e non si vede perché non si possa ricorrere alla stessa – ovvero a parte della stessa, escludendo chi abbia eventuali controindicazioni di carattere oggettivo o soggettivo – per la distribuzione del prodotto.
Appare, invece, assolutamente non condivisibile l’idea di autorizzare la c.d. coltivazione in forma associata della cannabis.
La valutazione degli effetti di una norma, in astratto ragionevole, la si deve, infatti, misurare in concreto, tenendo conto della situazione di fatto in cui si cala. E riteniamo che la forma di coltivazione associata, possa essere un ulteriore cavallo di Troia per fare rientrare nell’affare la criminalità organizzata che, attraverso le associazioni in questione, potrebbe acquisire un importante ed ulteriore opportunità per produrre e commerciare la cannabis.
Invero, sarebbero inesauribili le possibilità per la criminalità di creare e governare associazioni “fantasma” (se ne vedono moltissime in tutti i settori, da quello agricolo a quello dei servizi) composte da persone spesso inconsapevoli, ovvero da meri prestanome.
Dunque, l’introduzione della previsione della coltivazione in forma associata, con ogni probabilità, porterebbe ad un aggiramento della normativa sul monopolio e ad una nuova discesa in campo del crimine organizzato in una materia che, con la legalizzazione, si intenderebbe sottrarre alla sua egemonia. Ma non solo. La legalizzazione della coltivazione della cannabis in forma associata porterebbe, paradossalmente, sia a livello preventivo (per i necessari controlli da svolgere) che e a livello repressivo (in relazione ai prevedibili abusi che sarebbero posti in essere), a drenare ed impiegare quelle risorse umane e finanziarie che invece si volevano liberare legalizzando il settore.
Infine deve esaminarsi la previsione della legalizzazione della coltivazione individuale, c.d. “domestica”, di un quantitativo ridotto di cannabis per uso personale (pari, secondo le diverse proposte di legge a 4/5 piante di sesso femminile), la cui liceità sarebbe subordinata ad una previa comunicazione da parte del consumatore/produttore ai Monopoli di Stato.
Anche in questo caso, sia pure in misura diversa rispetto a quanto si è osservato sulla produzione associata, vanno espresse delle perplessità.
Sulla base di una valutazione immediata, nel previsto sistema di legalizzazione della cannabis, non parrebbe congruo prevedere sanzioni penali a carico di chi la produce a fini di auto-consumo, nei limiti quantitativi sopra indicati.
Occorre tuttavia osservare che, anche in questo caso, la pratica si potrebbe prestare ad abusi e ad aggiramenti sostanziali del regime di Monopolio che è stato previsto e che deve essere, invece, l’architrave del sistema.
La coltivazione cosiddetta domestica, infatti, se svolta in rete ed in modo coordinato da un numero cospicuo di soggetti, che magari sono meri prestanome, tutti formalmente autorizzati all’autoproduzione, rappresenta un rischio concreto di creazione di un mercato illegale e clandestino che, invece, la normativa sulla legalizzazione si propone di sconfiggere.
E ciò senza contare un ulteriore grave rischio: in sede di autoproduzione domestica, e al riparo dei controlli che verrebbero effettuati sui generi di monopolio, potrebbero essere coltivati dei prodotti che attirano un mercato di nicchia, interessato ad un prodotto caratterizzato da alta concentrazione di THC e dunque, maggiormente nocivo ed in grado di indurre maggiore dipendenza.
Del resto, va ricordato che la pratica della auto-produzione si è sviluppata nel contesto di un sistema proibizionista. Essendo vietata la vendita della cannabis, attualmente, il consumatore che non vuole entrare in contatto con il sistema criminale che la traffica e la spaccia, si produce da solo la cannabis necessaria per il suo consumo.
Ma tutto ciò non avrebbe più senso in un sistema in cui il consumatore di cannabis, al pari di quello di sigarette, potrà comprare un prodotto sicuro (nei limiti in cui può esserlo) in una qualsiasi rivendita autorizzata presente nel suo luogo di residenza. Non a caso, infatti, il sistema di “autoproduzione” del tabacco non è mai stato neppure lontanamente pensato ed ipotizzato. E non si vede la ragione per la quale, di fronte ai ragionevoli rischi che si sono sopra indicati, dovrebbe esserlo per la cannabis.
Le condotte punibili
Così delimitato l’ambito nel quale – con la maggiore semplificazione e le maggiori cautele possibili – dovrebbe fluire la produzione e la vendita della cannabis, si tratta ora di affrontare il capitolo delle condotte punibili e delle sanzioni penali.
Un assetto equilibrato del sistema penale in materia, che salvaguardi in modo efficace il principio del Monopolio di Stato e la salute pubblica (con riferimento in particolare a quella dei minori) e non ingolfi il sistema processuale con fatti bagatellari, potrebbe essere articolato come segue.
Per i casi di minore rilievo e gravità, quali ad esempio la consumazione della cannabis in luoghi vietati, appare evidente la opportunità di prevedere, non diversamente dalle analoghe fattispecie in materia di divieto di fumo da tabacchi, soltanto severe sanzioni amministrative.
Per la detenzione, attesa la varietà dei casi e l’enorme differenza di lesività delle diverse condotte, sarebbe opportuno distinguere. Appare condivisibile la previsione della proposta Giachetti che – al di là dei casi di uso terapeutico – fissa un limite massimo di quantitativo di cannabis legittimamente detenibile nella misura di gr 5 al di fuori del proprio domicilio e di gr 15 presso il proprio domicilio. Tuttavia tale previsione deve tenere conto del fatto che, secondo l’impostazione fino ad ora seguita (e seguita dalla stessa proposta Giachetti) la cannabis di monopolio dovrà essere venduta, sigillata, in apposite confezioni dotate di etichetta dei Monopoli. Dunque, la stessa (non diversamente dalle sigarette dei monopoli rispetto a quelle di contrabbando) sarà distinguibile da quella commerciata illegalmente al di fuori del regime monopolistico.
Appare, allora, evidente che un conto è la detenzione, oltre il limite quantitativo fissato, della cannabis di monopolio, acquistata legittimamente in un esercizio commerciale abilitato, e, ben altro, è la detenzione di cannabis illegale, prodotta parallelamente in un mercato clandestino. Nel primo caso, la sanzione, seppure seria, dovrebbe essere di tipo amministrativo, non venendo pregiudicati i principi fondanti della legalizzazione. Nel secondo caso, tenuto conto che vengono in rilievo condotte che alimentano un mercato e una attività controllato da entità criminali riguardando, per l’appunto, la detenzione di cannabis prodotta illegalmente, non potrebbe che farsi ricorso alla deterrenza delle sanzioni penali, fatta salva l’ipotesi di detenzione per uso personale nei limiti quantitativi di 5 grammi (o 15 grammi, presso il proprio domicilio), che dovrebbe rimanere immune da sanzione penale ed essere punita solo amministrativamente –
Per la produzione illecita, in un auspicato regime che faccia divieto a chiunque di coltivare la cannabis al di fuori del sistema del Monopolio di Stato, dovrebbero trovare applicazione gli stessi principi e, quindi, le stesse sanzioni previste per la detenzione illecita di cannabis prodotta al di fuori del controllo statale, che tengono conto dell’entità della produzione e, quindi, della gravità della condotta.
Per le ipotesi di illegale importazione, esportazione, trasporto e passaggio in transito, egualmente, la summa divisio dovrebbe essere fatta fra i casi che riguardano l’uso personale e riferibili, quindi, a quantitativi che possono arrivare al massimo a 5 grammi (i 15 grammi abbiamo visto valgono per la detenzione presso il proprio domicilio) e i casi che eccedono tale quantitativo. Nel primo caso il fatto non potrebbe essere in alcun modo sanzionato penalmente, nel secondo caso dovrebbe venire in rilievo l’ulteriore distinzione che è stata fatta in precedenza, quella, cioè, fra cannabis di monopolio e cannabis prodotta e commercializzata al di fuori del regime di monopolio. Nel primo caso, coerentemente, la sanzione dovrebbe essere solo amministrativa e, quindi, per lo più pecuniaria. Nel secondo caso, le pene dovrebbero essere in linea con quelle indicate al secondo punto.
Per la cessione a titolo gratuito appare, in via generale, condivisibile l’impostazione della proposta Giachetti e delle altre che vanno nella stessa direzione: la cessione gratuita di quantitativi fino a 5 grammi, per il consumo del beneficiario della cessione, dovrebbe ritenersi, nel prospettato regime di legalizzazione, del tutto lecita. Ma è necessaria una precisazione. Può essere lecita, la cessione gratuita di tale quantità, quando riguarda cannabis di monopolio. Ma non nel caso di cannabis prodotta al di fuori del regime di monopolio e, quindi, illegale. In quest’ultimo caso, se si vuole mantenere coerenza al sistema e si intende salvaguardare il principio del Monopolio di Stato come sua pietra angolare, appare indispensabile una adeguata sanzione penale nei confronti di chi cede, sanzione che, a nostro avviso, dovrebbe essere in linea con la meno grave delle ipotesi di illegale detenzione.
Per i casi di offerta, vendita e cessione a titolo oneroso, avvenuti al di fuori dell’unico canale consentito, ancora una volta la linea di demarcazione fra sanzione penale e sanzione amministrativa non può che passare attraverso quella fra cannabis prodotta in regime di monopolio e cannabis prodotta illecitamente e clandestinamente.
Nel primo caso, che riguarda le ipotesi del soggetto non autorizzato, che vende cannabis prodotta in regime di monopolio (quella, per così dire, con il bollino dei Monopoli di Stato) ancora una volta, ci sembra opportuna e ragionevole la sola sanzione amministrativa .
Nel secondo caso, quello della vendita a terzi di cannabis prodotta al di fuori del regime di monopolio (dunque, parliamo di cannabis, non controllata, con THC, a volte, assai elevati e dannosi) vengono in rilievo condotte particolarmente gravi che ledono contestualmente la salute pubblica ed interessi finanziari dello Stato. Ovvio che la sanzione penale dovrebbe essere, a seconda dei quantitativi commerciati, in linea con le pene previste dal secondo punto.
Restano, ovviamente, ferme le disposizioni di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Un discorso a parte – ed una particolare attenzione – merita, infine, il tema del consumo della cannabis da parte dei minori e la cessione della cannabis ai minori.
Si tratta di un tema assai delicato, in quanto vengono in rilievo soggetti in relazione ai quali – per la loro vulnerabilità ed influenzabilità e per la minore capacità che hanno di auto-imporsi regole nel consumo – va prevista una tutela penale particolarmente intensa.
Dunque la cessione a minore, di qualsiasi tipo di cannabis e di qualsiasi tipo di stupefacente, deve essere fortemente dissuasa, prevedendosi, in relazione alla cannabis (ed, anche, in relazione alla cessione di altre sostanze stupefacenti), fattispecie autonome di reato, con sanzioni minime e massime particolarmente elevate, dalla metà al doppio di quelle ordinariamente previste negli altri casi di cessione illegale.
Su questo argomento non si condivide, quanto alla liceità della vendita della cannabis, la parificazione degli ultra-sedicenni ai maggiorenni, fatta propria da alcune proposte di legge. Piuttosto, più opportunamente, dovrebbe graduarsi la pena, aggravandola nel caso degli infra-sedicenni e, ancora di più degli infra-quattordicenni, rispetto al caso generale di cessione ai minori.
Peraltro, proprio la complessiva legalizzazione della produzione e del commercio della cannabis, e il conseguente calo di procedimenti ed indagini penali, consentirebbero di concentrare l’attenzione investigativa su questo fronte, particolarmente importante.
Proprio la possibilità che il messaggio pubblicitario possa essere captato e recepito dai più giovani e dai minori, poi, impone che la pubblicità della cannabis, venga non solo vietata ma penalmente sanzionata.
Conclusione
In conclusione, nei limiti e con le precisazioni fornite, si ritiene che quello della legalizzazione della cannabis, sarebbe un approdo logico e coerente del sistema a fronte dei deludenti risultati concretamente ottenuti con una politica di criminalizzazione.
Tuttavia, la scelta legislativa di fondo in esame (che appare, nei fatti, oggettivamente, opportuna ed utile) dovrebbe essere vissuta dall’opinione pubblica non come una resa al narcotraffico (perché non lo è) ma, al contrario, come il segno di una inversione di rotta da parte dello Stato , di una concentrazione delle proprie risorse disponibili su ciò che è veramente pericoloso per la salute dei cittadini, per l’economia del Paese e per l’ordine pubblico. E affinché ciò avvenga, a nostro avviso, dovrebbero darsi, da subito, dei segnali importanti. In particolare, le proposte di legge in esame, tenuto conto di quanto sopra si è detto, dovrebbero, contestualmente, contenere delle previsioni concrete che diano il segno di questo rinnovato sforzo dello Stato contro le narcomafie.
All’uopo appaiono apprezzabili le previsioni di utilizzare parte dei proventi fiscali, che saranno riscossi grazie al regime di monopolio della vendita della cannabis, per finanziare il contrasto al traffico delle droghe pesanti e sintetiche. Ma servono indicazioni più precise e stringenti.
Fonte: Giustizia Insieme
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