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Processo Agostino, parla Bruno Contrada

Aaron Pettinari e Marta Capaccioni * il . Forze dell'Ordine, Giustizia, Istituzioni, Mafie, Memoria, Sicilia, Società

Da Paolilli a La Barbera, l’ex dirigente dei Servizi minimizza ogni azione

“Antonino Agostino? Non sapevo che esistesse a Palermo un agente con nome Nino Agostino. Ho saputo della sua esistenza dopo la sua morte dagli organi di stampa”. “Guido Paolilli? E’ uno dei migliori poliziotti che ho avuto la fortuna di dirigere. Non faceva servizi investigativi, era capo pattuglia alle volanti. Era molto bravo a procurarsi i confidenti. Io l’ho sempre stimato Paolilli”. Arnaldo La Barbera collaboratore del Sisde? “È inconcepibile che un capo di Squadra mobile, vice questore, sia collaboratore dei servizi di sicurezza. Era stipendiato”Faccia da mostro“Io non ho mai detto che Giovanni Aiello aveva la faccia da mostro. Non vorrei denigrare la sua memoria, ma alla squadra mobile era solo un numero, non veniva neanche considerato”. Eccole alcune delle dichiarazioni di Bruno Contrada, ex dirigente del Sisde, sentito ieri come teste assistito davanti alla Corte d’Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, nell’ambito del processo sul duplice omicidio Agostino-Castelluccio che vede imputati il boss Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato in concorso e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento.

Con estrema lucidità, e non senza spirito polemico (“In ambito di Servizio ero direttore di Divisione e non numero due o numero tre del Sisde, come indicato dai mezzi di comunicazione”), l’ex 007 ha risposto alle domande delle parti, impegnate a ricostruire la verità su una vicenda che per oltre 33 anni è rimasta seppellita.

E non sono certo mancati gli spunti di interesse su cui vale la pena soffermarsi.

Contrada ha affermato di “non aver mai sentito parlare di un gruppo interforze operativo nella ricerca dei latitanti ai fini della cattura” ed ha anche negato l’esistenza di un prezziario: “Se un operatore di polizia catturava un latitante aveva una gratifica, un premio.. se invece un cittadino qualsiasi, non operatore di polizia, dava notizia per cattura dei latitanti aveva una ricompensa che si stabiliva in base all’importanza, cioè alla pericolosità del criminale catturato. Ma non c’era un tariffario”.

Eppure, come ha fatto notare il sostituto procuratore generale Domenico Gozzo, dell’esistenza del documento ha parlato ad una recente udienza l’ex capocentro dei servizi segreti di Palermo Massimo Grignani.

Tra i suoi collaboratori vi era Emanuele Piazza, ex poliziotto assassinato nel 1990 che, come Agostino, era impegnato nella ricerca dei latitanti. “Ma Grignani non rappresentava niente nell’ambito del Sisde, era funzionario di grado inferiore – ha detto Contrada – Credo non avesse mai fatto servizio di polizia giudiziaria”. Un attimo dopo, però, ha ammesso: “Ne ho sentito parlare di questo prezziario. Ho letto, ho sentito o qualcuno mi ha riferito che nell’abitazione dell’ex agente di polizia, Emanuele Piazza fu trovato un prezziario del genere. Ho pensato che il funzionario lo avesse stabilito in accordo con altri elementi del centro Sisde di Palermo, ma io non ho mai visto un prezziario dei latitanti”. 

La difesa di Paolilli    

Ovviamente tra i temi affrontati nel corso dell’esame c’è stato il rapporto con l’ex poliziotto Guido Paolilli. Una conoscenza iniziata proprio a Palermo quando Contrada era ancora alla Squadra mobile: “Guido Paolilli è stato a mio avviso uno dei migliori agenti che io ho avuto la fortuna di dirigere. Non faceva parte delle sezioni investigative della Squadra mobile, ma era capo pattuglia di una volante. Era molto bravo a procurarsi confidenze, perché l’arma della polizia allora era il confidente. Era molto bravo e io l’ho sempre stimato”. 

Contrada ha anche confermato di essersi incontrato più volte con Paolilli. E in una di queste occasioni l’ex poliziotto gli avrebbe parlato del delitto Agostino. Ed è qui che Contrada ha subito messo le mani avanti: “Vorrei precisare che fino al 5 agosto del 1989 che è stato ucciso questo agente, non avevo mai sentito parlare di lui, non sapevo che esistesse a Palermo un agente con nome Agostino Nino. Ho saputo della sua esistenza dopo la sua morte dagli organi di stampa”. 

Eppure in un’intercettazione del 9 gennaio 2018 Francesco Belcamino, altro poliziotto vicino all’ex Sisde, affermava che Agostino fu arruolato tramite Contrada su raccomandazione di Paolilli. “Una balla” ha bollato Contrada senza mezzi termini.
Non solo. In un primo momento si era anche detto certo che nel giorno del delitto si trovava a Roma. Eppure, come evidenziato dall’avvocato della famiglia Agostino, Fabio Repici, nella sua agenda del 1989 è appuntato un incontro con il Presidente Alfonso Giordano a Mondello.

Tornando a Paolilli l’incontro sarebbe avvenuto nel 1996. “Mi disse che veniva spesso a Palermo perché aveva tanti amici, tra cui la famiglia Agostino. Era amico di questa famiglia, più che del collega, con il padre. Mi parlò di cosa gli disse Agostino, che se gli succedeva qualcosa aveva scritto degli appunti, un promemoria che teneva conservati a casa e che da lì si può capire da dove viene questo qualcosa che mi può succedere’. Io lo interruppi e gli dissi: ‘Ma scusa, tutte queste cose che mi stai raccontando tu le hai dette al tuo questore, al tuo capo di squadra mobile?’ Rispose di sì, che lo aveva fatto la sera stessa dopo l’omicidio e che La Barbera gli disse di venire a Palermo”. 

Un dato, quest’ultimo, in contrasto con quanto riferito da Paolilli la scorsa udienza quando affermò che venne aggregato alla Squadra mobile di Palermo per volontà del papà di Agostino, Vincenzo.

ANTIMAFIADuemila e Il Fatto Quotidiano “giornali avversi”

Altro argomento, ovviamente, non poteva che essere la famosa intercettazione tra Paolilli e Contrada, l’11 maggio 2014, quando l’ex poliziotto abruzzese, chiamato dalla Procura di Reggio Calabria, gli disse apertamente al telefono: “Mi sono fatto infinocchiare da quel Walter Molino”. 

“Io ricordo una telefonata che precedeva questa – ha ricordato l’ex 007 – Mi aveva detto che era andato al suo paese un giornalista a fargli un’intervista perché gli voleva parlare dell’omicidio Agostino. Successivamente io ricevo una telefonata dal giornalista Walter Molino, che mi chiede se accetto una sua intervista sull’omicidio Agostino. Io sapevo che Walter Molino era un giornalista che scriveva anche per ANTIMAFIADuemila (ad onor del vero non è mai stato un nostro collaboratore, anche se in passato potremmo aver ripreso alcuni suoi articoli, ndr), per il Fatto Quotidiano, giornali che mi sono da sempre stati molto avversi. Gli dissi che non volevo fare nessuna intervista. Dopo qualche giorno mi telefona Paolilli e mi fa quella conversazione. Ed io gli dissi: “Ma tu perché gli hai detto tutte queste?”. Mi parlò delle carte rinvenute nell’abitazione di Agostino. Lo rimproverai. Aveva confidenza con me, aveva fiducia”.

In realtà, guardando a quella conversazione, le frasi furono un po’ diverse.

Paolilli, allora allarmato, chiamò Bruno Contrada, dicendo “di averla fatta grossa questa volta, un’intervista che non era una intervista, mi sono lasciato andare perché pensavo che quelle cose là morivano senza registrazione”. E Contrada rispose: “Cosa hai detto?”. Paolilli aggiunse: “Ho parlato di quell’Aiello che prendeva dentro e portava fuori”. “Per quale motivo le hai dette?”, chiese allora Contrada.

Ieri in aula l’ex funzionario del Sisde, spiegando quell’intercettazione, ha ridimensionato notevolmente la figura di Giovanni Aiello, anche noto come “Faccia da mostro” (“Ma quali notizie poteva portare fuori Aiello’? Che notizie?  Bisogna considerare pure la personalità, il grado di cultura di questi ragazzi, sia Paolilli, sia Aiello che parlano a vanvera”).

Un tentativo mal riuscito se si considera che Contrada non ha saputo ben spiegare perché, quando fu sentito nel 2008 dalla Procura di Palermo, intervenendo spontaneamente senza alcuna domanda fece riferimento ad un uomo dalla faccia brutta, definibile “mostro”. “Io non ho mai detto che Giovanni Aiello aveva la faccia da mostro” ha detto in aula. “Lei ha parlato solo di una persona brutta definibile ‘mostro’” ha replicato Gozzo, evidenziando come di Faccia da mostro si parlò in un primo verbale solo nel 2009.

Perché, dunque, già nel 2008 quell’indicazione? Contrada ha riferito di aver saputo che un suo collaboratore, D’Antone, gli raccontò che dalla direzione nazionale antimafia volevano sapere da lui se alla squadra mobile c’era un soggetto con quelle caratteristiche lì.

Contrada, interpellato sulla figura di Aiello, lo ha descritto come “un uomo prestante, giovane, molto trasandato. Non lo ricordo perché avesse la faccia da mostro. Aveva soltanto una cicatrice sulla guancia. Sapevamo tutti che era stata una pallottola. Altri sostenevano che non era stata una ferita di un conflitto a fuoco, ma che era partito un colpo inaspettatamente. Se pensai a lui quando D’Antone mi disse questo fatto? No. Aiello alla mobile era un numero e basta”. 

I rapporti con La Barbera

Altro tema ha riguardato i rapporti avuti con Arnaldo La Barbera, ex capo della Squadra mobile, poi questore di Palermo. “Non abbiamo mai avuto rapporti stretti né rapporti istituzionali. Non abbiamo mai svolto collaborazioni nel lavoro. Ci siamo visti solo due o tre volte – ha ricordato Contrada”.

Quando Gozzo ha chiesto se avesse mai saputo che lo stesso collaborava con il Sisde l’ex 007 prima è scattato (“È inconcepibile che un vice questore sia collaboratore dei servizi di sicurezza. Io tra l’86-88 facevo servizio a Roma. Era stipendiato. Stipendiato si”), poi ha spiegato: “Stipendiato è un termine improprio. Aveva delle “retribuzioni” dal Sisde, ma non solo La Barbera, ma altri decine e decine di persone. Io non sapevo che La Barbera fosse tra quelli che ricevevano delle prebende”. A quel punto una domanda è lecita. Perché era stipendiato se non era collaboratore?

La risposta di Contrada mette in luce un modus operandi dei Servizi: “I servizi hanno fondi riservati e fondi controllati, cioè sottoposti ad esame della Corte dei conti, per necessità dell’espletamento del servizio, per fonti confidenziali, confidenti, spese, viaggi ecc. Per alcuni appartenenti alle forze dell’ordine particolarmente impegnati o abbisognati o esposti particolarmente, secondo la decisione del direttore del Sisde, gli si va incontro, dandogli un nome, per giustificare. Non è rendicontata. Sono sicuro che La Barbera, che gli piaceva alloggiare in albergo, che aveva lasciato la famiglia nel Veneto, tramite aiuto del suo amico sponsor, il prefetto Luigi De Sena, godesse anche lui di questo aiuto economico”. Il motivo? “Per creare quel buon rapporto tra uomini dei servizi e uomini delle altre istituzioni dello Stato”. Un modus operandi quantomeno discutibile.

Gli appunti sulle agende

Nel corso dell’esame dell’avvocato Repici, Contrada, dopo aver chiarito che effettivamente si trovava a Palermo nel giorno del delitto Agostino, ha puntualizzato che le annotazioni in quei giorni non erano riferite ad incontri per parlare dell’omicidio, ma in relazione all’articolo de L’Espresso in cui si parlava di lui inserito in una vicenda che riguardava Oliviero Tognoli, un industriale bresciano implicato nell’indagine “Pizza connection” perché responsabile del riciclaggio di denaro sporco per conto di Cosa Nostra.

Sempre parlando del delitto Agostino, Contrada ha anche ricordato come il Capo della Polizia, il prefetto Vincenzo Parisi, “aveva subito dichiarato che era un omicidio di matrice mafiosa”. “Ero abituato a svolgere indagini in altro modo e riferire poi eventualmente alla stampa e dissi: ‘come ha fatto il capo della polizia, che non ha mai svolto un’indagine e non ha mai messo le manette ad un criminale, ma sempre polizia politica a dire subito che è un omicidio di mafia?’”. Un interrogativo che resta aperto, specie se si considera che anche il questore di Palermo Masone si “adeguò a ciò che aveva detto il Capo della Polizia”. 

Per quanto riguarda il movente del duplice omicidio l’ex funzionario dei Servizi ha affermato di aver “avuto notizie di questa presunta attività dell’agente Agostino, dico presunta perché non ho le prove, ma dopo tanto tempo”. Mentre Paolilli glielo fece capire “dicendo che prima si era andato ad inserire in una famiglia, quella della sua prima fidanzata, dove c’erano elementi sospettati di essere mafiosi. Poi aggiungendo che anche con il secondo rapporto, con la signora Ida Castelluccio, si era verificata la stessa cosa. Questo dopo anni me lo ha detto. Paolilli me lo fece intuire.. che era ‘questione di donne’”.

Successivamente Contrada ha parlato del suo rapporto con Elio Antinoro, ex dirigente del Commissariato San Lorenzo: “Mi ricordo della telefonata che mi chiedeva se stavo a Palermo e se poteva venirmi a trovare. Mi disse che dirigeva il commissariato di San Lorenzo, parlavamo del padre, dei rapporti con il padre, che aveva fatto fare queste statuette di terracotta e basta… forse mi ha parlato anche del Sisde, che voleva entrare nel Sisde”. Repici ha evidenziato come nell’agenda, tre mesi dopo il delitto Agostino, è segnata una “visita del dott. Antinoro dirigente commissariato ps. Zisa”. Era il 28 ottobre 1989. Ma Contrada ha escluso di aver parlato del delitto Agostino con Antinoro. Né avrebbe parlato di Alberto Volo.

Ma c’è un dato che vale la pena evidenziare. Sempre rispondendo alle domande di Repici Contrada ha ricordato dell’esistenza di un poligono di tiro a Bellolampo, sulle alture di Palermo. Qui si esercitavano i poliziotti, i carabinieri ed anche soggetti dell’esercito. Proprietario del terreno era un mafioso, di nome Di Maggio. E sempre a Bellolampo fu arrestato Pierluigi Concutelli, neofascista vicino alla famiglia Madonia, assieme a Guido Lo Porto. Un nome, quest’ultimo, che compare spesso nelle agende di Contrada.

Unico momento di tensione c’è stato quando il difensore di Scotto, l’avvocato Pino Scozzola, gli ha chiesto se è mai stato in vicolo Pipitone, luogo noto per essere il quartier generale dei boss dell’Acquasanta. “Sarei stato un imbecille, un idiota, un incapace: un dirigente generale della pubblica sicurezza che va a convengo con dei mafiosi. Sono stato offeso in maniera indegna da Galatolo, l’ho querelato” ha affermato urlando.

Prima di concludere l’esame il teste ha detto di non conoscere Gaetano Scotto, di non essersi mai occupato dell’attentato all’Addaura, ed ha affermato che al Castello Utveggio “non c’è mai stata una sede del Sisde”. E poi ancora ha confermato di avere avuto delle fonti informative interne alla mafia, ma con una distinzione: “Io cercavo di fuggire dal crearmi informatori in soggetti che occupavano posti di rilevanza nei clan mafiosi…. Differentemente da altri che facevano di tutto per tirarseli dalla loro parte, tipo Badalamenti, Bontade e questa gente qua… io invece cercavo di tirarmi quelli che stavano con un piede dentro e un piede fuori. Mantenevo rapporti con questi”. 

Infine, quando gli sono stati chiesti i nomi dei soggetti che erano all’agenzia Sisde di Trapani, dove secondo alcune ipotesi si recava spesso, Contrada si è trincerato dietro al silenzio in quanto “non autorizzato a fare i nomi”. Perché anche a 90 anni, in pensione, si è vincolati al segreto.

Il processo è stato quindi rinviato al prossimo 11 febbraio quando saranno sentiti i testi Di Simone Perricone, Elia, Grutta e Tavolacci.

* Antimafia Duemila, 09/02/2022

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