NEWS

L’omicidio di Piersanti Mattarella, il fumo nero

Gian Carlo Caselli il . Criminalità, Mafie, Memoria, Sicilia

I fascisti non cancellano la mafia. La deposizione di Volo (vicino a Terza Posizione) sul ruolo dei Nar non può oscurare l’imprinting di Cosa nostra sull’assassinio. Sarebbe negazionismo dei rapporti politica-boss

Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, politico democristiano di specchiata onestà, impegnato in un’opera di moralizzazione diretta a stroncare i traffici illeciti legati al perverso circuito fra mafia e pubblica amministrazione, venne ucciso a Palermo il 6 gennaio 1980.

Come mandanti sono stati condannati all’ergastolo (sentenza definitiva) i boss della “cupola” di Cosa nostra (Riina, Provenzano e soci). Quanto agli esecutori materiali, vi sono state dichiarazioni provenienti dalla destra eversiva che hanno indicato in Valerio (Giusva) Fioravanti e Gilberto Cavallini – militanti dei NAR – gli autori dell’omicidio.

Al riguardo, rileva l’interrogatorio reso a Falcone il 22 marzo 1985 dal fratello di Valerio Fioravanti, Cristiano, che parla anche di una riunione svoltasi a Palermo in casa del capo riconosciuto di Terza Posizione, Francesco Mangiameli, finalizzata a programmare l’omicidio Mattarella. (G. Fioravanti temeva che Mangiameli potesse rivelare quel che sapeva; perciò lo uccise con l’aiuto del fratello Cristiano).

Nel 1989 Falcone interrogò un insegnante palermitano vicino a Terza Posizione, Alberto Volo. Pure costui, indicando come sua fonte Mangiameli, accusò dell’omicidio (voluto dalla massoneria) G. Fioravanti e Cavallini.

Anche Loris D’Ambrosio (all’interno dell’Alto Commissariato Antimafia) si occupò del caso Mattarella. In una relazione finale  sostenne che l’esecuzione del delitto non fu affidata a killer mafiosi perché la riferibilità a Cosa nostra doveva stemperarsi in una serie di passaggi mediati, per dare il senso dell’antistato. In sostanza sarebbe stato un omicidio di “politica mafiosa” più che di mafia.

Per altro, in mancanza di prove sufficienti, alla fine G. Fioravanti e Cavallini sono stati assolti con sentenza definitiva: e per il principio del ne bis in idem non sono riprocessabili per l’omicidio Mattarella.

Marco Lillo sul “Fatto” del 25 gennaio, ricollegandosi ad un servizio di “Report”, ha esaminato un interrogatorio del 2019 reso ai Pm di Palermo da Volo. Qui Volo dichiara di aver riferito a Falcone le confidenze di Mangiameli su V. Fioravanti e Cavallini come autori dell’omicidio; le conferma e aggiunge che l’attentato fu deciso a casa di Licio Gelli a causa delle aperture di  Mattarella al partito comunista.

Volo ha poi riferito di aver indagato personalmente sulla strage di Capaci e di aver constatato, in un incontro con Borsellino, di essere sulla sua stessa linea di pensiero, e cioè che la strage era stata ordinata da Roma e che non era assolutamente credibile la teoria del “bottoncino” schiacciato da Brusca, cioè la “sciocchezza” della matrice solo mafiosa dell’attentato del 23 maggio ’92. Salta agli occhi che l’uso del diminutivo “bottoncino” per indicare l’innesco di un ordigno esplosivo di inaudita potenza è  assolutamente sproporzionato rispetto alla “magnitudo” della strage. Improbabile che Borsellino (se un incontro con lui davvero vi fu) potesse essere sulla stessa linea di Volo anche nel lessico. E giustamente Lillo chiosa che “non v’è riscontro” su quanto sostenuto dal Volo.

Merita ancora segnalare che nel processo in corso a Bologna ai mandanti della strage del 2 agosto, nell’udienza del 26 gennaio il Pm – mentre un teste stava accennando all’omicidio Mattarella – ha detto di essere in difficoltà perché sul tema c’è un’indagine aperta. Il procuratore generale di Bologna, per altro, ha smentito che nel suo ufficio vi sia un fascicolo d’indagine relativo all’omicidio Mattarella

Quale che sia la verità storica di tale delitto, in ogni caso è assolutamente certo l’imprinting di Cosa nostra. Vi è infatti la prova di due incontri di Stefano Bontate e altri mafiosi di rango, come Salvatore (To­tuccio) Inzerillo, con Giulio Andreotti, accompagna­to da Salvo Lima e dai cugini Salvo. Gli incontri si svolsero in una villetta di Palermo e in una tenuta di caccia dalle parti di Catania. Il primo per cercare di risolvere il caso Mattarella “amichevolmen­te”; il secondo perché Andreotti voleva chiedere conto dell’omicidio, ma ricevette da Bontate una risposta sprezzante.

La ricostruzione della vicenda, fondata sull’ineccepibile testimo­nianza (in uno dei due incontri addirittura oculare) di Francesco Marino Mannoia nel processo Andreotti, ha portato la Corte d’appello di Palermo, confermata in Cassazione, a sentenziare la responsabilità del senatore fino al 1980 per aver commesso – così testualmente nel dispositivo – il delitto di associazione a delinquere con Cosa nostra.

Mannoia ha poi trovato un’eccezionale conferma nell’operazione del luglio 2019 della Polizia di Palermo e dell’Fbi che ha smantellato una cosca ricostruita dagli “scappati” della famiglia Inzerillo, rientrati a Palermo. In una intercettazione ambientale del 17 gennaio 2019 uno degli arrestati, Tommaso Inzerillo, racconta quel che aveva appreso dal cugino Salvatore (Totuccio) Inzerillo a proposito delle gesta di Stefano Bontate. In particolare ricorda la tumpulata (ceffone) di Bontate a un politico (“a Roma comandi tu, qua a Palermo comandiamo noialtri”), che coincide con quanto Mannoia ha testimoniato parlando dell’incontro nel quale Andreotti volle chiede­re conto dell’omicidio. (L’intercettazione è riportata da S. Palazzolo nell’ articolo “Bontate disse al politico: non comandi”, pubblicato su “La Repubblica”  di Palermo il 21-7-19).

A Mannoia e alla registrazione ambientale di Inzerillo si potrebbe aggiungere quel che Angelo Siino racconta nel libro scritto col suo difensore Alfredo Galasso (“Mafia. Vita di un uomo di mondo” – Ponte alle Grazie), ricordando di essersi recato con Bontate in una tenuta di caccia dalle parti di Catania. In quell’occasione gli fu detto che era arrivato anche il presidente Andreotti. Fatto che, più avanti negli anni, Siino mise in relazione con le dichiarazioni di Mannoia.

Dunque, Volo o non Volo, fascisti o non fascisti, impregiudicati allo stato degli atti eventuali sviluppi al riguardo, risulta da prove sicure e convergenti (oltre la condanna della “Cupola”) che nell’omicidio Mattarella la mafia ebbe un ruolo decisionale ben preciso; e che Andreotti ebbe modo di interloquire senza mai denunziare “gli elementi utili a far luce sui fatti di particolarissima gravità” di cui era a conoscenza.

Dimenticandolo si rischia di scivolare in una sorta di  pericoloso negazionismo dei rapporti fra mafia e politica.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 29/01/2022

*****

“Stragi, depistaggi ancora oggi: li accerti chi viene dopo di me”

Trackback dal tuo sito.

Premio Morrione

Premio Morrione Finanzia la realizzazione di progetti di video inchieste su temi di cronaca nazionale e internazionale. Si rivolge a giovani giornalisti, free lance, studenti e volontari dell’informazione.

leggi

LaViaLibera

logo Un nuovo progetto editoriale e un bimestrale di Libera e Gruppo Abele, LaViaLibera eredita l'esperienza del mensile Narcomafie, fondato nel 1993 dopo le stragi di Capaci e via D'Amelio.

Vai

Articolo 21

Articolo 21: giornalisti, giuristi, economisti che si propongono di promuovere il principio della libertà di manifestazione del pensiero (oggetto dell’Articolo 21 della Costituzione italiana da cui il nome).

Vai

I link