Relazione della Ministra della Giustizia Marta Cartabia sull’amministrazione della giustizia
Nell’Aula del Senato e alla Camera, la Guardasigilli ha esposto la sua relazione sull’amministrazione della giustizia
Relazione della Ministra della Giustizia
Marta Cartabia
sull’amministrazione della giustizia
Inaugurazione Anno Giudiziario 2022
19 gennaio 2022 – Comunicazione al Senato della Repubblica e alla Camera dei Deputati
1. Introduzione
Illustre Presidente,
Onorevoli deputate e deputati – senatrici e senatori
Permettetemi di introdurre questa relazione sull’amministrazione della giustizia, richiamando una lettera tra le numerosissime indirizzate al Ministro della giustizia. Era l’8 marzo scorso ed ero da poco insediata.
«Illustre Signora Ministro,
Le scrivo questa lettera pubblica per chiedere il Suo conforto, affranta dalla morte sul lavoro di mio figlio Roberto [avvenuta quattro anni prima] e dall’impossibilità di vedere celebrato il processo in tempi ragionevoli.
Ho settantacinque anni e sono vedova. Roberto, il più piccolo dei miei figli, era il mio sostegno in tutto, aveva trentadue anni e viveva con me. […]
Il nostro processo […] non si riesce a celebrare, nonostante rientri in quelli cosiddetti a trattazione prioritaria […]. Il Tribunale […] non è in grado […] di poter far svolgere in sicurezza i processi con più parti a causa della carenza di aule attrezzate, risorse e personale e per questa ragione in un anno e mezzo, da quando è iniziato il dibattimento, a causa di continui rinvii è stato sentito solo uno dei circa venti testimoni. Con questa cadenza il processo di primo grado durerà numerosi anni […].
Sono sicura che morirò prima di vedere la fine di questo processo […] senza poter sapere come e da chi è stato ucciso mio figlio […]
Le scrivo come madre, vedova e umile cittadina, per chiedere il Suo conforto e, nei limiti delle Sue possibilità e competenze, di approfondire la disastrosa realtà di quel tribunale.
Prima di morire, vorrei poter andare sulla tomba di mio figlio Roberto per dirgli che la giustizia terrena ha fatto il Suo corso».
La storia di questa anziana madre è una storia paradigmatica e dà voce a tanti altri cittadini, vittime e imputati. E anche a tanti imprenditori e lavoratori.
È per ciascuno di loro che l’azione del Ministero della giustizia è stata orientata con determinazione verso un obiettivo che ho ritenuto cruciale: riportare i tempi della giustizia entro limiti di ragionevolezza. Come chiede la Costituzione; come chiedono i principi europei: il principio della ragionevole durata del processo e gli altri principi costituzionali ed europei che presidiano la corretta amministrazione della giustizia sono scritti per questo – per rispondere all’esigenza di chi, come questa anziana madre, attende dai nostri uffici giudiziari “una parola di giustizia” (P. Ricoeur).
Processi irragionevolmente lunghi rappresentano un vulnus per tutti. Per gli indagati e per gli imputati, che subiscono oltre il necessario la «pena del processo» e il connesso effetto di stigmatizzazione sociale. Per i condannati, che si trovano a dover eseguire una pena a distanza di tempo, quando ben possono essere – e per lo più sono – persone diverse da quelle che hanno commesso il reato. Per gli innocenti, che hanno ingiustamente subito oltre misura il peso di un processo che può aver distrutto relazioni personali e professionali. E soprattutto per le vittime e per la società, che non ottengono in tempi ragionevoli un accertamento di fatti ed eventuali responsabilità, come è doveroso in un sistema di giustizia che aspiri ad assicurare la necessaria coesione sociale.
La lettera di quella anziana madre ci indica dove in molti casi si annidano i problemi che ostacolano il lavoro di magistrati e avvocati. Quel processo per incidente sul lavoro – drammaticamente numerosi nel nostro Paese – stentava a partire essenzialmente per una carenza di spazi adeguati, risorse umane e strumentali.
I grandi e nobili principi costituzionali ed europei hanno bisogno di solido realismo e di pragmatica concretezza per non ridursi a vuota retorica. Come sarebbe stato il maxiprocesso di Palermo, senza quell’aula bunker la cui costruzione fu favorita dall’allora Guardasigilli, Mino Martinazzoli? I grandi principi hanno bisogno di organizzazione e di risorse; hanno bisogno di magistrati, hanno bisogno di uomini e donne nelle cancellerie, oltre che nelle aule d’udienza; hanno bisogno di strumenti informatici funzionanti; hanno bisogno di edifici agibili.
E questo è esattamente e principalmente lo sforzo che il Ministero della giustizia sta compiendo – in linea di continuità con l’azione del precedente governo, che aveva predisposto un piano straordinario di assunzioni – per assicurare le necessarie risorse umane, materiali, strumentali, per permettere alle procure e ai giudici lo svolgimento della loro altissima funzione.
«Spettano al Ministero della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia», recita l’articolo 110 della Costituzione. Il compito del Ministro è quindi di servizio alla funzione del giudicare, servizio a tutti i suoi attori: procuratori, giudici, avvocati. E soprattutto è servizio ai cittadini.
2. Il contesto
L’anno della giustizia 2021 è stato guidato in larga misura dai due fattori di contesto che hanno dominato in tutto il “sistema paese”:
- la pandemia
- la pianificazione PNRR e la sua prima attuazione.
Due elementi che da un lato hanno posto continui imprevisti, sfide e problemi, ma dall’altro hanno anche offerto una serie di opportunità e di spinte al cambiamento.
Le emergenze si sono susseguite senza interruzione: e quest’ultima ondata di contagi ha acuito ulteriormente le criticità. Ma ogni giorno abbiamo cercato nuovi rimedi ai sempre nuovi problemi, abbiamo ricominciato, abbiamo incessantemente re-inventato il nostro modo di lavorare.
Mi sia consentito di cogliere questa occasione per ringraziare sentitamente magistrati, avvocati, personale amministrativo, la polizia penitenziaria e tutto il personale degli istituti penitenziari, i volontari che hanno continuato a far funzionare la macchina della giustizia e dell’esecuzione penale, con spirito di adattamento e senza sottrarsi a rischi non trascurabili.
Anche per la continuità di altre fondamentali attività “ordinarie” sono serviti impegno e creatività e capacità di riorganizzazione. Era indispensabile rimettere in moto le prove di esame per l’avvocatura, i concorsi per l’accesso in magistratura – uno per 310 posti è avvenuto la scorsa estate e il bando per altri 500 nuovi magistrati è stato aperto nelle scorse settimane; e poi i concorsi per l’ingresso di altro personale: sono ripartiti la scorsa settimana gli orali per il concorso a 2242 posti di funzionari, sospeso per Covid; occorreva reinventare le modalità dei colloqui, delle visite e delle varie attività lavorative, culturali ed educative in carcere, per citare solo alcune delle emergenze recenti.
Emergenze di oggi e piani per il futuro, due distinti e congiunti livelli d’azione di questi mesi.
Mentre l’emergenza sanitaria premeva, con tutte le sue imperiose criticità, abbiamo messo a punto progetti e riforme strutturali a lungo termine, connessi agli obiettivi e alle opportunità offerte dal piano nazionale di ripresa e resilienza, in modo da avviare il nostro sistema giustizia verso le grandi linee di modernizzazione concordate con le istituzioni europee.
Come sappiamo, abbiamo l’impegno di ridurre del 40% il tempo medio di durata dei procedimenti del civile; e del 25% per il penale entro un arco temporale di cinque anni. Questo è stato il punto di accordo dopo settimane di trattative con Bruxelles.
Ad oggi, possiamo senza dubbio dire di aver conseguito – e invero superato – gli obiettivi previsti per il 31 dicembre 2021, che annoveravano l’approvazione delle leggi di delega in materia di processo civile e di processo penale; gli interventi in tema di insolvenza e l’avvio del reclutamento per l’Ufficio per il Processo.
3. Uno sguardo d’insieme
Uno sguardo d’insieme a quest’anno di intenso lavoro, ricco di impegni e traguardi lascia emergere tre chiavi di lettura.
La prima potrebbe essere definita così: dalla crisi una opportunità. Ovvero: dalle misure emergenziali, riforme strutturali. Un indirizzo di questa amministrazione, infatti, è stato quello di cogliere le opportunità nella situazione di crisi in cui la pandemia ci ha posti, valutando quali misure, anche tra quelle imposte dalla contingenza, potranno tradursi in modifiche strutturali.
Si pensi alle modalità di accesso alla professione di avvocato, ma anche alle nuove modalità di svolgimento delle udienze (sia civili che penali) e, più in generale, alla accelerazione della transizione digitale nei palazzi di giustizia e negli istituti penitenziari.
È in questa prospettiva, del resto, che deve essere colto il significato delle riforme prospettate con il PNRR anche per la giustizia. All’Italia non si chiedono interventi “tampone” destinati a esaurirsi nell’orizzonte temporale del Piano, ma uno sforzo preordinato ad un miglioramento definitivo.
Del resto, sappiamo bene che la modernizzazione e l’efficienza del sistema giudiziario incidono direttamente sulla solidità economica del Paese: tra gli studi, uno recente di Banca d’Italia stima che la riduzione della durata dei processi di circa il 15% porti all’ aumento di almeno mezzo punto percentuale del PIL. E inoltre la maggiore efficienza del sistema giudiziario stimola gli investimenti interni ed esterni e indirettamente migliora le condizioni di finanziamento per famiglie e imprese. Anche questa la posta in gioco, dunque.
Il fattore “Europa” è la seconda chiave di lettura. L’anno della giustizia è stato dominato da un orizzonte europeo. Non solo per le attività connesse al PNRR, ma anche per il rilievo di numerose altre iniziative che l’Unione europea sta promuovendo nel settore della giustizia.
Sotto questo profilo non si può non rimarcare come l’istituzione della Procura europea – EPPO – e il suo effettivo avvio offrano un nuovo strumento fondamentale per il contrasto ai reati finanziari, alle frodi fiscali, alla corruzione e ad ogni uso illecito di finanziamenti europei, molto spesso veicolo di interessi delle mafie e della criminalità organizzata di varia natura.
Come ho già avuto occasione di osservare, la Procura europea rappresenta una innovazione lungimirante e necessaria nel momento in cui ingenti quantità di fondi europei stanno per essere messi in circolazione. “Follow the money”: l’ha insegnato a tutti Giovanni Falcone, il primo a comprendere già nel lontano 1991 la necessità di proteggere gli interessi finanziari dell’Europa. E l’istituzione della procura europea, con i suoi 22 procuratori delegati in Italia, è frutto della profetica intuizione del grande magistrato italiano, il cui sacrificio continua a dare frutti a trent’anni dalla strage di Capaci, che ricorderemo a maggio, seguita a luglio da quella di via D’Amelio in cui perse la vita Paolo Borsellino.
Sempre di matrice europea sono altri importanti interventi normativi, approvati per dare attuazione ad impegni assunti nell’ambito dell’Unione europea come:
- la normativa in materia di lotta al riciclaggio;
- quella sulla presunzione di innocenza;
- quella relativa all’ uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario (regolamentando così la costituzione on line delle società a responsabilità limitata e delle società a responsabilità limitata semplificate).
Dobbiamo, invece, ancora perfezionare il recepimento – ed è necessario farlo il prima possibile – della direttiva sul whistleblowing, prezioso strumento di contrasto alla corruzione, in parte già presente nel nostro sistema grazie agli interventi normativi varati nel 2012 e nel 2017.
Siamo inoltre intervenuti sulla disciplina dell’acquisizione dei tabulati telefonici a fini di indagine, in ossequio ai principi fissati dalla Corte di Giustizia dell’Unione.
Tra le altre importanti iniziative prese sulla scia degli stimoli provenienti dall’Europa, ricordo anche quello sulla magistratura onoraria, che attendeva una risposta da troppo tempo: con un intervento reso possibile grazie alla disponibilità e alla sensibilità del Governo che ha messo a disposizione le necessarie risorse e di tutte le forze politiche in Parlamento, con la legge di bilancio siamo riusciti ad avviare una stabilizzazione per migliaia di magistrati onorari, che per anni hanno prestato il loro servizio – essenziale per il buon funzionamento degli uffici giudiziari – in una condizione di totale assenza di tutele lavorative (malattia, maternità, ferie), più volte stigmatizzata dalle istituzioni europee.
Accanto alla trasformazione dello ‘straordinario’ in ‘strutturale’ e al fattore ‘Europa’, c’è poi una terza chiave di lettura che viene dall’esperienza di questi mesi: la centralità del fattore organizzativo.
Come ben sapete, la giustizia è stata interessata da alcune importanti riforme normative, che questo Parlamento ha approvato superando le non irrilevanti divergenze di vedute e di sensibilità e lasciando prevalere il senso di responsabilità verso il bene comune e il primario interesse del paese.
Ma ciò che mi preme sottolineare è che le riforme del processo civile e del processo penale che abbiamo approvato necessitano di poggiare saldamente su una imponente ristrutturazione dell’organizzazione del servizio giustizia, accompagnata dalla immissione di ingenti risorse umane e materiali. Organizzazione e capitale umano sono la condizione di fattibilità delle riforme. Per questo prima di ripercorrere brevemente i principali capitoli delle riforme normative approvate nel corso di quest’anno, vorrei attirare la vostra attenzione sulla riorganizzazione del settore giustizia attualmente in corso.
4. Parte prima: risorse e organizzazione
4.1 L’ufficio per il processo
L’innovazione più rilevante, il «pivot» della nuova organizzazione della giustizia, è l’Ufficio per il processo, che porterà nei nostri uffici giudiziari migliaia di giovani giuristi in ausilio al lavoro dei magistrati.
Non serve che richiami in questa sede, quanto questo modello di organizzazione – anzi: questa diversa concezione del lavoro giudiziario – sia diffusa nel contesto internazionale; non soltanto nell’accezione più tradizionale, consolidata soprattutto nell’esperienza nordamericana e nelle giurisdizioni supreme, dell’assistente legato al giudice da uno stretto vincolo fiduciario; ma anche in quella che, sul modello francese, guarda proprio ad una diversa struttura organizzativa diffusa su tutti i livelli della giurisdizione.
Per il sistema italiano, la diffusione generalizzata dell’ufficio del processo, dopo anni di proficua sperimentazione in molti distretti di Corte d’Appello, comporta un vero e proprio cambio di paradigma, perché segna il passaggio dal lavoro individuale a quello di squadra.
Più volte in questi mesi nel dibattito pubblico si è stigmatizzata una visione “efficientistica” della giustizia. Mi preme rimarcare che il lavoro di squadra, se ben organizzato e ben condotto, non solo incrementa l’efficienza della giustizia, migliorandone i tempi, ma ne favorisce la qualità. Non c’è competizione, né tanto meno contraddizione, tra efficienza e qualità della giustizia, ma reciproco sostegno nel quadro dell’Ufficio per il processo.
Il primo contingente di 8171 giuristi è già stato selezionato con i concorsi che hanno visto la partecipazione di circa 67.000 candidati e che si sono svolti lo scorso autunno – con il prezioso supporto del Dipartimento della Funzione Pubblica che ringrazio sentitamente. Così il 14 febbraio, 200 giovani giuristi entreranno in servizio in Cassazione ed il 21 febbraio altri 8000 circa prenderanno servizio in tutti gli uffici giudiziari d’Italia. È bene notare che si tratta di un importante potenziamento delle risorse umane: accanto a circa 9000 magistrati in servizio si troveranno ben 8.171 giuristi-assistenti. Un aiuto potenzialmente molto rilevante.
Nelle prossime settimane seguirà un altrettanto cospicuo contingente di tecnici (5.410), che dovrà supportare l’Ufficio per il processo nei suoi compiti di data entry, di rilevazione statistica e di analisi organizzativa, e altri compiti di supporto dell’azione gestionale dei vertici giudiziari e amministrativi degli uffici.
Stiamo lavorando con la Scuola superiore della magistratura e con la Scuola nazionale dell’amministrazione – che ringrazio per la collaborazione – per offrire un’adeguata formazione non solo al personale selezionato, ma anche ai vertici degli uffici giudiziari che sono chiamati a un enorme sforzo di riprogettazione delle proprie strutture, per poter destinare proficuamente le nuove risorse umane ai bisogni specifici di ogni tribunale, corte o sezione.
La stabilizzazione dell’Ufficio per il processo prevista dalle leggi di riforma del processo penale e di quello civile, con contingenti già muniti di copertura finanziaria, garantirà nel tempo la presenza di questa nuova struttura in tutte le articolazioni degli uffici giudiziari – dalle procure ai tribunali di sorveglianza, dai tribunali per i minorenni fino alla Corte di cassazione.
Dunque, questa grande innovazione andrà oltre l’orizzonte del PNRR ed è destinata a cambiare il volto organizzativo dei nostri uffici giudiziari.
4.2 Il Dipartimento per la transizione digitale e la statistica
All’Ufficio per il processo si affianca l’istituzione, quale misura generale di rafforzamento dell’organizzazione per la giustizia, di un nuovo Dipartimento del Ministero della Giustizia che si occuperà della transizione digitale e della statistica. Al Dipartimento saranno affidati, tra l’altro, la gestione dei processi e delle risorse connessi alle tecnologie dell’informazione, della comunicazione e della innovazione; la gestione della raccolta, organizzazione e analisi dei dati relativi a tutti i servizi connessi all’amministrazione della giustizia; l’implementazione delle procedure di raccolta dei dati e della relativa elaborazione statistica e il monitoraggio dell’efficienza del servizio giustizia con particolare riferimento alle nuove iscrizioni, alle pendenze e ai tempi di definizione dei procedimenti negli uffici giudiziari.
Permettetemi qui di soffermarmi un istante sulla centralità di una corretta «cultura del dato» e della sua trasparenza, anche per il buon andamento dei servizi relativi alla giustizia.
Gli obiettivi della riduzione dei tempi dei processi non si conseguiranno d’un tratto. Ne siamo tutti consapevoli. Abbiamo posto le basi e avviato un processo virtuoso, ma il suo completamento richiederà tempo. Sarà un processo graduale, che dovrà essere accompagnato da una costante rilevazione dell’andamento dei tempi di ciascun ufficio giudiziario in modo da poter intervenire tempestivamente per rispondere con risorse più adeguate a esigenze emergenti, per rimuovere ostacoli imprevisti e per affrontare tanti problemi che, realisticamente, non mancheranno.
Per questo è indispensabile, anche nel settore della giustizia, sviluppare politiche pubbliche fondate sul dato e sulla sua trasparenza e costantemente verificate sulla base dell’esperienza statisticamente elaborata.
Partire dai dati è essenziale per scongiurare il rischio di interventi ad impronta emozionale, improvvisati e inadeguati ai bisogni e alla loro dimensione effettiva. Inoltre, misurare con regolarità e accuratezza i risultati dell’azione trasformatrice è necessario per predisporre tempestivi interventi correttivi e integrativi. In questa direzione vanno le continue sollecitazioni che arrivano dalla Commissione europea.
A questo scopo occorre assicurare una formazione specifica dei dirigenti degli uffici e predisporre misure di incentivazione delle scelte organizzative più efficaci.
Come abbiamo imparato in questi mesi, garantire una misurazione accurata degli impatti è il presupposto imprescindibile della fiducia delle istituzioni europee nella nostra capacità di uscire dalla crisi congiunturale e colmare quei vuoti strutturali della valutazione dell’andamento della giustizia che tanto scoraggiavano gli investitori.
Inoltre, è un dovere di trasparenza verso i cittadini comunicare in maniera chiara i dati che alimentano le decisioni pubbliche e il loro impatto qualitativo e quantitativo; è un dovere verso i cittadini e un impegno di democrazia, che nel tempo rinsalda la fiducia reciproca tra istituzioni e cittadinanza: la fiducia, un bene di cui c’è immenso bisogno.
Permettetemi di condividere una piccola esperienza degli scorsi mesi: in una riunione internazionale di investitori e operatori economici interessati alle riforme della giustizia in corso in Italia, mi è stata posta la seguente domanda: «Quando potremo tornare ad investire in Italia, certi che i tempi della giustizia saranno davvero comparabili a quelli degli altri Paesi?». Queste domande sono ineludibili e sono il sintomo di quanto gli osservatori internazionali siano attenti alle riforme nel nostro paese e a quella della giustizia in particolare, tanto che – tra gli altri – la tedesca Faz (Frankfurter Allgemeine Zeitung) – ha invitato gli investitori “a volgere lo sguardo verso l’Italia”. A domande come queste non possiamo offrire risposte evasive, generiche o, peggio, ingannevoli. L’unica risposta credibile, che in quella occasione mi sono sentita di dare, è questa: «Il tempo lo deciderete voi. Noi vi assicureremo di poter avere a disposizione tutti i dati e tutti gli elementi per fare le vostre valutazioni in piena trasparenza e accessibilità».
L’istituzione del nuovo Dipartimento presso il Ministero contribuirà a sviluppare questa «cultura del dato» con la possibilità di accedere direttamente alle stime di tutti i servizi connessi all’amministrazione della giustizia, anche a quelli raccolti dagli uffici giudiziari, con il dovere di renderli accessibili, nel pieno rispetto, ovviamente, delle esigenze della riservatezza delle indagini e della tutela dei dati personali.
Il monitoraggio dei tempi dei processi è particolarmente sentito nel settore penale. Per questo la legge delega di riforma prevede la costituzione, già avvenuta a dicembre, di un Comitato tecnico-scientifico per il monitoraggio sull’efficienza della giustizia penale, sulla ragionevole durata del procedimento e sulla statistica giudiziaria, con il compito di effettuare una verifica periodica del raggiungimento degli obiettivi di accelerazione e semplificazione, nel rispetto dei canoni del giusto processo.
Questo comitato di monitoraggio ha al suo interno un’unità dedicata ai reati contro la pubblica amministrazione: da parte nostra, come delle istituzioni europee c’è una costante preoccupazione sulla piaga della corruzione, che richiede continua attenzione. Questo comitato di monitoraggio ha al suo interno un’unità dedicata ai reati contro la pubblica amministrazione: da parte nostra, come delle istituzioni europee c’è una costante preoccupazione sulla piaga della corruzione, che richiede continua attenzione, per la sua capacità di «divorare le risorse pubbliche» e «minare il rapporto di fiducia tra Stato e cittadini», come ebbe a sottolineare il presidente della Repubblica.
4.3 La digitalizzazione
L’istituzione del nuovo Dipartimento rispecchia anche l’attenzione alla digitalizzazione, che non implica soltanto la semplice dematerializzazione degli atti cartacei in tutti i procedimenti civili e penali, ma consente un nuovo sistema di organizzazione delle forme processuali e potenzia gli strumenti di conoscenza a disposizione delle procure e dei giudici. La qualità della digitalizzazione, eventualmente coadiuvata da un equilibrato supporto di strumenti di intelligenza artificiale nel rispetto dei principi della Carta etica adottata dalla CEPEJ nel 2018, condiziona già oggi e condizionerà sempre di più la qualità della risposta dei servizi della giustizia, e la sua tempestività.
Menziono, tra i tanti interventi in corso, due esempi: il recentissimo avvio del nuovo applicativo “SIAMM Pinto digitale”: una piattaforma per le procedure di pagamento degli indennizzi dovuti per la violazione della ragionevole durata del processo.
E poi, nel quadro della spinta alla digitalizzazione del processo penale, voglio citare un progetto per risolvere il nodo dei cosiddetti «tempi del carrello», i tempi – a volte davvero troppo lunghi – di transito del procedimento da un grado all’altro del giudizio. Un tempo che in talune realtà si misura in termini di mesi, se non di anni. Un tempo solo sprecato, a danno di tutti. Ebbene, questo progetto, selezionato dalla Dg Reform della Commissione europea, punta a risolvere il problema dei «tempi di attraversamento del fascicolo» e potrà portare un grande beneficio proprio alla durata dei giudizi di appello, uno degli snodi più critici del sistema.
Per questo, il Ministero della Giustizia – avvalendosi anche della preziosa collaborazione del Ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale e di tutto il suo staff – svolge una costante attività di ricerca e sviluppo finalizzata all’individuazione di sempre aggiornate tecnologie e infrastrutture applicate alla giustizia. Il compito è immane, anche perché l’accelerazione verso una necessaria modernizzazione degli strumenti convive con gli interventi indifferibili per la risoluzione dei problemi informatici quotidiani, dovuti anche alla obsolescenza e alla frammentazione di quelli già in essere.
Tutto questo per iniziare a scrivere una nuova pagina per la modernizzazione della giustizia, grazie all’interazione tra riforme normative, investimenti, e nuove forme di organizzazione. Una congiuntura senza precedenti, un’occasione che vogliamo cogliere in tutte le sue potenzialità.
4.4 Il metodo
Prima di passare a illustrare, brevemente, le riforme normative approvate nel corso dello scorso anno, permettetemi di concludere questa parte della mia esposizione dedicata agli interventi organizzativi con una notazione di metodo.
Sin dall’inizio del mio mandato ho cercato di assicurare che il Ministero della giustizia operasse in sinergia con tutti gli attori del sistema giustizia: CSM, Scuola superiore della magistratura, singoli uffici giudiziari, avvocatura, università.
La collaborazione istituzionale è un principio costituzionale e una buona regola da seguire per il regolare funzionamento di ogni ramo dell’amministrazione. Ma nell’ambito dell’amministrazione della giustizia è una esigenza imperativa, in considerazione del fatto che i principi di indipendenza e di autonomia del potere giudiziario e dei singoli magistrati accentuano la necessità di coltivare il coinvolgimento e il coordinamento fra tutti i protagonisti.
Più volte ho avuto modo di sottolineare come il raggiungimento dei target concordati con la Commissione europea per l’abbattimento dell’arretrato e la riduzione dei tempi di definizione dei procedimenti non può prescindere da un’azione responsabile e coordinata di tutti i soggetti coinvolti. Per questo negli scorsi mesi ho iniziato a visitare personalmente gli uffici giudiziari, per conoscere, discutere e raccogliere dal territorio le indicazioni dei principali problemi e approntare soluzioni condivise, per garantire al meglio l’impostazione e l’avvio dell’Ufficio per il processo e l’orientamento delle strutture rispetto agli obiettivi del PNRR.
Nella stessa prospettiva, un ruolo fondamentale è stato svolto dal Comitato paritetico nel quale si sono incontrati e s’incontrano con cadenza settimanale rappresentanti del Ministero della giustizia e del Consiglio Superiore della Magistratura.
Nella stessa ottica, merita una segnalazione il Protocollo tra Ministero-CSM-Scuola Superiore della Magistratura sulla formazione dei dirigenti degli uffici giudiziari.
Una relazione virtuosa si sta sviluppando con l’università: a titolo esemplificativo ricordo, nell’ambito del PON Governance e Capacità Istituzionale 2014-2020, il finanziamento per oltre 51 milioni di euro di 6 macro-progetti proposti da 57 atenei statali, dislocati in tutto il territorio nazionale, per la diffusione dell’Ufficio per il processo e l’implementazione di modelli operativi innovativi negli uffici giudiziari per lo smaltimento dell’arretrato.
5. Parte seconda: Le riforme
Mi soffermo ora, per sommi capi, sui tratti salienti delle importanti riforme normative approvate dal Parlamento negli scorsi mesi. Queste riforme si innestano, come abbiamo visto, sulle solide e concrete fondamenta della ristrutturazione straordinaria della macchina amministrativa della giustizia, in vista del primario obiettivo della riduzione dei tempi dei processi e dell’arretrato. Conosco bene quanta fatica e quanta disponibilità è stata chiesta a tutte le forze politiche per trovare un terreno su cui convergere. Queste riforme sono figlie del contesto straordinario in cui sono nate: di un Governo sostenuto da una maggioranza amplissima, di “unità nazionale”, con sensibilità al suo interno molto distanti sulla giustizia. Ma è sempre stata sorretta dalla comune responsabilità per l’interesse del Paese. E questo ha sostenuto il cammino – a tratti complesso – delle riforme, nella ricerca si un’equilibrata sintesi. E di questo ringrazio davvero tutte le forze politiche.
5.1 Penale
Un momento di centrale importanza nel percorso di riforma della giustizia è stato indubbiamente rappresentato dall’approvazione della legge di riforma del processo penale (l. 27 settembre 2021, n. 134). La legge approvata dal Parlamento intende coniugare obiettivi di maggiore efficienza del sistema con il rispetto delle fondamentali garanzie e principi costituzionali in materia penale.
L’impianto della riforma poggia su due pilastri.
Da un lato incide sulle norme del processo penale, operando sulle varie fasi – dalle indagini fino al giudizio in Cassazione – allo scopo di creare meccanismi capaci di sbloccare possibili momenti di stasi, di incentivare i riti alternativi, di far arrivare a processo solo i casi meritevoli dell’attenzione del giudice.
D’altro lato, la riforma prevede interventi sul sistema penale – dalla non punibilità per particolare tenuità del fatto, alla sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato, all’estinzione delle contravvenzioni per condotte riparatorie, alla procedibilità a querela, alla pena pecuniaria e alle pene sostitutive delle pene detentive brevi – capaci di produrre significativi effetti di deflazione processuale.
Questa parte della riforma è il prodotto di una seria riflessione sul sistema sanzionatorio penale, che si orienta verso il superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato, per radicare, invece, l’idea diversa e costituzionalmente orientata che la “certezza della pena” non è la “certezza del carcere”. È in questa prospettiva che va quindi colta la valorizzazione laddove possibile – delle pene alternative alla reclusione, che – come ormai ampiamente dimostrato – portano ad una drastica riduzione della recidiva. Ne beneficiano i singoli, ne beneficia la società.
Peraltro, la riforma della giustizia penale non si preoccupa solo dell’efficienza del sistema, ma anche della sua effettività, altrettanto importante nell’azione di prevenzione e contrasto di ogni forma di criminalità. Uno dei fattori di ineffettività del sistema è da sempre rappresentato dalla prescrizione del reato, specie quando interviene a processo in corso ed è determinata dalla lentezza del processo stesso. Come ben sapete, è stata confermata dal Parlamento la regola che, con la riforma del 2019, ha previsto il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Con la riforma del 2021, sono stati apportati alcuni correttivi a garanzia dell’imputato, introducendo, nei giudizi di impugnazione, il nuovo istituto della improcedibilità per superamento dei termini di durata massima dei giudizi. Un ponderato meccanismo che prevede proroghe dei termini, sospensione degli stessi, esclusione di alcuni reati e un regime transitorio che assicura una graduale entrata in vigore, in modo da consentire agli uffici giudiziari di organizzarsi adeguatamente e di avere a disposizione tutte le risorse umane, materiali e tecnologiche di cui abbiamo parlato sopra, per arrivare all’obiettivo di portare tutti i processi a sentenza definitiva, con l’accertamento delle responsabilità e il ristoro delle vittime, ma nel rispetto di tempi ragionevoli.
Sono i dati e le statistiche che fotografano la situazione attuale – con 22 Corti d’Appello che sono già nei tempi della legge Pinto o leggermente al di sopra – insieme ai forti investimenti e alla ristrutturazione organizzativa in corso a permetterci di dire che questo obiettivo è realistico.
In ogni caso, il monitoraggio statistico dell’andamento dei tempi nei singoli uffici giudiziari consentirà di intervenire tempestivamente, per assicurare le risorse e l’assistenza necessarie nei luoghi dove si ravvisassero motivi di criticità lungo il percorso. Il Ministero è al servizio degli uffici giudiziari: lo è sempre e lo è ancor di più per un rinnovamento così importante, reso possibile dall’eccezionalità di questo momento storico.
In materia di giustizia penale, tra le riforme ancora da attuare non possiamo dimenticare quella sul 4-bis della legge sull’ordinamento penitenziario, che so essere di prossima discussione in Commissione giustizia alla Camera: a maggio scadranno infatti i 12 mesi di tempo dati dalla Corte costituzionale al Parlamento per intervenire sulla materia, nel rispetto dei principi costituzionali e salvaguardando le specificità e le esigenze del contrasto soprattutto alla mafia e alla criminalità organizzata in generale.
Non posso concludere questa parte sulla giustizia penale senza un cenno al fatto che uno dei fili rossi che legano le trame della riforma è quello della riparazione dell’offesa e dell’attenzione alle vittime. Si spiega così il grande – e il più innovativo – capitolo della riforma, dedicato alla giustizia riparativa. La giustizia riparativa è già una realtà nel nostro paese, e si è sviluppata in via sperimentale almeno da quando – nel 2015 – è stato istituito il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Si è ispirata ai principi internazionali e alle buone prassi già disponibili in altri paesi.
La legge delega n. 134/2021 prevede l’ingresso della giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento, oltre che nella fase della esecuzione penale, e consentirà di implementare una disciplina organica, individuando modelli uniformi sul territorio nazionale, e una formazione adeguata di tutti gli operatori.
Ma sull’importanza strategica di questo capitolo tornerò in conclusione.
5.2 Civile
Anche la riforma del processo civile – ora legge delega n. 206 del 2021 – punta a fornire risposte più celeri alle esigenze quotidiane dei cittadini e delle imprese, intervenendo su un doppio binario: da un lato, valorizzando e perfezionando gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie – i cosiddetti ADR – al fine di deflazionare il carico dei tribunali favorendo soluzioni consensuali dei conflitti; dall’altro, agisce sulle procedure, con interventi mirati e circoscritti, nell’ottica della semplificazione e della riduzione dei tempi “morti”.
Riduzione della domanda, razionalizzazione della risposta.
Il primo pilastro della riforma è, dunque la valorizzazione delle forme alternative di giustizia già sperimentate.
In primo luogo, la riforma mira a potenziare la formazione dei mediatori, in modo da valorizzare la loro professionalità e, dunque, la loro autorevolezza.
Inoltre, viene incentivata la mediazione demandata dal giudice che, nella pratica, è quella che ha avuto maggiori possibilità di successo.
Infine, insieme ad adeguati incentivi fiscali per il ricorso alle ADR, si prevede – con una norma che non esiterei a definire “di civiltà” – il beneficio del patrocinio a spese dello Stato anche per la mediazione e la negoziazione assistita, sì da consentire un più agevole ricorso a tali strumenti extragiudiziari anche a soggetti in precarie condizioni economiche.
Il secondo pilastro della riforma è una puntuale serie di modifiche al giudizio ordinario di cognizione, senza scalfire alcuna garanzia.
La riforma mira a realizzare una maggiore concentrazione delle attività processuali nell’ambito della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa. Questo è stato un aspetto a lungo discusso e più volte ridisegnato, per giungere a un equilibrato contemperamento delle esigenze di efficienza del processo ed effettività dei diritti di difesa delle parti.
Il sistema attuale andava corretto in quanto svilisce la funzione della prima udienza e disincentiva l’attenta preparazione dei fascicoli sia per le parti sia per il giudice.
Sotto altro profilo, sono stati introdotti dei meccanismi di filtro, sia per il giudizio di primo grado sia per quello di appello, che consentiranno di definire immediatamente le cause che risultino fondate ovvero manifestamente infondate.
Tra le innovazioni introdotte dalla riforma sottolineo, per importanza, un istituto del tutto nuovo per l’ordinamento italiano, denominato «rinvio pregiudiziale in Cassazione» e ispirato ad esperienze di successo come quella francese o quella della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Attraverso questo meccanismo, si offre al giudice del merito la possibilità di sospendere il giudizio per richiedere alla Corte di cassazione un chiarimento interpretativo su un punto controverso di diritto. Oggi la Cassazione interviene solo alla fine e i suoi interventi interpretativi – nomofilattici, come diciamo in gergo giuridico – possono provocare la necessità di ripetere i processi basati su un diverso orientamento, con grande dispendio di tempo e di energie. L’istituto del rinvio pregiudiziale valorizza invece il ruolo “nomofilattico” della Corte di cassazione, facilita l’uniformità dell’interpretazione giuridica e quindi la certezza del diritto, con un importante effetto deflattivo. Attivando precocemente il rinvio pregiudiziale, si previene infatti la moltiplicazione dei conflitti e con essa la formazione di contrastanti orientamenti territoriali.
5.3 Riforma insolvenza
All’attuale emergenza provocata dalla pandemia è legato un altro intervento normativo che si è reso indispensabile: la riforma delle norme sull’«insolvenza» delle imprese.
L’obiettivo è quello di offrire nuovi e più efficaci strumenti agli imprenditori per sanare quelle situazioni di squilibrio economico-patrimoniale che, pur rivelando l’esistenza di una crisi o di uno stato di insolvenza, appaiono reversibili.
La conservazione dell’impresa – intesa come valore produttivo e, dunque, come centro che crea non solo utili, ma anche posti di lavoro e ricchezza per il Paese – è stata l’elemento ispiratore del decreto legge 24 agosto 2021, n. 118 che ha operato su due direttrici: l’introduzione di un nuovo strumento di ausilio alle imprese in difficoltà, di tipo negoziale e stragiudiziale, e la modifica della legge fallimentare con l’anticipazione di alcune disposizioni del codice della crisi ritenute utili ad affrontare la crisi economica in atto.
Il cuore della nuova normativa dell’insolvency è la «composizione negoziata della crisi». Si tratta di un percorso volontario, attraverso il quale l’imprenditore, lontano dalle aule giudiziarie, in assoluta riservatezza, si rivolge a un esperto, terzo e imparziale.
L’esperto è una nuova figura professionale, in grado, di favorire le trattative, di aiutare l’imprenditore di ogni dimensione a superare la crisi e di assicurare la continuità dell’impresa, a beneficio di tutti: dello stesso imprenditore, dei suoi creditori, come dei lavoratori.
Sotto altro profilo, sono stati introdotti sistemi di allerta, sia interni sia esterni all’azienda, demandati a creditori pubblici qualificati, affinché l’imprenditore in crisi possa per tempo avvalersi di questo strumento.
Questo processo riformatore troverà conclusione nel corso del 2022, con l’entrata in vigore del codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, opportunamente modificato attraverso il completo recepimento della direttiva UE 1023/2019 sulle ristrutturazioni.
In prospettiva. occorrerà modificare il sistema dei reati fallimentari, a cui sta già lavorando una Commissione di esperti insediata presso il Ministero.
5.4 Minorile-famiglia
Troppi i casi di violenza sulle donne, troppi i femminicidi, troppe le violenze sui bambini, troppi i drammi che originano in ambito domestico di cui abbiamo notizia quotidianamente. “Una vera barbarie”, ha giustamente detto qualcuno di voi.
Il contenzioso nell’ambito delle relazioni familiari sta crescendo e si fa sempre più complesso: cause di separazione si intrecciano a denunce di violenza domestica, specie nei confronti delle donne, o ad azioni del giudice a protezione dei minori. Troppo spesso un insufficiente coordinamento tra le autorità procedenti – tribunale per i minorenni, tribunale ordinario civile, giudice penale, giudice tutelare – rende inefficace l’intervento di tutti. E riduce la possibilità di intuire e prevenire conseguenze anche fatali. Di qui l’esigenza di intervenire con una profonda riforma delle procedure e dell’organizzazione giudiziaria, innanzitutto per incrementare le garanzie processuali dei soggetti fragili e allo stesso per tutelare l’operato dei giudici minorili, su cui troppo spesso sono ricadute le carenze complessive del sistema.
Senza entrare nei vari aspetti di questo importante capitolo della riforma, sia sufficiente qui ricordare che nella legge delega 206 del 2021 è stato disegnato un rito unificato, al posto di una molteplicità di procedimenti tra loro eterogenei, spesso causa di incertezze, e sono state meglio precisate le necessarie forme di coordinamento tra autorità giudiziarie, con un’attenzione speciale per i casi sospetti di violenza domestica. L’impegno collettivo contro la violenza di genere va sviluppato in tutte le strade possibili ed è sempre e soprattutto impegno a prevenire i reati: in questo senso deve essere ricordato il disegno di legge recentemente approvato dal Consiglio dei ministri volto a rafforzare gli strumenti di prevenzione, a completamento di quelli già previsti nel Codice Rosso.
Tornando al diritto di famiglia e dei minori, si aggiunga che con una delega di più ampio respiro – da attuarsi entro il 31 dicembre del 2024 – si è prevista la fondamentale innovazione dell’istituzione di un unico organo giudiziario, il «Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie», articolato in Sezioni circondariali e in Sezioni distrettuali, che andrà ad accorpare tutte le competenze oggi ripartite tra Tribunali ordinari (ivi compresi i Giudici tutelari) e Tribunali per i minorenni, facendo tesoro della grande esperienza dei giudici minorili e valorizzandone ancor di più la specializzazione in un nuovo e più razionale contesto ordinamentale. In sintesi, si tratta di una riforma che, eliminando ripetizioni, sovrapposizioni, discrasie nell’azione delle varie autorità giudiziarie oggi competenti, riduce il contenzioso e incrementa le tutele per minorenni e famiglie, nelle sue varie accezioni.
5.5 Le riforme in fase di elaborazione
Delega penale, delega civile, minori e diritto di famiglia, insolvenza: sul piano delle riforme tanto lavoro è stato fatto; molto altro lavoro ci attende.
Le più importanti riforme normative sono state approvate in forma di legge delega e dunque richiedono di essere attuate attraverso l’adozione dei decreti legislativi delegati, entro la fine del 2022. Questo stabiliscono gli impegni del PNRR. Tuttavia, conto di poter sottoporre alle Camere gli schemi dei decreti legislativi di attuazione, per i pareri necessari, molto prima della scadenza. Cinque gruppi per il penale e sette per il civile sono già alacremente al lavoro per la loro elaborazione e redazione.
Sappiamo bene che all’appello manca ancora un altro fondamentale e atteso capitolo: la riforma dell’ordinamento giudiziario e del CSM, che il Presidente della Repubblica e alcune forze politiche hanno ancora di recente sollecitato. Il disegno di legge delega è già incardinato alla Camera su iniziativa del precedente Governo, e – come abbiamo fatto per tutte le altre riforme – intendiamo presentare emendamenti governativi. Nel corso dell’autunno, dopo l’approvazione della delega penale e quella della delega civile, abbiamo avuto più occasioni di confronto con i responsabili giustizia delle varie forze politiche – e abbiamo avuto più interlocuzioni con ANM, CSM e avvocatura – per addivenire a proposte di emendamenti da presentare alla Camera, che sono oggi all’attenzione del Governo.
Gli emendamenti intervengono su vari aspetti del disegno di legge all’esame della Camera e riguardano, tra l’altro: il sistema elettorale, la composizione e il funzionamento del CSM; il conferimento degli incarichi direttivi, le valutazioni di professionalità, il collocamento fuori ruolo, il concorso per l’accesso in magistratura e il rapporto tra magistrato e cariche elettive.
Sono certa che nelle prossime settimane potremo progredire nella scrittura anche di questo atteso capitolo di riforma, che il PNRR ci impegna ad approvare entro il 2022. La Camera ha già calendarizzato la discussione in aula e quella scadenza dovrà essere rispettata. Per parte mia continuerò, come ho fatto nei mesi scorsi e come ben sanno tutti coloro con cui ho avuto interlocuzioni sul tema, a dare la mia massima disponibilità per accelerare il corso di questa riforma e per sollecitarne l’esame da parte dei competenti organi del Governo.
Entro il 2022 dovremo portare a termine anche la riforma della giustizia tributaria, a cui stiamo lavorando insieme al Mef.
6. Parte terza: ordinamento penitenziario e attività internazionale
6.1 Penitenziario
Quanto al carcere, come ho avuto già modo di osservare, la pandemia ha fatto da detonatore di questioni irrisolte da lungo tempo. Questi anni sono stati durissimi. Le tensioni, le paure, le incertezze, l’isolamento che tutti abbiamo sperimentato erano e sono amplificati dentro le mura del carcere. Per tutti: per chi lavora in carcere e per chi in carcere sconta la sua pena.
Se vogliamo farci carico fino in fondo dei mali del carcere – in primo luogo perché non si ripetano mai più episodi di violenza, ma più ampiamente perché la pena possa davvero conseguire la sua finalità, come prevista dalla Costituzione – occorre concepire e realizzare una strategia che operi su più livelli: gli improcrastinabili investimenti sulle strutture penitenziarie, un’accelerazione delle assunzioni del personale, una più ricca offerta formativa per il personale in servizio e la diffusione dell’uso delle tecnologie, tanto per le esigenze della sicurezza, quanto per quelle del “trattamento” dei detenuti.
Il primo e più grave tra tutti i problemi continua ad essere il sovraffollamento: ad oggi su 50.832 posti regolamentari, di cui 47.418 effettivi, i detenuti sono 54.329, con una percentuale di sovraffollamento del 114%. È una condizione che esaspera i rapporti tra detenuti e rende assi più gravoso il lavoro degli operatori penitenziari, a partire da quello della polizia penitenziaria, troppo spesso vittima di aggressioni. Sovraffollamento significa maggiore difficoltà a garantire la sicurezza e significa maggiore fatica a proporre attività che consentano alla pena di favorire percorsi di recupero.
Con l’attuazione della legge delega in materia penale si svilupperanno le forme di esecuzione della pena diverse, alternative al carcere, soprattutto in riferimento alle pene detentive brevi. E questo darà sollievo anche alle troppo congestionate strutture penitenziarie. Può essere interessante sottolineare che già oggi sono più numerosi coloro che scontano la pena – in vario modo – fuori da un carcere: oltre 69mila a fronte di circa 54mila detenuti. Queste 69.140 persone per l’esattezza al 31 dicembre 2021 sono in carico agli uffici della esecuzione penale esterna, UEPE; aggiungendo i procedimenti tuttora pendenti, diventano oltre 93mila i fascicoli in corso presso questi uffici, con una media di procedimenti per funzionario pari a 105 Si compone infatti di solo 1.211 unità il personale per l’esecuzione penale esterna per adulti
È evidente la necessità di potenziare questo settore e le forze politiche hanno avuto la sensibilità di sottolinearlo in un ordine del giorno, approvato a margine della legge di bilancio, impegnando il Governo ad incrementare il personale dedicato all’esecuzione penale esterna.
Naturalmente occorre fare molto anche per le strutture edilizie.
Alcune non sono degne del nostro Paese e della nostra storia. Venerdì scorso, sono stata al carcere di Sollicciano a Firenze e ho potuto vedere di persona le condizioni indecorose di questo, come di altri istituti, nonostante la manutenzione straordinaria in atto. Indecoroso e avvilente per tutti. E non a caso, sono tantissimi gli episodi di autolesionismo, mentre questo 2022 registra già drammaticamente cinque suicidi. Vivere in un ambiente degradato di sicuro non aiuta i detenuti nel delicato percorso di risocializzazione e di certo rende più gravoso il già impegnativo lavoro di chi ogni mattina varca i cancelli del carcere per svolgere il suo lavoro.
Il tema degli spazi richiede anzitutto interventi finalizzati a garantire le essenziali condizioni di decoro e igiene, ma implica anche un ripensamento dei luoghi, in modo che essi non siano solo “contenitori stipati di uomini”, ma ambienti densi di proposte. Attività, cultura, e soprattutto lavoro. Solo così si assolve appieno al valore costituzionale della pena, che non può essere un tempo solo di attesa (del fine pena), ma di ricostruzione. E in questa prospettiva – mi piace ricordare – si sono mossi i lavori della Commissione sull’architettura penitenziaria che al mio arrivo al Ministero stava terminando il suo compito, con fecondi suggerimenti.
In quest’ottica, nell’ambito dei fondi complementari al PNRR, è stata prevista la realizzazione di otto nuovi padiglioni. Si tratta di ampliamenti di istituti già esistenti, che riguardano tanto i posti disponibili – le camere – quanto gli spazi trattamentali: questo è un aspetto su cui abbiamo corretto precedenti progetti. Nuove carceri, nuovi spazi, non può significare solo nuovi posti letto.
Oltre alle risorse del PNRR, per il triennio 2021-2023, abbiamo anche previsto circa 381 milioni per le indispensabili ristrutturazioni e l’ampliamento degli spazi.
Da mesi, mi sto adoperando molto – insieme al Ministro della Salute e al Ministro per gli affari regionali e agli altri attori istituzionali – anche sull’urgente tema della salute mentale in carcere. È un dramma enorme, ma mi fa piacere segnalare che è in costante calo il numero dei detenuti in attesa di entrare nelle REMS: erano 98 nell’ottobre 2020, divenuti 35 nella stessa data del 2021.
Carenze di spazi, carenze di personale. Insieme al DAP, stiamo da tempo lavorando anche per invertire la tendenza alla grave diminuzione del personale che si è verificata nel corso degli anni. Siamo riusciti a far ripartire i concorsi, che si erano arrestati per le limitazioni dovute all’emergenza pandemica e che, proprio in queste settimane, si stanno perfezionando.
A breve prenderanno servizio complessivamente 1.650 allievi agenti; altri 1.479 arriveranno dal concorso bandito lo scorso ottobre e si prevede di bandirne un altro per circa 2.000 posti quest’anno. E rimando alla relazione depositata, per un quadro completo delle cifre che riguardano tutte le figure professionali.
Occorre anche investire di più nella formazione, per tutto il personale e, in particolare, per quello della Polizia penitenziaria. Sono gli stessi agenti a chiederlo, come giustamente mi ripetono in continuazione i sindacati.
La Polizia penitenziaria svolge un compito complesso e delicatissimo, ancora troppo poco conosciuto. Oltre all’esercizio della tradizionale funzione della vigilanza e della custodia, la Polizia penitenziaria è quotidianamente accanto al detenuto nel percorso rieducativo, come vuole la nostra Costituzione. Vigilare e accompagnare. Occorrono fermezza e sensibilità umana e, soprattutto, altissima professionalità per svolgere un compito tanto affascinante quanto difficile. Il lavoro in carcere non può essere lasciato all’improvvisazione o alle doti personali.
In questi mesi, ho raccolto molte testimonianze che raccontano quanto sia stata decisiva la presenza di un agente per segnare una svolta nella vita di un detenuto: basterebbe leggere la storia di un ragazzo della periferia milanese raccontata nel libro Ero un bullo, un giovane che, a partire da un passato criminale, tra carcere minorile e rieducazione in comunità, è arrivato a laurearsi e a diventare educatore in quella stessa comunità che lo aveva ospitato e accompagnato. Una pagina importante di quella storia è stata scritta dall’agente di polizia penitenziaria che lo faceva lavorare. Una storia di speranza – e, credetemi, non è l’unica! Una storia che ci dice che i nostri costituenti non erano dei sognatori.
Lo scorso 17 dicembre, la Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario, da me istituita per proporre soluzioni che possano contribuire a migliorare la qualità della vita nell’esecuzione penale, ha concluso i suoi lavori e rassegnato molte proposte per il miglioramento concreto della “quotidianità penitenziaria”, con un focus particolare sulla gestione della sicurezza, sull’impiego delle tecnologie, sulla tutela della salute, sul lavoro e sulla formazione professionale dei detenuti, e sulla formazione del personale.
Grandi potenzialità ci sono offerte dalle nuove tecnologie: video sorveglianza, bodycam, sistemi anti-droni, già esistenti in alcuni istituti, colloqui a distanza, lezioni e conferenze online, ma anche totem per segnalare esigenze dei detenuti, archiviando la famosa “domandina”, simbolo di una vetusta concezione del carcere. E così anche nuove forme per le prenotazioni dei colloqui dei familiari e soprattutto telemedicina e fascicolo sanitario elettronico: grazie alla disponibilità del Ministro per la transizione tecnologica si stanno progettando molti interventi che possono anche diventare altrettante occasioni di lavoro per i detenuti.
6.2 L’attività internazionale
In questi mesi, molto abbiamo lavorato anche sulla, invero poco conosciuta, dimensione internazionale e sovranazionale dell’attività del Ministero della giustizia, fondamentale per far crescere e consolidare gli standard di tutela dei diritti fondamentali e nel contempo coltivare una cooperazione giudiziaria internazionale rafforzata, indispensabile strumento contro gravi fenomeni criminali di dimensione transnazionale.
In questa cornice internazionale, vorrei richiamare la collaborazione con l’UNODC per i lavori di pubblica utilità dei detenuti in Messico e altri Paesi del centro America.
Vorrei ricordare anche gli accordi bilaterali sottoscritti con alcuni Stati – come l’Albania – per permettere ai detenuti, laddove ci siano le condizioni, di scontare la pena nel loro Paese di origine.
Mi preme qui ricordare la decisione del governo francese di dare il via libera – dopo anni di attesa – all’iter di estradizione per sette persone condannate in via definitiva per gravissimi reati commessi negli anni di piombo, che avevano trovato rifugio Oltralpe. La Francia ha così per la prima volta accolto le richieste dell’Italia e rimosso ogni ostacolo al giusto corso della giustizia su fatti che rappresentano una ferita profonda nella storia della Repubblica. In quell’occasione, ebbi modo di rivolgere un pensiero, che oggi voglio rinnovare, a tutte le vittime degli anni di piombo e ai loro familiari “rimasti per così tanti anni in attesa di risposte”.
Nel quadro degli intensi rapporti con gli Stati Uniti, si inseriscono poi i più recenti sforzi per trovare una soluzione adeguata al caso del nostro connazionale Enrico Forti, culminati con una missione a Washington nel corso della quale ho fornito all’Attorney General i chiarimenti richiesti sul rispetto da parte italiana della Convenzione di Strasburgo del 1983. Ho potuto così reiterare di persona, nella scia di quanto già fatto dal precedente governo, la richiesta di poter trasferire il nostro concittadino in Italia per l’esecuzione della pena vicino all’anziana madre a cui ho raccontato personalmente gli sviluppi della missione.
Naturalmente ci stiamo adoperando per assicurare alle nostre autorità giudiziarie ogni supporto perché possa svolgersi il processo sul caso Regeni.
Un legame ventennale – in particolar modo con la provincia di Herat – ha portato poi anche il Ministero della Giustizia ad intervenire, accanto agli altri Dicasteri competenti, nell’ambito della crisi afghana. Non potevamo e non volevamo dimenticarci soprattutto di quei magistrati e avvocati che così tanto avevano collaborato con le autorità italiane, durante la nostra presenza in Afghanistan. E ci siamo adoperati per far avere protezione internazionale a figure particolarmente a rischio, con l’avvento del nuovo regime.
Tra queste, l’ex Procuratore generale della Provincia di Herat, Mareya Bashir: una figura di primo piano nella difesa dei diritti delle donne e nella costruzione di uno stato di diritto nella sua terra, in collaborazione con il nostro paese. A lei il Presidente della Repubblica ha conferito la cittadinanza italiana per meriti speciali.
L’impegno del Ministero della Giustizia a favore del popolo afghano continuerà con iniziative di monitoraggio del rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto e con azioni intese a rafforzare la lotta al traffico di stupefacenti, congiuntamente ai partner europei, in seno al Consiglio d’Europa e in ambito ONU.
Nel quadro delle iniziative assunte a livello sovranazionale vorrei ricordare la Conferenza del Ministri della giustizia dei Paesi membri del Consiglio d’Europa su Criminalità e giustizia penale. Il ruolo della giustizia riparativa in Europa, che si è tenuta il 13 e 14 dicembre scorsi a Venezia, nella splendida cornice della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista.
La Conferenza è stata il primo evento di livello ministeriale della presidenza italiana del Consiglio d’Europa e vi hanno preso parte, insieme al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, 40 delegazioni.
Questa importante iniziativa ha portato alla approvazione di una Dichiarazione comune – la Dichiarazione di Venezia sulla giustizia riparativa – che nei giorni scorsi è stata adottata dai massimi organi del Consiglio d’Europa.
Con la Dichiarazione di Venezia, tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa si sono impegnati a sviluppare un nuovo paradigma della giustizia penale, complementare a quella tradizionale, che muove dall’esigenza di coinvolgere attivamente, in percorsi guidati da mediatori professionisti, il reo e la vittima, ma anche la comunità di riferimento, con l’obiettivo fondamentale di riparare e restaurare i legami sociali lacerati dal reato, di responsabilizzare l’autore dell’offesa, ma anche quello di porre le basi per una futura e più consapevole ripresa delle relazioni nei contesti di appartenenza.
Le ricadute sono tangibili, ben chiare e ben documentate dagli studi internazionali svolti sul campo: riduzione della recidiva, alleggerimento dei procedimenti penali, nuova centralità per la vittima lasciata troppo spesso solo sullo sfondo dei procedimenti giudiziari. E troppo spesso sola con il suo dolore.
7. Osservazioni conclusive
Permettetemi di concludere con qualche osservazione proprio su questo capitolo della giustizia riparativa che di certo è il più innovativo per il nostro sistema.
La giustizia riparativa non è uno “strumento di clemenza”.
Né tanto meno esprime un “pensiero debole” in materia penale.
Al contrario: è uno strumento molto esigente che chiede al trasgressore di assumersi tutta la sua responsabilità di fronte alla vittima e di fronte alla comunità, attraverso incontri liberamente concordati, con l’aiuto di un terzo che favorisce il riconoscimento della verità dell’accaduto.
Permettetemi di rubarvi ancora un minuto per un piccolo esempio che ha riguardato la comunità di Sarno, cittadina del salernitano, che ha vissuto un importante percorso di giustizia riparativa, che voglio citare tra i tanti già esistenti. L’incendio del bosco vicino alla cittadina aveva messo in grave pericolo gli abitanti. Rabbia e paura hanno attraversato la comunità alla scoperta che all’origine del rogo c’era un gesto sconsiderato di un loro concittadino. Uno dei gravi e numerosi incendi dolosi che ogni estate depauperano il nostro territorio e mettono in pericolo la popolazione. Il colpevole ha scontato la sua pena, ma all’uscita dal carcere come tornare in quella comunità? Un percorso di mediazione ha portato l’autore del reato e la sua famiglia prima ad incontrare l’amministrazione comunale, poi l’intera collettività. Incontri in cui gli abitanti hanno raccontato il loro vissuto, ma hanno anche ascoltato le scuse, cariche di vergogna, di chi aveva provocato quel drammatico evento. Quell’uomo ha contribuito a ricostruire il bosco distrutto e con questo gesto ha impresso un nuovo corso alla sua vita, riaccolto nella sua comunità.
Con la giustizia riparativa l’ordinamento si apre alla possibilità di un sistema giudiziario in grado di domare la rabbia della violenza e di ricostruire legami civici tra i cittadini. E più in generale, la giustizia riparativa contribuisce a coltivare una cultura della ricomposizione dei conflitti, della ricostruzione dei legami feriti, della ricerca dei punti di possibile reciproca comprensione, sulla scorta di esperienze straordinarie che la storia ci ha consegnato – come quella della Commissione verità e riconciliazione di Nelson Mandela e Desmond Tutu che ha posto fine all’era dell’Apartheid in sud-Africa – e sulla scorta delle numerose feconde sperimentazioni che il nostro Paese già conosce.
Questa è la concezione della giustizia che mi sta a cuore e che ritroverete in filigrana in tutti gli interventi di riforma che qui ho in sintesi ripercorso. Una giustizia che ricuce e ripara; che non si nutre di odio, che non cede alla reazione vendicativa, ma che vive innanzitutto di ricerca di verità.
Questa è la giustizia su cui sono stata chiamata a riflettere proprio nel luogo della massima ingiustizia che la nostra storia abbia conosciuto, quel binario 21 della stazione centrale di Milano da cui partivano i treni per Auschwitz.
In una delle giornate più intense vissute da Ministro, sono stata invitata dalla senatrice a vita, Liliana Segre, e da lei accompagnata fino a quei vagoni da cui bambina partì, insieme al padre e a migliaia di altri ebrei, verso “l’ignota destinazione” del campo di concentramento. Quelle atrocità di cui oggi tutto il mondo si vergogna – e che tra qualche giorno ricorderemo nel giorno internazionale della memoria – sono state alimentate dall’indifferenza, dalle piccole e grandi discriminazioni, dai discorsi d’odio, dall’idea dell’altro come nemico.
Coltivare una idea della giustizia che sappia ricomporre i conflitti e preservare i legami personali e sociali, che sappia unire più che dividere; che tuteli i più fragili e tenda sempre all’interesse comune è quello che ho inteso perseguire in quest’anno (quasi) di servizio al Ministero della Giustizia. Nella convinzione che questa è la più grande urgenza del nostro tempo e che questo è lo spirito che ci trasmette la nostra Costituzione.
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