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Uno strano scontrino. Siamo finiti a cena in un ristorante dove si paga “l’atmosfera”

Nando dalla Chiesa * il . Cultura, Lavoro, Società

Ragazzi, ma quante volte bisogna prendere atto che il diavolo sta nei dettagli? Appena pensi che si tratti di un proverbio vuoto, devi ricrederti e ne riscopri la grandezza.

Perfino osservando lo scontrino di un ristorante. E mica per un prezzo taroccato o una somma bislacca. Troppo facile. Ma per qualcosa (il dettaglio appunto) che può sfuggire anche al cliente più occhiuto. Tipo una voce di spesa creativa dall’importo trascurabile, ma che trascurabile concettualmente non è affatto.

E mi spiego meglio. Il luogo del delitto è via Castelmorrone, una bella strada alberata milanese, tempo fa prima cintura periferica e ora parte del “grande centro” metropolitano. Lì, fra i tanti, vi è un ristorante con qualche talento comunicativo. Un menù costruito con (quasi sempre) sapienti giochi di parole, facce simpatiche dei titolari e del personale, apprezzabili varietà gastronomiche.

Ed è qui che al pagamento del conto mi cade l’occhio sul “dettaglio”. Una voce di spesa del tutto inedita: “atmosfera, accoglienza”. Testuale. In cima all’elenco. La cifra è minima, 2.50 a testa, 5 euro in due. Tralascio di discutere, sarebbe insensato. Ma poi non è insensato rifletterci.

Che cosa vuol dire, infatti, “atmosfera, accoglienza”? Forse è sinonimo di “coperto”? Ma no, nessuna tovaglia di Fiandra, anzi proprio nessuna tovaglia. Se mi si vuol dire che ho avuto il piatto con le posate ci mancherebbe, quella è una precondizione per chiamarsi “ristorante”, se no sarebbe un chiosco.

E allora quale atmosfera, quale accoglienza? Forse al mio ingresso si è avanzato un maggiordomo incaricato di prendermi il giaccone e di riporlo in qualche luogo felpato? Di nuovo no, il giaccone l’ho sobriamente appoggiato io sulla spalla della mia sedia. Forse si è avanzato qualcuno o qualcuna per propormi un massaggio rigeneratore prima della cena? Qualcuno mi ha offerto un bicchierino di benvenuto, come ogni tanto si usa? Nossignore. Né massaggiatore/massaggiatrice, né speciale benvenuto. Tutto assolutamente nella norma dei locali normali. Buona sera, prego, dove volete sedervi? Avete già deciso o dovete ancora vedere il menù?

Ripasso mentalmente le fasi di quella cena e non scorgo alcuna “atmosfera” o “accoglienza” definibile come un extra. Non un mandolino che suona dolce né un danzatore di flamenco cui suddividere il costo tra i clienti. L’unica “atmosfera” mi è venuta dai molti racconti di chi sedeva con me a tavola. Ma, al di fuori di quelli, calma piatta. Tranne qualche brano gradevole del sottofondo musicale, come un “Let it be” che mi ha strappato a un certo punto un sorriso di malinconia, compensando qualche suono più rustico.

Così un po’ alla volta si è fatta larga nella mia mente la convinzione che quella “atmosfera, accoglienza”, così speciale da dovere essere pagata a parte, non fosse nient’altro che la buona educazione dei titolari e del personale, la loro indubbia cortesia.

E ho desolatamente pensato che a questa stregua anche un medico dovrebbe farsi pagare come un extra l’affabilità verso il proprio paziente, un negoziante dovrebbe farsi pagare di più (diciamo 2.50?) per dire “prego si accomodi” al cliente sull’uscio, anziché fargli un cenno sbrigativo. Mentre io ho sempre pensato che la gentilezza, la capacità di fare atmosfera, siano doti distintive di ogni professionista, commerciante, venditore di servizi. Di ogni essere umano o azienda.

E che questa dote, naturale o acquisita, sia proprio ciò che giustifica la nostra scelta di quel negoziante o di quel professionista. Se invece diventa un costo a parte (ossia è artificiosa) perde del tutto il suo valore. Non vado da chi non conosce la gentilezza. Ma nemmeno da chi la conosce e mi ci fa pagare sopra una (grande o piccola) tassa speciale.

Una società dove l’educazione costa è malata, non sta bene. Vedete come i dettagli aiutano a capire?

* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 03/01/2022

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