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I pregi della pandemia: le discussioni di laurea sono di nuovo una cosa seria

Nando dalla Chiesa * il . Cultura, Giovani, Istituzioni, Società

Questa ve la devo proprio raccontare.

Costretto a maledire la peste cinese che semina morti e ci costringe a tamponi e isolamenti in serie, ho però visto il primo giorno dopo una quarantena (e prima di tornare subito a un nuovo “isolamento fiduciario”) anche i pregi del Covid.

Signore e signori, grazie al Coronavirus le tesi di laurea sono ridiventate cose serie. Almeno a Scienze politiche di Milano, facoltà che, come ho scritto anni fa in questa rubrica, è stata a lungo nelle sessioni di laurea zona di libero scatenamento per bande di ogni tipo. Composte di studenti in stato di delirio festante, e di giovanotti e giovanottine esterni che convenivano anche dalla provincia per “fare casino” con litri e litri di vino, fino un giorno a riempirne una vasca mobile e farci il bagno. Ma comprensive anche di genitori orgogliosi della simpatica esuberanza dei propri virgulti, e pronti a svillaneggiare i commessi intenti a difendere il decoro dei luoghi.

Oggi nulla di questo. E il miracolo purtroppo si chiama Covid. Dopo qualche timido ingresso di guardie giurate per mitigare il disordine pubblico, sono infatti arrivate le regole sull’assembramento, sulle distanze, sulle mascherine.

Ogni laureando può farsi accompagnare da un numero limitato di amici o parenti, il cortile interno non può più ospitare feste. Così i docenti più consapevoli possono ottenere risultati straordinari. Altro che i bivacchi da cui all’annuncio di un 110 si levava tra urla e risa -in aula- il suono del corno da stadio. Vedere per credere.

Il professor Maurizio Ambrosini è uno dei massimi esperti di studi sull’immigrazione. L’altro giorno ha presieduto lui una commissione di laurea dai numeri non minuscoli: quattordici esaminandi. L’ho dunque osservato mentre parola dopo parola, gesto dopo gesto, restituiva alla cerimonia la sua funzione simbolica.

Alla laureanda che si accomoda subito mentre lui la presenta in piedi: “Signorina, per favore, si accomodi quando glielo dico io”. Piccolo sussulto di sorpresa ma rapido adeguamento alle esigenze della forma. Scoraggiati gli applausi alla fine della discussione: “Io per scaramanzia attenderei che venga comunicato il giudizio della commissione”. Genitori e amici smettono d’incanto. Ma non sarà che è una cosa seria?

Ed ecco la proclamazione: “La commissione dopo avere preso visione della sua dissertazione, dopo avere audito la sua discussione…”. Sul viso dello studente o della studentessa si disegna un’ombra di rispettosa attesa per quanto gli viene comunicato. “Per i poteri delegatimi dal Magnifico Rettore che qui rappresento”, “la proclamo dottore in…”. Domanda: e le famiglie non provano imbarazzo per questa apparente ridondanza di forma? Neanche per idea. Anche a loro, in effetti, man mano che trascorrono i minuti sembra di vivere qualcosa di importante.

E il professore Ambrosini le ringrazia con solenne empatia. Spiega che questo è il punto di arrivo anche dei loro sforzi, perché “noi sappiamo bene che spesso per una famiglia la frequenza universitaria del figlio è un problema”. Economico, logistico, a volte causa di ricadute sulla stessa vita affettiva.

I familiari approvano, si sentono riconosciuti, è come se si laureassero anche loro. Capiscono che quella che hanno vissuto e stanno vivendo è una giornata memorabile, come suggerisce lo stesso professore. Coronamento di anni. Che andrà ricordata per la conquista che rappresenta, non per lo scatenamento del “casino” di cui si è stati capaci come un branco intergenerazionale.

Ci sono stati anni in cui tutto questo è sembrato impossibile. In nome dei diritti, dei “giovani che sappiamo come sono”. Invece i giovani sono contenti così. È stato reintrodotto il loro diritto ad avere una laurea che li riconosca esseri pensanti, che li faccia sentire importanti. Poi, fuori, festeggeranno. C’è voluto il Covid.

* Storie Italiane, Il Fatto Quotidiano, 27/12/2021

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Identità e asterischi. I diritti non si devono imporre. E per favore non chiamatemi car*

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