Ergastolo ostativo: c’è un punto ambiguo nel nuovo testo di legge
Il Giudice della sorveglianza non è Gandalf, non ha poteri paranormali, non prevede il futuro, non ricevendo in dotazione dal Ministero della Giustizia né una palla di vetro, né una bacchetta magica, bisogna che qualcuno avverta i parlamentari!
La questione è quella della riforma dell’ergastolo ostativo sulla quale già molte parole sono state spese.
Secondo le supreme Corti italiana ed europea è intollerabile che la possibilità di accedere ai benefici carcerari per condannati di mafia (e non soltanto) sia fatta dipendere dalla decisione di collaborare con lo Stato. Questa decisione insomma non può in alcun modo essere “estorta” in cambio del sollievo concesso al detenuto, deve essere una decisione maturata liberamente a prescindere dalle condizioni della esecuzione della pena decise dallo Stato.
Quindi è incostituzionale quella presunzione assoluta di pericolosità sociale fissata per legge a carico del detenuto mafioso che non collabori con lo Stato, quella presunzione assoluta che fino a qui ha impedito qualunque valutazione nel merito da parte della magistratura di sorveglianza relativamente alla possibilità di accesso ai benefici carcerari.
Bisogna dare atto al Parlamento di avere preso molto sul serio il compito affidatogli dalla Corte Costituzionale di riformare l’istituto giuridico in oggetto, evitando così che a farlo sia ancora una volta la Corte Costituzionale stessa per sentenza.
Il Parlamento ed in particolare Pd, M5S e LeU, stanno limando da tempo un testo equilibrato che punta a rispettare il dettato delle Corti senza però aprire immeritati varchi ai mafiosi che da sempre sperano proprio in questa riforma, considerata tra le più importanti per tornare in pista (oltre a questa, in cima alle aspettative mafiose ci stanno la fine dei collaboratori di Giustizia e delle misure di prevenzione patrimoniali).
C’è un punto però che resta oltremodo ambiguo, se non proprio pericoloso.
In assenza di collaborazione con lo Stato il mafioso detenuto potrà sperare di accedere lo stesso ai benefici carcerari qualora dimostri, tra le altre cose e oltre ogni ragionevole dubbio delle autorità che avranno il compito di verificare tale affermazione, non soltanto di non avere più rapporti con l’organizzazione criminale di provenienza, ma anche che non esista il rischio che questi rapporti possano essere ristrutturati. Non basta la dissociazione, bisogna che ci siano argomenti concreti che fondino la mancanza ora e per il futuro della possibilità di ricominciare a fare mafia sul territorio.
Fin qui tutto bene, non si capisce allora perché il Giudice della Sorveglianza nel momento in cui dispone per il detenuto mafioso l’accesso ai benefici, dovrebbe poter disporre anche tutta una serie di misure di sicurezza, cioè di misure di prevenzione personali, volte ad impedire al mafioso di andare in certi posti, di incontrare certe persone, di svolgere certe attività. Ma come?!
Delle due l’una: o il rischio della ripresa delle attività criminali c’è o non c’è. Se il rischio c’è, l’attualità della pericolosità sociale e belle che dimostrata e dunque non può esserci accesso ai benefici. Se il rischio non c’è, non c’è bisogno di disporre misure di prevenzione personali.
Dunque non soltanto mi pare una grave contraddizione logica insistere nel prevedere questa possibilità da parte del Giudice della Sorveglianza, ma mi pare che possa essere interpretata anche come una spia rivelatrice di una riserva mentale di cui eventualmente i parlamentari dovrebbero assumersi la responsabilità e cioè che si voglia andare ben oltre il dettato delle Corti, annacquando di molto i paletti pure stabiliti nelle sentenze e permettendo di fatto ai mafiosi di tornare in circolazione a prescindere dal rigoroso accertamento dell’assenza del rischio che vengano ripristinati i legami criminali precedenti. Come a dire: andate e moltiplicatevi! Inaccettabile.
Concludendo e tornando ai Giudici della Sorveglianza: ma di quali poteri predittivi dovrebbero esser dotati per riuscire a fare una prognosi sufficientemente articolata di tutte le relazioni pericolose che andrebbero vietate, di tutti i luoghi che andrebbero interdetti (come se ormai non esistesse quel “super” luogo chiamato web!), di tutte le attività che andrebbero impedite? Come se le cronache dal carcere sul 41 bis non ci avessero negli anni già consegnato storie tristi di bambini usati per far filtrare notizie criminali. Il tutto esponendo i provvedimenti del magistrato di sorveglianza a ricorsi continui sul piano della legittimità, per non parlare delle pressioni e dei pericoli a cui si esporrebbe in tal modo il magistrato della sorveglianza stesso.
Il Fatto Quotidiano, il blog di Davide Mattiello, 17/12/2021
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