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La sesta edizione di F.I.L.I.: a fondo e oltre i confini, per raccontare mafie e criminalità

Sofia Nardacchione il . Criminalità, Cultura, Emilia-Romagna, Informazione, Mafie, Politica, Società

Centinaia di persone e una sala sempre piena per parlare di mafie: sabato 11 dicembre a Bologna si è chiusa la sesta edizione di F.I.L.I., il Festival dell’Informazione Libera e dell’Impegno organizzato da Libera Bologna in collaborazione con Libera Informazione.

Un festival partito nel 2016 per provare a cambiare il sentire comune sulla presenza mafiosa nel capoluogo emiliano, per far emergere che Bologna non era “terra di nessuno”, ma “terra di tutti”: di mafie italiane e straniere, criminalità, fenomeni corruttivi.

Cinque anni dopo – dopo decine di iniziative del festival, un’edizione online e quattro dossier per creare un quadro approfondito sulla presenza mafiosa a Bologna, dal narcotraffico alla corruzione, dal caporalato al legame tra mafie e crisi – il festival non si è fermato e in questa sesta edizione ha ospitato relatori e relatrici locali, nazionali e internazionali, partendo dal capoluogo emiliano e approfondendo collegamenti con realtà e territori in tutta Italia ed Europa.

Al centro, i linguaggi, il monitoraggio civico, l’ascolto dei territori e gli strumenti per contrastare e prevenire mafie e corruzione. E un cambiamento: non più i dossier – presentati negli scorsi anni sempre all’interno del festival – ma tre videoinchieste, da ascoltare e guardare, in cui poter riconoscere i luoghi di Bologna e della sua provincia, ascoltare le voci di cittadine e cittadini ed esperti, ricostruzioni e fatti che riguardano da vicino la città e chi la vive.

Videoinchieste che, anche in questo caso, compongono un quadro di fenomeni mafiosi e criminali preoccupanti, composti di grandi o piccoli messaggi che non sempre si è in grado di riconoscere, a cui non sempre si è in grado di rispondere: un clima di paura e di omertà in una delle vie centrali di Bologna, con la presenza di Ciro Cuomo e anni di incendi, minacce, controllo del territorio, come raccontato nella videoinchiesta “Via Saffi. Tra paura, omertà e riscatto”; diritti violati, tutele che si abbassano, lavoratrici e lavoratori sempre più invisibili in uno degli hub logistici più grandi del Nord Italia, come emerge in “Interporto. Le zone d’ombra della logistica”; una cultura mafiosa che si diffonde anche attraverso un certo tipo di musica, come raccontano due esibizioni al centro della videoinchiesta “Musica neomelodica. Tra mafie e criminalità, da Sant’Agata Bolognese al Pilastro”.

Alla base, il ritornare sui territori, ascoltare chi li vive, leggere i segnali e collegare i fatti, che è anche quello che è sempre stato alla base di un festival che ha come simbolo un gomitolo fatto di tanti fili, legami, collegamenti.

Legami come quelli che uniscono realtà apparentemente distanti: in questa sesta edizione si è parlato di mafie europee, dei legami, degli interessi, di inchieste. E di storie che arrivano da lontano, ma che sono vicine, come quella di Jàn Kuciak, il giornalista slovacco ucciso il 21 febbraio del 2018, insieme alla fidanzata Martina Kušnírová.

Una storia raccontata al festival da Jozef Kuciak: «Jàn – ha detto – era il mio fratello maggiore. Detestava tutto ciò che era sbagliato, tutte le ingiustizie che vedeva accadere. A volte non capivo la sua tenacia. Si occupava di temi complessi, soprattutto dei nessi tra la criminalità organizzata e i piani più alti del potere dello stato. Questa sua tenacia stava diventando un problema per la criminalità organizzata e i vertici politici a lei collegati, che avrebbero perso potere e denaro, per loro molto più importanti che la vita umana. In Slovacchia ci sono molte cause per corruzione, mai finite con le condanne dei colpevoli. La gente reagiva alzando le spalle alle inchieste dei giornalisti, pensando: “Tanto non cambia niente”. Ma non possiamo arrenderci. Vorrei ringraziarvi di avermi invitato, di stare dalla nostra parte, di battervi, di non dimenticare».

Una storia che non si poteva dimenticare in un festival che si occupa di informazione libera e di impegno, come non si poteva dimenticare la storia di Daphne Caruana Galizia: «Crediamo che il miglior modo per ricordare Daphne sia attraverso le sue inchieste», ha detto Dalia Nasreddin, della fondazione che porta il nome della giornalista maltese uccisa nel 2017, ricordando il progetto di Forbidden Stories, che ha continuato le inchieste dopo l’omicidio a Malta.

Ci sono legami, ci sono fili: tra le storie, le inchieste che finiscono per intrecciarsi, tra il lavoro di giornaliste e giornalisti che lavorano a livello transnazionale, ma anche da Bologna, per ricordarsi di una dimensione sempre più internazionale delle organizzazioni mafiose, per ribattere, quindi, che il contrasto – su tutti i livelli – a mafie e corruzione non può che essere europeo.

Un contrasto che, sui territori, ha bisogno di un impegno su più livelli, per andare verso la costruzione di comunità monitoranti, l’attenzione al territorio, la condivisione degli strumenti. Senza scordarsi del passato per capire il presente, come ricordato dal magistrato Giuliano Turone nel suo intervento sul legame tra mafie ed eversione nera.

E per andare verso una responsabilità condivisa: «Bisogna costruire una comunità diversa da quella determinata dall’oppressione mafiosa», ha ricordato il sindaco di Casal Di Principe Renato Natale. «Una comunità alternativa a quella criminale, una comunità basata sulla solidarietà, un valore che serve a difenderci, a farci vivere una società diversa in cui tutti si possono trovare dentro, in cui nessuno rimane indietro».

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FILI, a Bologna la sesta edizione del Festival dell’Informazione Libera e dell’Impegno

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