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Col PNRR si valorizzino i beni levati alle mafie

Luca Tescaroli * il . Economia, Giustizia, Mafie, Politica, Società

In un Paese nel quale la pandemia accresce la paura degli italiani e la ripresa economica si appalesa timida, l’azione invisibile della criminalità mafiosa trova linfa vitale ed è pronta a drenare le risorse che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) porterà con sé, sfruttando la fragilità del tessuto economico e sociale nel quale opera. Una realtà che induce a riflettere per verificare quali strumenti e risorse possano essere valorizzati per cercare di arginarla.

Innanzitutto, oltre al potenziamento dell’attività repressiva, il ricorso agli strumenti del sequestro e dalla confisca, introdotti dalla legge Rognoni-La Torre, su cui ho già scritto su questo giornale (si veda Ora giù le mani dalle misure antimafia ideate da La Torre del 6 aprile 2021), che consentono di intervenire sui beni e attività illecitamente acquisiti dagli indiziati di appartenere a sodalizi mafiosi, sulla scorta di un giudizio di pericolosità sociale, senza aver prima ottenuto una sentenza penale di condanna.

Ma anche l’impiego di strumenti diversi esistenti, che consentono di recuperare le imprese a rischio di infiltrazione o di condizionamento mafioso. L’esperienza ha evidenziato che la realtà economica non si esaurisce nell’alternativa tra impresa sana e mafiosa. Si registrano in maniera crescente casi di imprese che risultano avere rapporti anche occasionali con sodalizi mafiosi (derivanti per esempio da finanziamenti o assunzioni di personaggi di estrazione criminale), non essendo dunque tout court mafiose, o che non vivono solo di corruzione, ma che accettano di proliferare con il supporto della corruzione.

Il codice antimafia si è fatto carico di tali esigenze prevedendo due specifiche misure applicabili dal tribunale alle imprese, ove sussista il rischio che il mafioso se ne appropri: l’amministrazione giudiziaria (art. 34), che comporta la nomina di un amministratore che assuma la gestione dell’impresa; il controllo giudiziario (34 bis), disponendo misure di controllo per vigilare sull’attività degli amministratori esistenti, applicabile anche nei confronti di imprese destinatarie di interdittive antimafia disposte dai prefetti (che in tal caso vengono sospese nella loro efficacia).

Lo scopo è costituito dal consentire la prosecuzione dell’attività e di salvaguardare i posti di lavoro, neutralizzando i rischi di infiltrazione mafiosa, o di utilizzo per sistematiche attività di corruzione e la restituzione dei beni ai titolari, sempre che possano essere curate (per esempio con la rimozione degli amministratori e/o di dirigenti collusi, cambiando fornitori e subappaltatori e così via, ovvero intervenendo sul modello organizzativo dell’impresa).

Tali strumenti sono già stati applicati in più sedi giudiziarie, come nel caso di una singola agenzia di un’importante banca, o di un grande consorzio di cooperative di rilevanza nazionale, in cui gli amministratori erano responsabili di attività corruttive. Situazioni nelle quali l’amministrazione giudiziaria ha consentito di risanare l’azienda in un congruo lasso temporale, dopo averla ripulita dai legami con le cosche.

Altra direttrice percorribile appare quella di dare maggiore consistenza alla destinazione sociale dei beni confiscati, prevista dalla legge del 7 marzo 1996, n. 109, varata grazie all’iniziativa di Libera, che seppe raccogliere un milione di firme.

La ricordata legge Rognoni-La Torre – approvata il 13 settembre 1982, dieci giorni dopo l’uccisione del prefetto Carlo Alberto dalla Chiesa, con le sue successive modificazioni – ha reso possibile l’acquisizione definitiva di 36.616 beni immobili (per valori di diversi miliardi di euro) riconducibili a indiziati di appartenere alla mafia, evasori, riciclatori, corrotti, bancarottieri, usurai e altri soggetti socialmente pericolosi, ma solo circa 17.300 (dunque meno della metà) sono stati destinati dalla preposta Agenzia nazionale alle previste finalità sociali (asili, scuole, residenze per soggetti in difficoltà, ecc) e istituzionali (caserme, uffici pubblici), attraverso assegnazioni dirette ai soggetti legittimati, fra i quali, i comuni, le associazioni e i soggetti del “privato sociale“.

Sarebbe, perciò, auspicabile prendere cognizione e, soprattutto, rimuovere le cause (quali la mancata effettuazione delle verifiche dei creditori, sussistenza di quote indivise, irregolarità urbanistiche, occupazioni abusive, condizioni strutturali precarie) che sono alla base di una tale obiettiva inaccettabile criticità, cominciando con il prevedere una procedura più snella nelle assegnazioni in modo da accorciarne le tempistiche, trasformando l’Agenzia nazionale da struttura burocratica in soggetto dinamico capace di una visione imprenditoriale e prevedendo adeguati finanziamenti per gestire e valorizzare gli immobili, impiegando parte delle risorse del PNRR, anche per nuove assunzioni di personale adeguato.

Nella fase di crisi economica in cui versa il Paese corrisponde a un’esigenza collettiva evitare distruzioni di ricchezza e la perdita di posti di lavoro, offrendo alle attività imprenditoriali insidiate dalla mafia l’opportunità di rientrare nel mercato in condizioni di legalità.

* Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Firenze

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 10/12/2021

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