Papa Francesco a Lesbo: “Non rimuovere i profughi dal nostro campo visivo”
Sono strettamente connessi tra di loro i due passi fondamentali del discorso pronunciato da papa Francesco al centro di identificazione per migranti di Lesbo.
Solo dopo aver salutato per circa venti minuti loro, i migranti, i richiedenti asilo politico, al 70% provenienti dall’Afghanistan e quindi incomprensibilmente ancora non ammessi in Europa visto che provengono da un Paese governato dai Talebani e dove si sta morendo di fame e freddo, papa Francesco si è rivolto alle autorità, ha condannato l’utilizzo di fondi comunitari per l’edificazione di muri o barriere in filo spinato e poi ha detto: “Sulle rive di questo mare Dio si è fatto uomo. La sua Parola è echeggiata, portando l’annuncio di Dio, che è «Padre e guida di tutti gli uomini». Egli ci ama come figli e ci vuole fratelli. E invece si offende Dio, disprezzando l’uomo creato a sua immagine, lasciandolo in balia delle onde, nello sciabordio dell’indifferenza, talvolta giustificata persino in nome di presunti valori cristiani. La fede chiede invece compassione e misericordia – non dimentichiamo che questo è lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza –. La fede esorta all’ospitalità, a quella filoxenia (amore per lo straniero) che ha permeato la cultura classica, trovando poi in Gesù la propria manifestazione definitiva, specialmente nella parabola del Buon Samaritano e nelle parole del capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Non è ideologia religiosa, sono radici cristiane concrete. Gesù afferma solennemente di essere lì, nel forestiero, nel rifugiato, in chi è nudo e affamato”.
Dunque il papa è andato a dire che lui vede dove siano affermate, o negate le radici cristiane del Vecchio Continente: non nelle costituzioni cartacee, non nelle circolari sull’inclusività, ma dove ci sono le persone in carne e ossa, i loro diritti e i loro bisogni. E’ giunto a questo da una difesa più ampia, che riguarda tutti i cittadini europei, affezionati – ci deve presumere – alla loro civiltà: “ se vogliamo ripartire, guardiamo i volti dei bambini. Troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro. Interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: “Quale mondo volete darci?” Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge. Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il Mare Nostrum si tramuti in un desolante Mare Mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo “mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza. Fratelli e sorelle, vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!”.
Dunque senza girarci attorno Francesco ha evocato quel fantasma che si aggira davvero per la nostra Europa; il naufragio della civiltà. Il perché lo spiegano tanti dettagli, uno soprattutto: come il campo di Lesbo tantissimi altri campi profughi a ovest di Lesbo recludono senza diritti persone che avrebbero diritto all’asilo politico e che invece vengono tenute fuori da qualsiasi contesto, isolati nel nulla, in modo che nessuno li veda, come a Lesbo.
Lo stesso accade a est di Lesbo, fino al campo al campo di al-Hol, dove vengono internati migliaia di bambini- i figli dell’Isis che nessuno da anni vuole. Vivono lì, senza nessuna assistenza sanitaria, insieme alle loro madri: 7mila persone tenute ai margini del mondo.
Ecco perché Francesco è tornato a Lesbo: è lo snodo tra queste rotte che segnano la fine delle civiltà mediterranee, mentre nuovi paventati conflitti assicurano un aggravamento dell’emergenza nei prossimi mese. Come ha detto lui stesso, tutto questo non risolve rimuovendo dal nostro campo visivo i profughi, ma vedendo le cause profonde di questo disastro.
Fonte: Articolo 21
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