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Andy Rocchelli: “Dopo 7 anni e mezzo, abbiamo verità, ma non giustizia”

Elisa Signori Rocchelli il . Criminalità, Giustizia, Informazione, Internazionale, Memoria, Politica

Vorrei proporre un’osservazione che poco ha a che vedere con gli aspetti giudiziari della vicenda, così chiaramente spiegati dall’avv. Ballerini. Vorrei parlare di politica.

In tutti questi anni, e sono ormai 7 anni e mezzo dall’uccisione di Andrea Rocchelli noi non abbiamo mai invocato l’intervento diretto della politica, non abbiamo chiesto il sostegno di partiti, abbiamo ritenuto che ogni interferenza della politica nell’operato della magistratura fosse illegittima e che anche nel dibattito pubblico fosse fuorviante innestare un punto di vista politico-ideologico.

Eppure, malgrado tutto la politica è entrata da porte e finestre in questa storia: basti ricordare la presenza intimidatoria del min. dell’interno ucraino nelle udienze del processo di II grado o ancora l’irrituale lettera del ministro della giustizia ucraino alla presidente della corte italiana a processo in corso.

E fuori dai palazzi di giustizia questa storia che – conviene ripeterlo- è la storia di un attacco a colpi di mortaio contro 3 giornalisti inermi, intenti a fare con coraggio e rettitudine il loro mestiere, 2 uccisi, uno gravemente ferito – ecco questa storia sin dall’inizio è stata ostaggio della geopolitica, ossia delle relazioni internazionali tra Ucraina, Russia e Italia.

Le autorità ucraine, negligenti nelle indagini e verso la rogatoria rivolta loro sin dal 2015, reticenti, impegnate a depistare e a eludere le loro responsabilità prima durante e dopo i due gradi di giudizio, sono state davvero diligentissime e efficienti nel mobilitare media, esponenti politici e istituzioni per diffondere una narrazione patriottico-eroica dell’operato dell’esercito e della GN. Un impegno autoassolutorio multiforme e di grande risonanza sia all’interno, dove le voci d’opposizione sono assai rare, sia in Italia, trovando echi imprevedibili.

Come mai tanto pragmatico impegno? Tante le ragioni, ma fra tutte spicca il fatto che, al di là della responsabilità del miliziano italo-ucraino, noi abbiamo chiesto e ottenuto che venisse coinvolto come responsabile civile lo Stato ucraino, – risultato quest’ultimo tutt’altro che scontato e di grande rilievo anche nel confronto con analoghe vicende giudiziarie. Lo Stato ucraino è dunque stato coinvolto nel percorso giudiziario come responsabile civile, quale apice della catena di comando che ha voluto l’attacco, macchiandosi di quello che in due diverse corti di giustizia italiane è stato qualificato come un crimine di guerra, come una violazione dei diritti umani.

Capita così che non solo Andrea Rocchelli sia stato ucciso in una guerra civile, asimmetrica, perché raccontava le sofferenze dei civili.

Ma capita che anche questo scenario politico e mediatico postumo sia asimmetrico. Perché come in altre analoghe vicende da un lato c’è il coinvolgimento pieno dello Stato ucraino con un impressionante investimento di risorse finanziarie e organizzative e al polo opposto ci sono vittime civili, non uno Stato. Ci siamo noi, la famiglia di chi è stato ucciso, con il generoso appoggio della Federazione Nazionale della Stampa, dell’Associazione dei Giornalisti Lombardi, di alcune voci importanti del giornalismo italiano, di alcuni colleghi fotografi. Ma nessun altro.

E il confronto non può non essere sbilanciato.

Certo, abbiamo avuto segni d’attenzione, in particolare dal presidente della Camera dei deputati Roberto Fico. Ma la politica estera?

Nel caso di Andrea Rocchelli non stiamo parlando di una «questione privata», stiamo parlando di un fenomeno in parte nuovo, in parte tipico del nostro tempo, quello della violenza contro i giornalisti: è un crimine senza nome. Eppure miete ogni anno centinaia di vite, vede fotografi e giornalisti in prigione o vittime di aggressioni e violenze. In tutto il mondo, Italia compresa. I giornalisti con il loro coraggio e la voglia di fare bene il loro mestiere sono presenze moleste, una vera spina nel fianco laddove si perpetrano persecuzioni e discriminazioni, laddove si violano i diritti umani, laddove si scatenano le nuove guerre del nostro tempo.

Ora, indipendentemente dall’esito finale di questa nostra storia giudiziaria, noi ci chiediamo nella politica estera del nostro paese, in quella dell’Europa, l’una e l’altra per principio schierate a tutela dei diritti umani, c’è spazio per difendere l’incolumità dei giornalisti? C’è la volontà politica di chiedere conto della responsabilità di chi li uccide?

Se non si vuole che questa dei diritti umani sia soltanto una retorica di buoni sentimenti per legittimarsi a buon mercato con qualche enunciato di principi, ma si vogliono fare scelte conseguenti e gesti concreti, è doveroso e necessario che l’impunità dei responsabili dell’uccisione di Andrea Rocchelli e di Andrei Mironov, del ferimento di William Roguelon, sia sconfitta con fermezza e con senso di dignità. L’impunità dei responsabili per gli omicidi di giornalisti è un problema globale e si presenta come un esito sistemico dei rari processi che vengono celebrati, delle indagini svolte in diverse parti del mondo.

«Gli Stati devono agire» chiede Hatice Cengiz, vedova di Jamal Khashoggi. Noi siamo in tutto d’accordo con lei.

Fonte: Articolo 21

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