Luci di speranza. Da Ostia a Milano: facce pulite e schiene dritte contro il malaffare
Ester, proprio lei. E chi l’avrebbe detto?
Era una decina d’anni fa quando notai, tra i venticinque allievi del laboratorio di giornalismo antimafioso di Scienze Politiche a Milano, una ragazza dai lunghi boccoli bruni, sempre scrupolosa nel prendere gli appunti. Gli studenti mi spiegarono che non era “dei nostri” e che veniva da Lettere. Aveva la passione del giornalismo e il nostro laboratorio le era sembrata l’occasione ideale per imparare a combattere sul suo campo di azione prediletto: la corruzione, la malapolitica, la mafia.
Rimase con “noi” stabilmente. Fece amicizia con i miei studenti e si impegnò sulla criminalità organizzata con stile professionale. Dimostrava doti indubbie di investigatrice. Un giorno mi comunicò dalla metropolitana che aveva scoperto un bar mafioso. Aveva ragione, la polizia l’avrebbe chiuso dopo 15 giorni. Lei l’aveva capito ascoltando due persone parlare per dieci minuti.
Comunicava un’inquietudine perenne, e una “tigna” d’eccezione davanti alle difficoltà che incontrava come giornalista sul suo territorio dell’ovest milanese. Scrivendo per un periodico locale si misurava con i fastidi verso le richieste di trasparenza amministrativa, a volte ricevendo vere e proprie minacce da ambienti che si sarebbero detti mafiosi. Subì, con il suo direttore, gli avvertimenti classici: vandalismi contro l’auto, perfino pallottole.
Ebbe uno scontro epico con il sindaco di Sedriano, comune poi sciolto per infiltrazioni mafiose (ma con il sindaco uscitone innocente). Subì una denuncia che la stessa magistratura avrebbe ritenuto infondata, di cui parlai in queste “Storie italiane”. Fu allora che divenne figura pubblica, attirando l’attenzione di giornali e televisioni. Nacque, per il pubblico più attento, la giovanissima cronista d’assalto senza macchia e senza paura. Fu in quel frangente che l’apprezzai ancor di più. Mentre tanti piccoli aspiranti Saviano cercavano spazio sulla scena, com’era di moda allora, vantando persecuzioni e reclamando scorte, lei fece il suo lavoro senza una sbavatura, insensibile alle sirene che la proponevano come l’eroina del Nord.
Ha lavorato presso una grande agenzia, ha fatto per molti anni la free lance. E l’altro giorno, candidata dalla lista “Rinnoviamo l’Ordine” per le elezioni dell’ordine dei giornalisti della Lombardia, ha vinto clamorosamente. Distanze siderali agli altri concorrenti. Con una partecipazione al voto straordinaria. Tanto da rendere possibile l’idea di una sua elezione a presidente del vasto, fondamentale e ormai pulviscolare mondo del giornalismo lombardo. Comunque vada a finire, che tutto questo sia successo è una notizia rivoluzionaria.
L’altra notizia rivoluzionaria è che una giovane sociologa con alle spalle una storia di ricerche per la Commissione parlamentare antimafia, un impegno accademico sulla cultura della legalità, il mondo di Libera e degli scout, è stata nominata assessore alla trasparenza nel municipio di Ostia.
Si chiama Ilaria Meli, e che abbia competenze e carattere da vendere ve lo metto nero su bianco. Sfida difficile, la sua, ma meglio che l’affronti lei piuttosto che qualche spompato o velleitario personaggio da diporto.
Infine la terza bella notizia. Il nuovo presidente della commissione antimafia del Comune di Milano si chiama Rosario Pantaleo (anche se il vice è il discutibile Luca Bernardo). Dopo l’uscita dal consiglio comunale dell’ottimo David Gentili, c’era da temere l’assedio dei dilettanti.
Rosario è persona seria, e anche se non è uno specialista le cose le studia e le ha studiate. E in più una cosa negli anni l’ha dimostrata: ha la schiena drittissima. Non potrà fare che bene.
Mi accontento forse di poco? Trasformo un decimo di bicchiere in un bicchiere mezzo pieno? Semplicemente accadono cose che accendono la speranza. Che ci volete fare? Meglio quando volano le lucciole.
Fonte: Il Fatto Quotidiano, 15/11/2021
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