Educare alla legalità è giusto e conviene
Per parlare credibilmente di «educazione alla legalità» [1] è bene premettere che lo scenario di fondo è oggi assai cupo.
La legalità fa sempre più fatica ad assolvere ai propri compiti, ovvero garantire i diritti dei cittadini e il rispetto delle regole della convivenza civile.
Un quadro cupo
Le storture sono tante: un processo farraginoso e incomprensibile, con costi e tempi che generano sfiducia e insicurezza nei cittadini; episodi di diritti calpestati e di regole violate proprio da chi dovrebbe farle rispettare; scontri interni alla magistratura; vicende che inducono i media a mostrare la giustizia come un campo di battaglia dove si consumano vendette politiche.
E poi gli scandali che hanno costellato l’orribile biennio 2020-21, inquinando l’organo costituzionale che dovrebbe garantire l’indipendenza della magistratura (il Csm) e la magistratura stessa, con una vischiosa rete di relazioni torbide culminate nei casi vergognosi – tristemente noti – del magistrato Palamara e dell’avvocato Amara, che hanno spinto la magistratura, già su un piano inclinato, verso una caduta sempre più rovinosa di credibilità e fiducia.
È però sbagliato e pericoloso limitarsi al «mugugno» o allo sdegno. Denunziare quel che non va si deve. Ma la denunzia non basta, sarebbe sterile se non avesse un qualche sviluppo. Occorre in particolare interrogarsi sullo scopo della Legge e sul suo significato. Ed è proprio questa la funzione della «educazione alla legalità».
Di più, proprio perché la legalità non attraversa un buon momento, impigliata com’è nelle maglie di una rete fatta di crisi, sofferenza e malessere, è necessario continuare a discuterne, senza concedersi il lusso del silenzio. Perché è del tutto evidente che senza legalità (e giustizia) la qualità della convivenza deperisce.
Per usare una metafora sportiva, senza regole non c’è partita o la partita è truccata. E a vincere sono sempre i «soliti», quelli che hanno tutto da guadagnare se le regole restano inosservate perché possono approfittare delle condizioni di forza, sopraffazione e sfruttamento di cui godono in partenza e continuare indisturbati a prevaricare, con grave ed evidente danno per l’uguaglianza e per i diritti degli altri.
Il bisogno di legalità
Dunque c’è bisogno di legalità. Per farsene una ragione, per rispondere alla domanda «Perché osservare le regole, perché rispettare la legge?», si può ricorrere ad un esempio facile facile, quello del semaforo, la regola che letteralmente incrociamo più di ogni altra nel corso di una qualunque giornata. Rispettiamo il semaforo (osserviamo la legge che impone di passare solo col verde) sia per il fatto obiettivo che il semaforo c’è – piazzato nel bel mezzo dell’incrocio – sia perché temiamo la multa del vigile o la perdita di punti sulla patente.
Tuttavia questa legalità (in senso oggettivo), non è tutto. Esiste anche la legalità in senso soggettivo; in altre parole, rispettiamo il semaforo anche perché siamo consapevoli che potremmo andare a sbattere causando danni più o meno gravi a noi stessi e alle altre persone o cose coinvolte. Ma c’è di più: se approfondiamo l’argomento, possiamo facilmente intuire che il rispetto della legge non solo è in grado di evitare conseguenze negative, ma può anche apportare benefici alla collettività, e qui entra in gioco l’aspetto etico della legalità.
Ripetiamolo, perché è un concetto fondamentale: rispetto della legge equivale a civile convivenza; un quadro in cui prevale l’interesse collettivo, per offrire a tutti noi speranze di vita migliore e di crescita ordinata e comune. Se perdiamo di vista quest’obiettivo, vincerà il caos, sarà una giungla. E a prevalere saranno i rapporti di forza, invece degli interessi generali quelli particolari di un singolo o di un gruppo (famiglia, lobby, cordata, clan, organizzazione criminale…).
La legalità conviene
In sostanza, la legalità è un vantaggio. Ci conviene! Non è quel «fastidio» che qualcuno pensa, sbuffando contro lo stress di tutte queste imposizioni, mentre è così bello fare quel che si vuole senza «grilli parlanti» a spiegarci come vivere la nostra vita…
E non è neppure un «gioco» fra «guardie e ladri» cui assistere con sostanziale indifferenza: «Se vincono le guardie, bene; se perdono, pazienza; tanto non ci guadagno niente». Molti, non soltanto fra i giovani, ragionano proprio così, ma è sbagliato: se vincono le guardie, se c’è più legalità, può migliorare la qualità della vita di ciascuno di noi. Ancora una volta, ci conviene!
E allora dobbiamo rimboccarci le maniche, perché nessuno regala mai niente. E se la legalità può farci del bene, invece di restarcene alla finestra a osservare come vanno le cose, dobbiamo impegnaci, partecipare per quanto possibile e contribuire a orientarle nella giusta direzione.
Cominciando con forme di educazione alla legalità che sappiano convincere con argomenti basati su fatti concreti e non soltanto con parole più o meno retoriche.
L’illegalità toglie risorse
In quest’ottica, un argomento forte è quello che parla di illegalità economica nelle sue tre principali declinazioni: evasione fiscale, corruzione e mafia.
Il «fatturato» annuo è rispettivamente (calcolato sicuramente al ribasso) di 120, 60 e 150 miliardi di euro l’anno. Un giro di affari complessivo di almeno 330 miliardi di euro. Una cifra vertiginosa, che anno dopo anno alimenta e ingrassa sempre più i circuiti economici irregolari. Con effetti «indotti» spaventosi sulla credibilità e tenuta dell’economia, soggetta oltretutto ad un inquinamento continuo a causa del riciclaggio, cioè dell’investimento dei soldi sporchi in attività di per sé apparentemente pulite.
A rimetterci è soprattutto la comunità, la famiglia di cui tutti noi cittadini siamo parte integrante. Perché guai a dimenticare anche solo per un momento che l’illegalità economica, in ogni sua declinazione, non significa soltanto violazione della legge e di precetti morali (non rubare!), ma anche, o soprattutto, impoverimento: devastante impoverimento della collettività.
Una vergognosa sottrazione di risorse che ci permetterebbero di vivere meglio, se fossero a nostra disposizione. Senza o con meno evasione fiscale, corruzione e mafie a succhiarci risorse potremmo avere, per esempio, un campo sportivo o una residenza per anziani in più, ospedali e scuole meglio attrezzati, trasporti migliori, periferie urbane meno degradate, maggior tutela del territorio, del paesaggio e del patrimonio artistico: beni di cui non disponiamo o disponiamo in maniera insufficiente, con il conseguente peggioramento della qualità della vita di tutti, a cominciare da quella dei ragazzi.
L’equazione dell’illegalità
In buona sostanza per educare alla legalità si può stabilire una sequenza: evasione/corruzione/mafia = vampirizzazione delle risorse = grave impoverimento = peggioramento della qualità della vita. Un’equazione quasi matematica, che conferma quanto detto in precedenza: la legalità non è un fastidio e neppure un optional (se c’è bene, se non c’è pazienza…), bensì una questione vitale che ci riguarda da vicino, tutti e ciascuno.
Perché (va ribadito fino alla noia!) la legalità ci conviene, ci fa del bene; è precondizione fondamentale per avere concrete prospettive di una vita in cui la giustizia distributiva sia una pratica vera e non solo un miraggio. Ne deriva che ogni recupero di legalità è un recupero di reddito a vantaggio di noi tutti; che la legalità è la chiave giusta per affrontare i problemi economici e sociali che ci affliggono; che la legalità (anche in tempi di Covid) è la strada per aspirare a uno sviluppo economico ordinato, che non favorisca sempre e soltanto i soliti privilegiati.
Ancora una volta: ci conviene! Ed è su questo tasto concreto, immediatamente percepibile senza tanti giri di parole, che conviene insistere se si vogliono dare prospettive di buon funzionamento all’educazione alla legalità.
La legalità fa la qualità della nostra convivenza
Per finire, mettiamo in campo un emendamento (cioè un articolo) della Costituzione Usa che sancisce per i cittadini di questo paese il diritto alla felicità.
La nostra splendida Costituzione è un lungo catalogo di diritti (quelli calpestati dalla dittatura fascista, vale a dire tutti, a partire dalle libertà), ma non parla del diritto alla felicità. I Padri costituenti che hanno scritto la Carta fondamentale della Repubblica se lo sono forse dimenticato? No di certo. Penso invece che abbiano ritenuto superfluo esplicitarlo perché si tratta di un diritto «naturale», di un’aspirazione di ciascuno di noi e dei giovani in particolare, proprio perché giovani.
Ora, molti sono i fattori che incidono sulla felicità di ciascuno: la famiglia in cui si nasce; la scuola e i suoi insegnanti; i compagni in classe e fuori; il lavoro; la famiglia che si forma da adulti; la salute; la fortuna…
Nelle iniziative di educazione alla legalità può essere molto utile chiedersi se a questo elenco non sia il caso di aggiungere la legalità. Se è vero – e come abbiamo visto, lo è – che da essa dipende la qualità della nostra vita, la legalità può quasi dirsi sinonimo di felicità. E non mi sembra di esagerare. Anzi, è un modo suggestivo, ma fondato sulla realtà, di impostare l’educazione alla legalità in termini persuasivi ed efficaci.
[1] Le considerazioni svolte in questo intervento si trovano anche, ampliate e sviluppate, in un libro intitolato «La giustizia conviene – Il valore delle regole raccontato ai ragazzi di ogni età» (Gian Carlo Caselli e Guido Lo Forte – Ediz. Piemme, Milano).
* Fonte: Rocca n°19 – 1 ottobre 2021
Rocca è la rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi
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