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Tor Bella Monaca, Roma. Una scuola non solo scuola

Donatella D’Acapito il . Giovani, Lazio, Politica, Società

La periferia fa tendenza. In periferia si chiudono le campagne elettorali e per la periferia (soprattutto se delle grandi città) si fanno progetti. C’è addirittura un orgoglio di periferia, strumentalizzato spesso da chi non trova il posto che vorrebbe nel mondo oppure da chi vuole sottolineare la strada fatta.

Ma chi se ne occupa veramente? Chi si cura del futuro di questi luoghi – e soprattutto delle persone che qui vivono e crescono – in cui sembra prevalere il non bello e l’omologazione?

Viale dell’Archeologia a Roma è salita agli onori della cronaca come piazza di spaccio, eppure c’è un istituto comprensivo, il “Melissa Bassi”, che da un paio di anni non si accontenta di fare scuola, ma è diventato un vero e proprio punto di riferimento per il quartiere.

Incontro Alessandra Scamardella, dirigente scolastico dal settembre del 2019, nel suo ufficio che è anche un omaggio alla sua Napoli, città che non ha lasciato e dalla quale parte la mattina presto per essere fra i suoi alunni. Alessandra mi accoglie con un sorriso aperto e sicuro che la mascherina non riesce a nascondere. Arrivo da lei pensando di farmi raccontare soprattutto dell’ultimo progetto a cui la scuola ha aderito, quello della fondazione Mondo Digitale che ha promosso il programma triennale Smart&HeartRome per ridurre le disuguaglianze e la povertà educativa nelle periferie più complesse della Capitale. Solo che per lei i progetti non sono trofei da mostrare, ma fanno parte di una prospettiva in cui la scuola può essere presidio culturale aperto e fruibile al quartiere.

“Sono qui da due anni ma guardare i ragazzi negli orari di entrata e di uscita e pensare al quadro variegato che offrono mi colpisce sempre. Ci sono sempre ragazzi in arrivo e c’è una continua richiesta di inserimento, anche ad anno iniziato. Le famiglie chiedono che venga garantito il diritto allo studio e non sempre è semplice: se queste istanze arrivano quando l’organico è al completo e le classi sono formate, richiediamo delle deroghe che non sempre possono essere accolte. Ma sono felice nel vedere che tutti, docenti e collaboratori, lavorano con me per offrire un clima sereno ai ragazzi”. E poi aggiunge: “A volte sento questa responsabilità anche davanti alla dignità che alcuni ragazzi hanno nel nascondere le difficoltà che vivono”.

Alessandra ha sempre insegnato materie letterarie al liceo, ma dopo aver vinto l’ultimo concorso per dirigente scolastico scegliere una scuola come questa è stato quasi un naturale proseguimento delle sue esperienze. “Ho sempre lavorato in contesti del genere. Attraverso i ragazzi sto imparando a conoscere l’eterogeneità del quartiere. Tutte le grandi periferie delle grandi città si somigliano. Le esperienze extracurricolari mi hanno abituata a questo, anche quando insegnavo a Napoli. Come docente sono stata sempre alla ricerca di uno spazio al di là dell’orario scolastico per fornire ai ragazzi una apertura mentale, un allargamento di orizzonti. Lo facevo anche nei weekend perché credo che la scuola non debba dare solo strumenti scolastici”.

Tor Bella Monaca ha bisogno di punti fermi, ne hanno bisogno i ragazzi, se davvero si vuole arginare il fenomeno della mitizzazione della criminalità e del denaro facile. Non si può venire qui solo perché “si deve”: ci vuole tempo affinché anche un solo seme possa dare frutto. “Questa scuola viene da tanti anni di reggenza. Ho percepito la preoccupazione davanti all’idea che io possa andare via finiti i tre anni previsti dall’incarico, ma io voglio portare avanti quello che ho iniziato. Anche per raccogliere io stessa qualcosa e per crescere dal punto di vista umano. Garantire la continuità ha un impatto diverso. Abbiamo un turn over di docenti numerosi – molti vengono dalla Campania come me. Ma è necessario costruire una comunità scolastica ed educante. Ho un temperamento e un carattere che mi aiuta anche nell’integrarmi. Il mio è un ruolo che si svolge in solitudine: è mia la responsabilità ultima delle scelte, da quelle che riguardano la gestione del personale e quelle sulla sicurezza strutturale dell’istituto, ma la collaborazione la avverto ed è fondamentale. Le decisioni che prendo coinvolgono gli altri e non posso sbagliare. Ecco perché le sento gravose. Ma al centro del mio ufficio, del mio operato, metto l’alunno. La normativa a cui devo attenermi segna i confini entro quale mi chiedo ogni volta se quello che scelgo fa il bene del ragazzo”.

Mentre la ascolto, non posso fare a meno di assecondare un pregiudizio che mi spinge a chiederle se qui le famiglie non deleghino, più che altrove, la cura dei propri figli. La sua risposta è rassicurante: “La scuola, contrariamente a quello che si pensa, viene sentita tantissimo. È un riferimento, non un punto in cui si lasciano i figli. Forse gli unici casi in cui avviene una cosa simile a quella che pensi, è quando riceviamo le richieste di inserimento per i ragazzi provenienti da famiglie appena arrivate nel nostro paese. C’è tanta voglia a tutti i livelli – prosegue la dirigente – di avere un rapporto di aiuto nella conduzione di crescita. Penso soprattutto alle maestre. Dalla scuola si pretende tantissimo, ed è bene che sia così, visto il ruolo centrale che svolge. Ma ai genitori, che fanno parte a pieno titolo della comunità educante, va spiegato quale sia il loro ruolo in questo percorso”.

E questo percorso che Alessandra Scamardella ha immaginato e disegnato da due anni a questa parte, è costellato di progetti che stanno facendo dell’Istituto che dirige un punto di riferimento aperto al quartiere: “Abbiamo sottoscritto un protocollo con la Fondazione Paolo Bulgari per il progetto Tornasole: durante le ore scolastiche molte classi – dall’infanzia alla secondaria di primo grado – svolgono delle attività in cui educatori, psicologi o specializzati in pedagogia, affiancano i docenti curricolari. L’obiettivo è duplice: da una parte questo permette di formare sul campo gli insegnanti nella gestione delle classi o di situazioni complicate; dall’altra, si prepara un lavoro finale in cui la classe vede il risultato concreto del lavoro svolto”. Accostare diverse figure professionali nella completa individualità dei ruoli funziona benissimo. Sempre con la Fondazione Bulgari – continua Alessandra – sta per partire il progetto di rifacimento di tutto il verde della scuola, che prevede la realizzazione di spazi ludico-didattici a tema sulla scia di alcune materie. Siamo felici di aver trovato una Fondazione che condivida con noi la sensibilità atta a capire che la scuola deve aprirsi al territorio nel modo più ampio possibile.

Poi c’è la collaborazione con la Fondazione Mondo Digitale. La Palestra dell’innovazione è stata una grande occasione di arricchimento dell’offerta. Credo molto nella necessità di formare digitalmente questi alunni: saranno pure nativi digitali, ma non sono alfabetizzati dal punto di vista digitale. La dad è stata una grande fonte di apprendimento: con la dad abbiamo avuto l’occasione di comprendere l’enorme svantaggio culturale e materiale che la digitalizzazione può portare. La dad ha azzerato un po’ tutto: ha evidenziato la mancanza di strumenti in alcuni casi e la poca formazione specifica di alcuni docenti in altri. Insomma, con la didattica a distanza siamo stati costretti a formarci tutti insieme. Con la Palestra dell’innovazione immagina spazi di “allenamento” non confinati nei laboratori, ma disseminati in attività anche in seno alla formazione dei docenti. Va bene introdurre il coding e la robotica partendo già dalle prime classi dell’infanzia, ma è necessario mutuare una metodologia che possa essere trasversale a ogni forma del sapere. Anche perché la velocità del digitale ci può e ci deve permettere di livellare dei ritardi socioculturali del passato non solo degli alunni, ma di tutti gli abitanti al territorio. Credo nella didattica integrata e mi è piaciuta l’idea della palestra, non come laboratorio, ma nel senso etimologico: un luogo di lotta e di allenamento costante”.

Proprio col pensiero rivolto alla didattica integrata, Alessandra mi racconta delle altre collaborazioni “Nello staff c’è un gruppo dell’innovazione. Vogliamo mettere in rete e rendere fruibili, sempre in termini digitali, le biblioteche del territorio. Collaboriamo con il centro sociale “Mario Cecchetti” e con ColorOnda: una volta a settimana i bambini si esercitano nell’alfabetizzazione della street art in un’aula laboratoriale. Ci stiamo mettendo in rete con altre scuole anche per un riassetto urbanistico. Insomma, cerchiamo di tenere a scuola questi ragazzi il più tempo possibile”. Eh sì: forse è questa l’unica soluzione per presentare ai giovani una realtà diversa. Bisogna mostrare loro che un’altra realtà è possibile, che anche la periferia può avere posti belli e forse ancora più delle zone che belle ci nascono perché – a differenza di queste ultime – le prime gli spazi di bello vengono conquistati a colpi di volontà.

Alessandra lo dice: “L’esterno per alcuni, soprattutto per i ragazzi della secondaria di primo grado, ha un suo fascino. Per fortuna, fino ad ora, ho trovato famiglie che, quando sono presenti, partecipano ben volentieri alle iniziative della scuola e chiedono alla scuola di essere un exemplum. Certo, ci sono molti alunni seguiti dai servizi sociali e spesso la prima forma di ausilio andrebbe offerta proprio alle famiglie”.

Ci sarebbe ancora molto da raccontare di questa scuola che porta il nome della sedicenne morta nell’attentato del 2012 contro l’istituto professionale Morvillo Falcone di Brindisi. Alessandra deve accogliere un genitore, ma io le rubo ancora un minuto per una domanda secca. Le chiedo se abbia l’impressione che Tor Bella Monaca venga spesso utilizzata come un brand. “Da parte mia c’è la volontà di ampliare la proposta formativa – mi risponde. Sto ricostruendo la storia di questo territorio che è stato usato spesso come “officina pro tempore”. Spingo sempre di più, consapevole delle problematiche che ci sono. Ma io questa scuola l’ho scelta. È quella più fragile di tutto il territorio. Ho trovato molte realtà che hanno creduto nelle nostre potenzialità e chi si è speso per affiancarci e sostenerci non lo ha fatto per brand, ma per convinzione”.

I suoi ragazzi non sono un brand. Non lo sono neanche gli sforzi di tutto il gruppo di lavoro, docente e non, che Alessandra non dimentica mai di citare.

Ripenso alle sue parole e mi viene in mente Paolo Siani, il fratello di Giancarlo, che come lei a Napoli promuove progetti per tenere a scuola i bambini anche il pomeriggio. Penso alla Bibliolapa di Rita Borsellino.

Sì, Dostoevskij aveva ragione: la bellezza salverà il mondo. E la cultura è bella e in tanti non smettono di crederci.

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