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La mafia non uccide solo d’estate, vedi Buccinasco

Nando dalla Chiesa il . Criminalità, Droga, Lombardia, Mafie

E ora, davanti ai fatti, proviamo a smetterla con la cantilena della mafia che è cambiata e non spara più. Che oramai sono solo soldi, niente violenza, tranne qualche balordo. Come fossimo davanti a una sorta di new wave mafiosa.

Quel che è successo lunedì scorso a Buccinasco, alle porte sudovest di Milano, sembra un messaggio forte e chiaro. Un assassinio compiuto platealmente in pieno giorno, sulla strada, con tanto di colpo di grazia finale.

Buccinasco non è un luogo qualunque. E’ stata ribattezzata e non per nulla, e da decenni, la Platì del Nord. E Platì è considerata a sua volta la “mente” della ‘ndrangheta mondiale (San Luca ne sarebbe invece il “cuore”). Buccinasco, insieme alla vicina Corsico, è stata a lungo – forse è ancora – snodo di smistamento di droga a livello internazionale, sulle rotte dell’Est come dei sudamericani. I clan platioti vi hanno raggiunto un livello di potenza tale da concepire, quasi trent’anni fa, l’assassinio di Alberto Nobili, il magistrato che indagava su di loro; progetto per fortuna scoperto in tempo grazie alle intercettazioni.

Buccinasco è l’unico luogo del Nord in cui un boss (della famiglia Papalia) ha pubblicamente annunciato a un sindaco, la socialista Francesca Arnaboldi, la sua defenestrazione politica (rapidamente avvenuta) per contrasti sul piano regolatore. Qui il potere dei clan è cresciuto grazie a una rete impressionante e ubiqua di corruzione (altro che new wave…), come ha testimoniato Saverio Morabito,  collaboratore di giustizia di rango, e anche grazie a una serie di sentenze e decisioni giudiziarie sorprendenti o sconcertanti.

Insomma, se ascoltando il nome del luogo qualcuno pensa che si tratti di un grumo di case e picciotti di periferia si sbaglia. E’ un epicentro.

Ecco, da lì, dal cuore di un sistema è stato gridato con l’assassinio qualcosa che appare un “noi ci siamo, sappiamo ancora sparare e non abbiamo paura”. Qualunque sia stata, lunedì mattina, la causa contingente della eliminazione del narcotrafficante Paolo Salvaggio, nessuno può averlo assassinato senza il consenso dei poteri criminali locali. Se questo non c’era lo sapremo presto: con nuovi morti o qualche “lupara bianca”. Comunque con altro sangue.

La lezione che ne può trarre chi non si fa abbagliare dalla retorica permanente (quella secondo cui ogni anno nella mafia “è tutto cambiato”) è che la mafia uccide e ha gli arsenali per farne qualcosa, anche se preferisce la pace, la “sua” pace, pure a Buccinasco. Perché al mafioso – si ricordi Il giorno della civetta – piace da sempre essere considerato uomo di pace.

La lezione è che al Nord la violenza non è andata in esilio. Non ci vanno le bombe nei cantieri o davanti alle saracinesche, e nemmeno gli incendi o le devastazioni di auto o portoni, di cui mai si parla. E neppure ci va la “violenza maggiore”: quella dell’agguato sanguinoso o del sequestro di persona.

Sia nei luoghi del radicamento storico, come l’hinterland milanese, sia nei luoghi di insediamento più giovane, come la provincia bresciana, dove l’indagine “Tabacco selvatico” ha negli scorsi giorni rivelato un asse “Leonessa”- Calabria portando alla luce arsenali, progetti di morte fortunatamente evitati e un progetto di morte già compiuto in trasferta, nonché rapporti operativi con i clan di Rizziconi e di Taurianova, provincia di Reggio Calabria..

Questa violenza non è andata in esilio. Chissà piuttosto quando ci andranno i dilettantismi impenitenti. Come si dice, non è mai troppo tardi.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 14/10/2021

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