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Lea la donna che spaventa la ’ndrangheta (pure da morta): in fiamme la targa a Milano

Nando dalla Chiesa il . Giustizia, Istituzioni, Lombardia, Mafie, Memoria

Lasciò il boss per donare un futuro alla figlia

Non devo spiegare alle lettrici e ai lettori di questa rubrica che cosa sono le panchine rosse, invenzione felice e dolorosa a un tempo per ricordare ai distratti e agli smemorati la violenza sulla donna.

E nemmeno devo ricordare loro la storia di Lea Garofalo, la giovane donna di Petilia Policastro che a Milano trovò morte e “sepoltura” atroce (fatta a pezzi e data alle fiamme nella campagna brianzola), colpevole di avere voluto donare alla figlia un futuro libero da assassini e narcotrafficanti.

Quel che però forse lettrici e lettori non conoscono è la storia della panchina di Lea. Una panchina rossa che le è stata dedicata in piazza Prealpi, nel municipio 8, periferia nord-ovest di Milano. L’ha voluta l’Anpi, indicando una continuità tra le vittime del nazifascismo e le vittime della mafia, tanto da inaugurarla al suono leggero di “Bella ciao”.

Iniziativa sostenuta dalle giovani del presidio di Libera “Lea Garofalo”, alcune delle quali parteciparono ragazzine quasi una decina d’anni fa al processo da cui giunse una giustizia allora ritenuta impossibile. Andarono a tutte le udienze per stare accanto a Denise, la figlia diciannovenne che indicava nel padre il boia della mamma.

Ne nacque uno dei più originali e bei movimenti civili che abbia visto il paese in questo scorcio di secolo. La panchina rossa, posta simbolicamente nella piazza dove sorge l’appartamento in cui Lea fu torturata e uccisa, completa quel percorso, certo scandaloso in una piazza nota per lo spaccio e storica roccaforte dei clan calabresi (e non solo).

Lo avrete già intuito. Quella panchina così intrisa di storia e di amore è diventata bersaglio fisso di atti vandalici. All’inizio venne preso di mira il cartello plastificato affisso sullo schienale e recante la dedica: “A Lea Garofalo, testimone di giustizia e vittima della ‘ndrangheta”. Bruciato in marzo, venne rimesso con una nuova festa lo scorso 24 aprile, giorno del compleanno di Lea e vigilia della festa della Liberazione.

Ma i “vandali” non si sono dati per vinti. E hanno ri-incendiato la targa. Che è stata tenacemente rimessa. E che l’altra notte è stata di nuovo incendiata. Una macchia di nerofumo si è distesa in verticale sulla panchina, inghiottendo la dedica. Fuoco simbolico alla targa come fu dato al suo corpo. Perché, sia chiaro, il problema per “loro” non è la panchina. La quale è per i clan e i loro scagnozzi un emblema innocuo, una di quelle “trovate” della modernità civile che si possono perfino omaggiare quando conviene purché scorrano accanto senza nuocere. Tipo una piazza 25 aprile o un viale Martin L. King.

Il problema è lei, la giovane ribelle calabrese. Che lasciò il compagno a sua insaputa per difendere il futuro della figlia. Che andò dai carabinieri. Che disonorò il boss e la sua dinastia. E il cui assassinio doveva per questo restare una esclusiva cosa “di famiglia”. E ci sarebbe riuscito, se non fosse stato per la figlia coraggiosa e per le liceali di Milano. Per questo Lea è condannata anche dopo la morte.

Per questo il suo nome di donna senza potere fa paura. Dovremmo ragionare di più su questo. L’onnipotente ‘ndrangheta che sente scricchiolare potere e prestigio per la sola presenza pubblica di quelle tre lettere: Lea.

Ora sta a Milano reagire alla sfida. Anzitutto liberando, è il caso di dire, piazza Prealpi come è stato liberato il boschetto di Rogoredo. I fatti dicono che si può.

E poi difendendo quella panchina come un monumento civile. Con telecamere inarrivabili per gli scagnozzi, in grado di controllare l’area.

Il 3 ottobre, a elezioni passate, verrà finalmente messa una targa in metallo a cura del Municipio 8. La sfida continua. Iniziò quando il sindaco Pisapia fece costituire il comune parte civile e portò la bara di Lea sulle sue spalle.

Ora deve proseguire in nome del diritto alla memoria. E della liberazione della città.

Fonte: Il Fatto Quotidiano, 27/09/2021

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